- Cinque anni di carcere per diffusione di notizie false. È la pena che il tribunale per i reati minori di New Cairo ha deciso oggi per Alaa Abdel Fattah, il blogger simbolo della rivolta di piazza Tahrir.
- Assieme a lui, nello stesso procedimento, erano imputati Mohammed al-Baqir, avvocato dell'attivista, e il blogger Mohammed Ibrahim Radwan. Per loro la condanna è di 4 anni. Nessuno di loro potrà presentare appello perché il processo si è tenuto sotto il tribunale di emergenza.
- La sentenza di oggi conferma che le piccole concessioni fatte dal regime egiziano sui diritti umani sono puramente estetiche. Nonostante l’interessamento di diversi paesi europei sul caso, l’Egitto non allenta la sua morsa sui dissidenti di punta della rivoluzione.
Cinque anni di carcere per diffusione di notizie false. È la pena che il tribunale per i reati minori di New Cairo ha deciso oggi per Alaa Abdel Fattah, il blogger simbolo della rivolta di piazza Tahrir che nel 2011 pose fine alla trentennale dittatura di Hosni Mubarak.
Il pronunciamento è arrivato dopo alcune ore di camera di consiglio senza che il giudice uscisse a pronunciare la sentenza.
Assieme a lui, nello stesso procedimento, erano imputati Mohammed al-Baqir, avvocato dell'attivista, e il blogger Mohammed Ibrahim Radwan. Per loro la condanna è di 4 anni. Nessuno di loro potrà presentare appello perché il processo si è tenuto sotto il tribunale di emergenza.
Le accuse
Le vicende giudiziarie di Alaa Abdel Fattah, che lo hanno portato trascorrere sette anni di carcere negli ultimi suoi otto anni di vita, rappresentato la parabola del paese e la repressione che ha portato a decine di migliaia di indagini a carico degli attivisti per i diritti umani, tutte terribilmente identiche tra loro.
Figlio della più importante famiglia di attivisti egiziana, e fratello di altre due attiviste - di cui una, Sanaa, che sta ultimando una pena di 18 mesi per diffusione di notizie false - Abdel Fattah è entrato per la prima volta in carcere nel 2006 quando aveva solo 25 anni.
I suoi ultimi due anni consecutivi di detenzione sono iniziati nell’autunno del 2019, prima era già sottoposto a libertà vigilata: ogni pomeriggio doveva rientrare nella stazione di polizia di Doqqi, quartiere dove risiede la sua famiglia, e passarci 12 ore.
Il 29 settembre 2019 Abdel Fattah è stato arrestato nella sua cella e la stessa sorte, poche ore dopo, era toccata al suo avvocato Mohamed al-Baqir.
Entrambi accusati, assieme al blogger Mohammed Oxygen, di «diffusione di notizie false» nel caso 1356 del 2019 dalla Procura per l'Alta Sicurezza dello Stato.
Le violazioni
Sino al primo ottobre 2019 il loro luogo di detenzione era ancora sconosciuto. Quel giorno le autorità egiziane avevano informato le loro famiglie che i tre erano detenuti nel carcere di alta sicurezza di Tora, noto per le sue pessime condizioni di detenzione.
E lì sono rimasti sino a oggi, sottoposti a trattamenti disumani. Nessun libro, nessuna possibilità di scrivere con carta e penna. Per Abdel Fattah è vietato tenere in cella persino un orologio.
A ottobre del 2021 erano stati rinviati a giudizio sulla base di una nuova indagine su un reato identico a quello dell'inchiesta del 2019.
Per Alaa Abdel Fattah l'accusa si basa su un tweet condiviso nell'estate del 2019 che denunciava la morte di un detenuto provocata dagli agenti dell'ala di massima sicurezza del complesso carcerario di Tora al Cairo.
I due anni trascorsi in custodia cautelare, essendo legati all'indagine del 2019, non valgono come cumulo di pena. Quindi Alaa tornerà libero, salvo nuove accuse che gli potrebbero essere attribuite dalle autorità egiziane, soltanto nel 2026.
Le sue condizioni di salute e di detenzione, così come quelle di Oxygen che lo scorso luglio ha tentato il suicidio in cella assumendo una grossa quantità di sonniferi, destano preoccupazione da diverso tempo. La sorella di Abdel Fattah, Mona Seif, lo scorso ottobre alla sottocommissione per i diritti umani del Parlamento europeo, aveva denunciato l'accanimento degli agenti del carcere di Tora nei confronti del fratello che esplicitamente aveva raccontato di aver pensato diverse volte al suicidio.
Quale rispetto dei diritti umani?
Alla luce di questa sentenza, le aperture annunciate dal regime egiziano sui diritti umani nei mesi scorsi si rivelano sempre di più un’operazione di maquillage.
Il ministero degli Esteri tedesco, venerdì scorso, in un comunicato aveva affermato che la sentenza avrebbe mostrato in che direzione sta andando la situazione dei diritti umani in Egitto. L’omologo egiziano aveva risposto dicendo che «la Germania farebbe bene a occuparsi dei suoi affari interni al posto di imporre la propria tutela agli altri». Una frase che già preannunciava quello che sarebbe successo oggi.
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