Secondo l’ex presidente dall’investigazione del procuratore speciale John Durham doveva emergere la prova del “crimine del secolo”: il Russiagate non sarebbe stato altro che un complotto ordito da Hillary Clinton e dal Deep State. A pochi mesi dalla chiusura delle indagini però, nonostante l’abbondanza di mezzi, è stato trovato ben poco.
- Doveva essere l’indagine che avrebbe scoperto la “grande cospirazione” contro Donald Trump contenuta nel Russiagate, l’inchiesta del procuratore speciale Robert Mueller sui collegamenti tra lo staff della campagna elettorale di Donald Trump e la Russia di Putin, che avrebbe interferito con le elezioni presidenziali del 2016.
- Per l’ex presidente si è sempre trattato di una «caccia alle streghe» che ne avrebbe minato l’immagine, orchestrata da Hillary Clinton con l’aiuto del deep state.
- L’uomo incaricato di scoprire tutto questo era John Durham, ex procuratore distrettuale del Connecticut, una persona molto schiva e riservata, una persona «tosta e apolitica» secondo il giudizio dell’insospettabile Chris Murphy, senatore proprio del Connectiut.
Doveva essere l’indagine che avrebbe scoperto la “grande cospirazione” contro Donald Trump contenuta nel Russiagate, l’inchiesta del procuratore speciale Robert Mueller sui collegamenti tra lo staff della campagna elettorale di Donald Trump e la Russia di Putin, che avrebbe interferito con le elezioni presidenziali del 2016. Per l’ex presidente si è sempre trattato di una «caccia alle streghe» che ne avrebbe minato l’immagine, orchestrata da Hillary Clinton con l’aiuto del deep state.
L’uomo incaricato di scoprire tutto questo era John Durham, ex procuratore distrettuale del Connecticut, una persona molto schiva e riservata, una persona «tosta e apolitica» secondo il giudizio dell’insospettabile Chris Murphy, senatore proprio del Connectiut.
L’indagine era iniziata dopo che era finita quella di Mueller: in sintesi, la relazione finale di quell’inchiesta rileva che, nonostante il coinvolgimento di alcuni esponenti come Paul Manafort, consigliere di Trump, non era emersa una chiara interferenza e un collegamento tra il futuro presidente e i russi.
Secondo l’allora procuratore generale di Trump, William Barr, definito il suo «uomo accetta» dall’analista legale della Cnn Elie Honig, c’era margine per vederci più chiaro. L’entourage trumpiano puntò il dito su un dossier redatto dall’ex agente britannico Christopher Steele e consegnato all’entourage della campagna di Hillary Clinton: il suo contenuto in pratica diceva che i servizi segreti russi erano in possesso di materiale compromettente nei confronti di Donald Trump.
La teoria
Barr aveva questa linea: se il rapporto finale di Mueller non aveva risolto l’arcano, vuol dire che c’era un complotto ordito alle spalle del presidente. Durham ha cominciato il lavoro nell’aprile 2019, basandosi sulla teoria che le indagini fossero cominciate a partire dal dossier di Steele, nonostante un report dell’ispettore generale del dipartimento di Giustizia, Michael Horowitz, dicesse che non aveva trovato tracce di «pregiudizi politici» nello svolgimento delle indagini da parte del procuratore speciale Mueller e dell’Fbi.
Sia Barr che Durham non avevano accettato quelle conclusioni. Anzi, per dare più tempo a Durham, il procuratore generale lo aveva nominato procuratore speciale nell’ottobre 2020, per non renderlo licenziabile dal suo successore. Adesso che dopo quasi due anni l’indagine si avvia a conclusione, possiamo dire che cosa è risultato da queste ricerche. La risposta è: quasi niente.
Il pesce più grosso è stato l’avvocato Michael Sussmann, un esperto di cybersicurezza, accusato di falsa testimonianza all’Fbi sui legami di Trump con una banca russa legata al Cremlino. Lo scorso maggio era arrivata però l’archiviazione di fronte al gran giurì istituito da Durham per capire se c’era margine per un’incriminazione.
Poi c’è stato anche un colpevole, un avvocato dell’Fbi chiamato Kevin Clinesmith, che ha patteggiato una pena pecuniaria per aver falsificato delle prove per sorvegliare un non precisato membro dello staff di Trump. Infine, a ottobre ci sarà un processo riguardante Igor Danchenko, un analista russo che vive in America e che era stato una delle fonti consultate da Steele.
Anche per lui l’accusa è di falsa testimonianza. Non però a riguardo delle informazioni fornite all’ex agente inglese, ma soltanto sull’identità delle sue fonti. Un’accusa tutto sommato minore. Secondo il New York Times non ci saranno altre incriminazioni ed entro fine anno Durham chiuderà i suoi uffici.
Uno dei segnali rilevati dal quotidiano newyorchese è stato quello delle dimissioni di Andrew DeFilippis, uno dei procuratori assunti da Durham per le indagini, che ha già notificato che entrerà a breve a far parte dello studio legale Sullivan & Cromwell di New York.
«Il crimine del secolo»
Insomma, l’indagine non si è conclusa come avrebbero desiderato Barr e Trump. L’ex presidente aveva detto lo scorso anno che «Durham scoprirà il crimine del secolo» e soltanto lo scorso 28 agosto aveva postato sul suo account di Truth Social che emergerà «un livello di corruzione mai visto prima».
Non che a Durham siano mancati i fondi: secondo i dati del dipartimento di giustizia, dall’ottobre 2020 sono stati spesi 4 milioni e mezzo di dollari. Molto lontani dai 32 milioni spesi da Mueller, che però aveva avuto un campo d’azione molto più vasto.
Forse non è troppo distante dal vero l’analisi pubblicata dal Washington Post: il successo di Durham non è stato giudiziario, ma mediatico. Gli annunci di queste incriminazioni, che sui media ultraconservatori venivano accompagnate da frasi come «il cerchio si stringe su Hillary Clinton» hanno fissato nella mente dell’elettorato trumpista l’idea che Trump sia comunque stato una vittima di una grande cospirazione.
Solo che, purtroppo, il “Deep State” è stato troppo bravo a nascondere le prove delle sue malefatte. Perché anche l’assenza di prove su una cospirazione può essere a sua volta un complotto.
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