- Perché all’Ungheria di Orban e alla Turchia di Erdogan mettiamo dei filtri critici, mentre all’Albania di Edi Rama ci limitiamo a passare il microfono?
- Il primo ministro albanese ci racconta la storia che vogliamo sentirci dire: il paese povero, ma grato che ora si trasforma in luogo di accoglienza, in specchio di successo della nostra Italia.
- Ma in realtà l’Albania è un paese dove i progressi economici e sociali sono fermi e dove la presa del governo sul paese è capillare e ha poco da invidiare ai paesi autoritari che invece critichiamo quotidianamente.
Alloggiano tra Shëngjin e Durazzo, in hotel edificati per il turismo balneare, i circa 700 cittadini afghani che dalla fine di agosto hanno raggiunto l’Albania all’interno di un’operazione voluta dagli Stati Uniti, che nei convulsi giorni del ritiro hanno chiesto ai paesi balcanici di recente adesione alla NATO di ospitare sul proprio territorio alcune famiglie degli ex collaboratori.
Senza nulla togliere alla rilevanza del contributo albanese, stiamo parlando di un’accoglienza a tempo determinato in vista di un prossimo trasferimento negli Usa, pressoché priva di costi economici, coperti da diverse organizzazioni straniere, e con notevoli contropartite diplomatiche.
C’è dunque da chiedersi perché la totalità dei media italiani abbia riportato questi fatti senza contesto, affidandosi alla ricostruzione del primo ministro albanese Edi Rama, un ritornello che da qualche anno fa più o meno così: «Mentre la ricca Europa ci fa le pulci sui dossier di adesione, noi che siamo stati migranti e abbiamo ancora un cuore accogliamo».
Uno specchio consapevole
Nelle fragili democrazie ai confini dell’Ue accade spesso che i fatti politici di grande scala vengano utilizzati dalla propaganda dei governanti locali, tanto più periferici e compromessi quanto bisognosi di legittimazione internazionale. Perché all’Ungheria di Orban e alla Turchia di Erdogan mettiamo dei filtri critici, mentre all’Albania di Rama ci limitiamo a passare il microfono?
La sapiente regia di Tirana, che da anni si appoggia alla propria diaspora e ai media italiani per promuovere il «rinascimento albanese», da sola non basterebbe, l’operazione è efficace perché lavora sul nostro immaginario nazionale, che da più di un secolo fabbrica le Albania di cui sentiamo momentaneamente bisogno.
I fascisti del 1939 inventarono un’Albania «romana» da saldare all’Impero, i marxisti-leninisti degli anni Settanta inventarono una Cina sotto casa da visitare per apprendere i segreti della rivoluzione, noi memori della grande migrazione albanese degli anni Novanta ci inventiamo un’Albania accogliente, che è tale in quanto si ricorda di essere stata accolta da noi.
La narrazione di se stesso che l’italofono Edi Rama fa strategicamente passare dai giornali italiani è geniale ed efferata proprio perché cosciente del nostro inconscio nazionale. Rama sa che nella testa degli italiani l’albanese è e rimarrà ancora a lungo un immigrato «sul gommone», sa che il progressista italiano si vergogna di questo, sa che sulle migrazioni l’Italia ha bisogno di storie di successo, sa che il populismo italiano, se può, lancia strali verso l’Europa.
A destra gli albanesi funzionano perché bianchi, italofoni, integrati, a volte addirittura musulmani, ma in maniera non esteriore. A sinistra gli albanesi servono perché dimostrano che se oggi accogli domani ne raccogli i frutti: un primo ministro che proprio dall’«Italia aperta di un tempo» ha appreso una lezione di civiltà che oggi impartisce a Bruxelles. E pazienza se centinaia di minori albanesi vengono abbandonati ogni anno su suolo italiano, da genitori disposti a perderli e a delinquere pur di non farli vivere nell’Albania che Edi Rama amministra ormai da otto anni, senza risultati economici e sociali rilevanti per i suoi abitanti.
Il mitico Edi Rama
Edi Rama sa a cosa pensiamo quando pensiamo al suo paese e consola i nostri complessi di colpa – e in fin dei conti il nostro senso di superiorità – con il sogno di un paese piccolo che non porta rancore, che parla italiano, che è memore e grato, che attrae imprese e migrazione al contrario, che ce la sta facendo. Il tutto accarezzando un altro riflesso italiano: l’esterofilia al posto dell’autocritica.
Nel 2013 Rama batte nelle urne Sali Berisha «mentre noi non siamo nemmeno buoni di archiviare Berlusconi»; nel 2014 Agon Channel, effimero e misterioso investimento del meno misterioso Francesco Becchetti, porta Simona Ventura e Antonio Caprarica negli studi televisivi di Tirana, ed esplode il mito dell’immigrazione al contrario: «I migranti ora siamo noi» titola La Repubblica, «La rivincita degli albanesi» titola il Messaggero, «Albanesi alla riscossa» è il titolo di un articolo, il più brutto di sempre, firmato da Roberto Saviano.
Giusto un mese prima dell’inaugurazione di Agon Channel Italia, il ministro del lavoro Erion Veliaj, oggi sindaco di Tirana e delfino di Rama si era inventato a fini negoziali la balla dei 29mila italiani in Albania, immediatamente ripresa come affidabile sebbene per la stessa questura albanese gli italiani residenti fossero appena duemila.
Nel dicembre del 2014 il semestre di presidenza italiana dell’Ue si chiude significativamente in Albania: reduci da una conferenza stampa fatta di battute sul viola, il colore della Fiorentina e del Partito Socialista albanese, Rama e Matteo Renzi producono un breve video-selfie: una boiata pazzesca, ma immediatamente virale nella comunità albanese in Italia, la maggior beneficiaria della nuova reputazione costruita dal primo ministro.
Ciliegina sulla torta, nel 2015 Daria Bignardi ospita Rama alle Invasioni Barbariche: l’effetto ottico è completato, l’Albania è il paese del futuro – «noi non sentiamo la mancanza dei sindacati», e applausi da destra; «ci sentiamo italiani anche se non siamo vestiti da Versace», e applausi da sinistra. La Biennale di Venezia del 2017 con l’esposizione degli schizzi a pennarello che il premier albanese si fregia di realizzare durante le riunioni è solamente l’ultimo capitolo di un romanzo perfetto, di una trama per grandi e piccini, immodificabile a meno che tu non sia un nemico della concordia tra le nazioni e dei paesi in via di sviluppo.
Albania mediatica, Albania reale
Sull’onda dell’entusiasmo, però, arriva il giallo-verde. Il governo Conte I è un momento molle nelle sino ad allora idilliache relazioni mediatiche tra Roma e il profilo Facebook di Edi. Nasce in questo contesto la finta accoglienza albanese degli asilanti della Diciotti, twittata per esasperazione dalla Farnesina durante quelle deliranti ore di salvinismo, e applaudita da tutto l’arco politico italiano. Di Maio, che evidentemente stava già studiando da ministro degli Esteri, parlò di «schiaffo morale» agli inaccoglienti paesi del nord, che alla fine dello show però accolsero la totalità di quello sbarco.
Dopodiché è arrivato il Covid. Cresciuto a Rai clandestina in notti di clausura comunista, Rama sa che i telespettatori non vanno mai lasciati soli, e nel giorno dell’anniversario della tragedia della Katër i Radës, ovvero nel giorno in cui il senso di colpa dell’«Italia che ha memoria» è all’apice, traveste una decina di infermieri e li invia «oltre la linea del fuoco» per aiutare le nostre terapie intensive: dopo una commozione bipartisan durata settimane, i giornali locali hanno dato notizia che lo stage di quei poveri ragazzi, che una coreografia di regime volle scafandrati sin dall’aeroporto, si era concluso con una puerile festicciola in un hotel del bresciano e una denuncia per assembramento.
Se questa è l’Albania mediatica che ciclicamente ci beviamo, quella reale è un paese molto diverso. Primo: dall’estate 2019 in tutti i comuni del paese governa il partito socialista di Edi Rama, perché a quella tornata elettorale, che il presidente della Repubblica non voleva si tenesse, l’opposizione, irresponsabilmente, non si è presentata. Non esistono paesi europei con tutti i comuni monocolore.
Secondo: le elezioni politiche del 25 aprile scorso hanno visto una netta e indiscutibile vittoria di Edi Rama (48 per cento con un’affluenza del 46 per cento), ma sono state precedute da un sistematico metodo corruttivo da parte di militanti del partito socialista, che hanno utilizzato dati governativi per mappare e controllare il consenso della capitale. Immaginatevi un vicino di casa che sa cosa voti, lo scrive in una tabella excel che consegna al partito di governo, unitamente a un commento su cosa serve per comprare il vostro consenso.
Se l’Albania e gli albanesi ci interessano davvero, dobbiamo sapere, dire e scrivere che così si vive e si vota nella Tirana di Edi Rama. Smettere di importare dall’Albania le storie che ci fanno comodo è la prima azione che possiamo fare per aiutare il cammino della democrazia albanese.
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