- L’esito del voto è imprevedibile e nessuna delle coalizioni sembra avere la maggioranza, ma secondo gli osservatori in ogni caso andrà male per la sinistra. I due scenari più probabili sono una grande coalizione oppure un governo centrista con i voti della destra radicale.
- L’ago della bilancia è il due volte primo ministro liberale Lars Rasmussen che assicura di volere a una grande coalizione che escluda gli estremi. Ma i suoi rapporti con la leader socialdemocratica Frederiksen sono pessimi e senza di lei non potrà formare una vasta alleanza.
- Rimane l’alternativa di appoggiare la coalizione di destra, il blocco blu, che include anche i partiti della destra radicale e populista che Rasmussen, per primo, ha portato nella maggioranza di governo, ma con cui ha rotto pochi anni fa annunciando di non volerci avere più nulla a che fare.
Domani, in Danimarca si voterà per le elezioni anticipate. Anche se l’esito è imprevedibile, sembra che in ogni caso non ci saranno buone notizie per la sinistra. Secondo gli osservatori due sono gli scenari più probabili: la prima grande coalizione dal 1978 ad oggi, oppure un ritorno al potere dei centristi con i voti della destra radicale, come già accaduto nella vicina Svezia e in Italia.
Come siamo arrivati qui
Le elezioni anticipate sono state causate dalle dimissioni della prima ministra Mette Fredriksen, al governo dal 2019 con un monocolore socialdemocratico di minoranza. Mor Mette, o “mamma Mette”, come è stata soprannominata per il suo piglio decisionista durante la gestione del Covid, è finita travolta dal cosiddetto scandalo dei visoni: lo sterminio di oltre 15 milioni di animali da allevamento nel timore che potessero generare una nuova variante di Covid. Decisione illegale, come ha stabilito una commissione di inchiesta, e che ha spinto i suoi alleati di sinistra, che le fornivano appoggio esterno, a chiedere elezioni anticipate. Lo scorso 5 ottobre, Fredriksen ha annunciato elezioni anticipate, mettendo fine al suo originale esperimento rosso-bruno: un governo di sinistra in economia ma di destra dura sui temi dell’immigrazione.
I concorrenti
Al momento nessuno dei due tradizionali blocchi in cui si divide la politica danese sembra avere la maggioranza: né i rossi di Fredriksen e dei suoi alleati verdi e di sinistra, né i blu guidati dai liberali e sostenuti da una falange di partiti che vanno dagli ultra-libertari alla destra radicale.
Con ogni probabilità, l’ago della bilancia sarà il nuovo partito moderato fondato dal due volte primo ministro Lars Rasmussen, una sorta di highlander della politica danese, più volte dato per politicamente morto, ma sempre in grado di tornare al centro della scena. Con circa il 10 per cento dei voti, Rasmussen potrebbe decidere chi avrà la maggioranza nel Folketing, il parlamento danese. Da consumato centrista, Rasmussen chiede un governo moderato, che tenga fuori gli estremi di entrambi gli schieramenti. Un grande coalizione, insomma, come in Danimarca non si vede dalla fine degli anni Settanta.
Problemi personali
È la stessa cosa che ha chiesto Fredriksen nel discorso delle sue dimissioni. La crisi del Covid e le tensioni con la Russia, ha detto, hanno riavvicinato i politici e ora è il momento per un’alleanza non ideologica. Il problema è che i due non si amano. Rasmussen ha già detto che intende vederci chiaro nell’affare dei visoni e spingerà per una nuova inchiesta dopo le elezioni. Più in generale, entrambi personalità forti, abituate a comandare e poco inclini a condividere le decisioni.
Inoltre, con i Socialdemocratici dati al 25 per cento, più del doppio dei Moderati di Rasmussen e di qualsiasi altro partito, sembra quasi impossibile che in caso di grande coalizione il veterano 58enne possa aspirare al ruolo di primo ministro. Rasmussen ha più possibilità di diventare capo del governo se decidesse di fornire i suoi voti al blocco blu. L’alleanza di destra è una coalizione più eterogenea dei rossi e senza un partito così nettamente dominante come sono i Socialdemocratici a sinistra. Ma è anche una coalizione di cui fa ormai parte integrante la destra radicale, anti-immigrati e anti-islamica.
Il ritorno della destra
Come leader dei liberali negli anni Duemila, Rasmussen è stato uno dei primi politici europei a normalizzare la destra populista, accettando i voti del Partito del popolo danese per tenere in piedi i suoi governi. Dal 2019, però, ne ha preso le distanze annunciando che non intendeva più far condizionare i suoi governi dalle loro «politiche estreme». In quell’occasione, ha offerto per la prima volta il ramoscello di una grande coalizione a Frederiksen che però ha respinto la sua offerta, varando il monocolore socialdemocratico caduto un mese fa.
Oggi, lo storico Partito del popolo danese rischia di restare sotto la soglia di sbarramento, ma è stato sostituito da nuove formazioni altrettanto radicali: i Democratici danesi della mini-Trump Inger Stjberg e la Nuova destra di Pernille Vermund (entrambe fuoriuscite dai due principali partiti del centrodestra danese: i liberali e i conservatori). L’unica strada che riporti Rasmussen alla guida del governo, quindi, sembra passare per un nuovo accordo con la destra radicale e il rinnegamento delle sue promesse. Comunque vada, grande coalizione o governo di destra, sembra chiaro che dopo tre anni di esperimento rosso-bruno di Frederiksen il bruno è destinato a restare, mentre il rosso sembra che si perderà per strada.
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