- Le elezioni di midterm dello scorso novembre sono state un disastro per l’ex presidente Donald Trump.
- Nel frattempo, in Florida, il governatore Ron DeSantis ha avuto una grandissima serata, conquistando lo stato di 20 punti.
- Ma chiunque sostenga che Trump va verso una morte politica inevitabile e che DeSantis ha quasi conquistato la nomina vola troppo alto.
Le elezioni di midterm dello scorso novembre sono state un disastro per l’ex presidente Donald Trump. Un numero ristretto di candidati da lui selezionati non ha di gran lunga raggiunto il risultato che ci si aspettava e ciò è costato ai repubblicani il controllo del Senato e una maggioranza più consistente alla Camera.
Nel frattempo, in Florida, il governatore Ron DeSantis ha avuto una grandissima serata, conquistando lo stato di 20 punti e ottenendo un migliore risultato rispetto ai margini del 2020 di Trump in ogni singola contea.
Tuttavia, immediatamente hanno iniziato a girare interpretazioni agitate e sfrenate. «Finalmente Donald Trump è finito» recitava un titolo del New York Times. “DeFUTURE” palpitava la copertina del New York Post il giorno dopo le elezioni.
C’è qualcosa di vero in questa linea di pensiero: le elezioni hanno in effetti aiutato DeSantis e danneggiato Trump nella campagna di sfondo alla candidatura del Gop 2024. Ma chiunque sostenga che Trump va verso una morte politica inevitabile e che DeSantis ha quasi conquistato la nomina vola troppo alto. Se il midterm ci ha insegnato qualcosa, è che la politica è intrinsecamente incerta.
Qualcuno potrebbe dire che i giornalisti abbiano introdotto un po’ di umiltà nel loro lavoro dopo che i democratici hanno disatteso tutte le previsioni, ma pare che questo non sia successo. Gli stessi esperti che si dicevano fiduciosi che i repubblicani avrebbero dominato nelle elezioni di metà mandato, ora con la stessa certezza dicono che Trump non ha alcuna chance contro DeSantis.
Per quel che vale, lo stesso Trump ovviamente ha obiettato chi diceva che la sua carriera politica fosse morta. Martedì scorso ha ufficialmente lanciato la sua campagna per la presidenza. È un momento destabilizzante. Nonostante i tanti errori, Trump gode ancora di un ampio sostegno e della lealtà degli elettori repubblicani. La prospettiva che Trump rientri alla Casa Bianca soltanto quattro anni dopo il tentativo di ribaltare il risultato delle elezioni è cupa.
Dunque con Trump ufficialmente in corsa e una fiducia mal posta degli esperti nel risultato, qual è il modo migliore di pensare alle primarie imminenti? A grandi linee, ecco i quattro scenari più plausibili.
Trump occupa il campo
Nel primo scenario Trump occupa il campo del Gop e si dirige verso la rinomina. Nonostante la narrazione attuale, secondo cui le chance di Trump stanno svanendo, l’ex presidente rimane incredibilmente popolare tra i Repubblicani. È ben visto da circa il 70 per cento degli elettori Gop e sfavorevolmente soltanto dal 15 per cento.
Allo stesso tempo, nel testa a testa con altri repubblicani, Trump tipicamente ha ottenuto nei sondaggi attorno ai 40 o 50 punti, significativamente davanti a DeSantis o altri potenziali concorrenti. E mentre DeSantis effettivamente ha ottenuto alcuni sondaggi positivi post midterm, è possibile che si tratti di un aumento temporaneo e che tutto torni allo status quo a favore di Trump.
Non importa quanti articoli i media conservatori come il Wall Street Journal, la National Review o il New York Post pubblichino attaccando Trump, alla fine saranno questi elettori a decidere il candidato repubblicano.
Campo affollato anti Trump
In un secondo scenario diversi repubblicani si sfidano e si dividono l’elettorato. Dopotutto, nel Gop ci sono più politici oltre a Trump e DeSantis che aspirano alla nomina e sono popolari.
Tra questi ci sono Mike Pence, Nikki Haley, Tim Scott, Mike Pompeo e Glenn Youngkin: tutti sembrano rimuginare sulla corsa alla presidenza. Con un campo così vasto, il voto anti Trump potrebbe disperdersi tra vari candidati, spianando la strada a una vittoria di Trump con il solo sostegno della pluralità. Questa, in sostanza, sarebbe una riedizione del 2016.
Allora il voto anti Trump si divise tra Ted Cruz, Marco Rubio, John Kasich e Ben Carson fino all’inizio di marzo, e a quel punto lo slancio di Trump è stato inarrestabile.
L’entusiasmo per DeSantis
Un terzo scenario è che DeSantis scenda in campo: l’entusiasmo monta e gli elettori repubblicani rapidamente abbandonano Trump per questa nuova faccia. Gli eventi della settimana scorsa rendono questa cosa più possibile, anche se molti esperti si sono spinti troppo oltre nel dire che la fine di Trump è cosa fatta.
Alcuni sondaggi pubblicati dopo le elezioni di midterm mostrano che il sostegno a DeSantis cresce rapidamente, qualcuno addirittura lo mette davanti a Trump. Un recente sondaggio YouGov, ad esempio, vede DeSantis davanti a Trump, in un testa a testa 42 contro 35 per cento. Diversi altri sondaggi sui primi stati che affronteranno le primarie e che sono importanti per stabilire lo slancio dei candidati e hanno un’influenza enorme nelle primarie, mostrano DeSantis davanti a Trump.
Se questo sostegno si dimostrerà reale e sostenibile, DeSantis ha una chiara strada verso la vittoria, soprattutto se rimane uno dei favoriti dei media conservatori e dei benefattori desiderosi di liberarsi di Trump. Oltre a tutto questo, un precedente storico agisce contro Trump: nessun partito ha rinominato un candidato presidenziale perdente in oltre 50 anni (da quando i repubblicani hanno nominato Nixon nel 1968).
Un candidato moderato
Un quarto e ultimo scenario inizia allo stesso modo del secondo, con tanti candidati repubblicani che scendono in campo. Ma in questo scenario, Trump e DeSantis si dividono il voto populista aprendo un varco a un contendente più moderato.
Un candidato come Tim Scott o Glenn Youngkin potrebbe guadagnare una pluralità di sostegno nei primi stati primari e su quello costruire la nomina. E data la pessima prestazione repubblicana tra gli elettori indipendenti nel midterm, alcuni elettori repubblicani potrebbero sostenere questi candidati a causa della loro percepita “eleggibilità”, che è ciò che ha portato Biden oltre il limite nella nomination democratica del 2020.
Rimane da vedere come reagirebbe in uno scenario del genere la base hardcore di Trump, quella che sarebbe rimasta con lui anche se avesse sparato a qualcuno sulla Fifth Avenue. Abbandonerebbe la festa per frustrazione? Se ne starebbe a casa? Ispirare Trump a prendere spunto dalla fallita candidatura presidenziale del 1912 di Theodore Roosevelt e condurre una campagna di ribelli di un terzo partito, quasi garantendo una vittoria democratica? Non c’è davvero modo di saperlo.
Alla fine non ci rimane che aspettare e vedere quale strada imboccherà il Gop. Con così tante incognite, la cosa saggia è astenersi dalle dichiarazioni troppo certe su chi vincerà la nomina repubblicana. In questo frangente è più probabile che tali previsioni riflettano le proprie preferenze politiche più che le prove effettive.
È emozionante che finalmente ci sia la possibilità che gli elettori delle primarie repubblicane mettano l’ultimo chiodo nella bara della carriera politica di Trump. Ma l’idea che un avversario repubblicano di Trump possa rivelarsi un’alternativa possibile non deve farci confondere il desiderio per un’analisi accurata.
Questo articolo è stato pubblicato sulla testata online Persuasion. Traduzione di Monica Fava
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