Il governo Danese di Matte Frederiksen, che metteva insieme durissime politiche anti-immigrazione e critica da sinistra alla globalizzazione e alla terza via, è caduto per uno scandalo legato agli animali da pelliccia. Ora la prima ministra promette di governare con i centristi
Il governo danese è caduto per colpa dei visoni. Mette Frederiksen, la prima ministra socialdemocratica, definita la più euroscettica nella storia del paese, ha annunciato elezioni anticipate per evitare un voto di sfiducia da parte dei suoi alleati di sinistra.
La ragione del voto: l’uccisione di 15 milioni di visoni per ragioni sanitarie all’inizio dell’epidemia di Covid-19. Recentemente, una commissione ha stabilito che la decisione era incostituzionale, anche se ha precisato che Frederiksen non ha consapevolmente compiuto azioni illegali.
È la fine di un esperimento, iniziato dopo le elezioni del 2019, vagheggiato da molti a sinistra, ma che quasi mai qualcuno era riuscito a mettere in pratica così efficientemente: mettere insieme i temi tradizionali della sinistra socialdemocratica con una durezza nei confronti dell’immigrazione degna di un partito di destra radicale.
Euroscettica e anti-migranti
Si tratta di un mix che nella polemistica viene spesso definito «rosso-bruno», dall’unione del rosso della sinistra con il bruno dell’estrema destra (il bruno era il colore delle camicie dei nazisti). Un mix che ha caratterizzato la storia recente del Partito socialdemocratico danese e in particolare quello della sua attuale leader, Mette Frederiksen.
Eletta alla guida del partito nel 2015, all’età di 38 anni, Frederiksen ha subito iniziato a spostare il partito a sinistra sui temi economici e sociali, sostenendo la necessità di aumentare i sussidi e rafforzare il welfare e di consentire una pensione anticipata a chi aveva lavorato a lungo.
Nel dicembre 2018, Frederiksen ha esposto il suo “manifesto” in un’assemblea di socialisti europei a Lisbona. Il suo intervento è stata una critica sferzante ai suoi colleghi. Il loro errore, ha sostenuto, era stato abbracciare troppo convintamente la globalizzazione e la cosiddetta «terza via» proposta dall’ex primo ministro britannico Tony Blair causando una progressiva erosione dei diritti dei lavoratori e un aumento delle diseguaglianze. «Abbiamo fallito nel mantenere quel contratto sociale che costituisce le fondamenta del modello socialdemocratico», ha redarguito gli altri leader di partito.
Ma per la neo-leader socialdemocratica, il problema non riguardava solo l’economia. I socialdemocratici europei, sostiene, hanno abbracciato con troppa convinzione anche la politica della «porta aperta» all’immigrazione. Una sfida «che per troppi anni abbiamo sottovalutato».
Per Frederiksen, l’unica risposta possibile all’immigrazione è fermarla. la religione islamica, sostiene, «rappresenta un ostacolo all’integrazione» e le scuole islamiche andrebbero chiuse. Sotto la sua guida, i socialdemocratici hanno votato a favore di quasi tutte le più controverse proposte anti-immigrazione del governo di destra uscito dalle elezioni del 2015, come quella di sequestrare denaro, gioielli e altri beni di valore ai richiedenti asilo e quella di utilizzare come centro di raccolta per i profughi un’isola in cui in passato venivano realizzati esperimenti sulle malattie infettive trasmesse dagli animali. Poco prima delle ultime elezioni, un ritratto del Guardian la definiva «leader di sinistra anti immigrati».
Il governo «rosso-bruno»
Con questa piattaforma, i socialdemocratici di Frederiksen sono riusciti a restare il primo partito del paese, evitando il declino apparentemente inarrestabile che ha colpito gran parte dei socialisti del continente. Nel 2019, con l’appoggio esterno dei partiti di sinistra, Frederiksen ha potuto formare un governo di minoranza in cui è diventata allo stesso tempo la più giovane prima ministra nella storia del paese e, come l’ha definita un quotidiano danese, la più euroscettica degli ultimi anni.
Anche se alle elezioni del 2019 i socialdemocratici non hanno aumentato i loro voti rispetto (sono passati dai 924mila voti del 2015 a 914mila), le sue posizioni nettamente a sinistra in economia e a destra sull’immigrazione, hanno causato un piccolo terremoto nel panorama elettorale danese.
La destra radicale del Partito del popolo danese è stata svuotata, con un quarto dei suoi elettori passati ai socialdemocratici e molti altri transitati a formazioni ancora più estreme. Ma per ogni voto arrivato da destra, i socialdemocratici ne hanno perso almeno uno verso partiti più a sinistra o comunque più aperti nei confronti dell’immigrazione, come l’alleanza Verde-Rossa o il Partito popolare socialista.
Una volta al governo, Frederiksen è riuscita a portare avanti buona parte delle sue politiche. Nel 2020 ha fatto approvare la sua riforma della pensione anticipata, anche grazie ai voti della destra radicale del Partito del popolo danese. Ha portato avanti ambiziose politiche climatiche e, anche se ha moderato le sue posizioni sull’immigrazione, nel 2021 ha annunciato che l’obiettivo del suo governo era arrivare a una situazione di «zero rifugiati nel paese». Tra le proteste della sinistra, ha autorizzato il rimpatrio di numerosi rifugiati siriani, sostenendo che la situazione nel paese non fosse più pericolosa.
La fine dell’esperimento
Dopo tre anni di governo con l’appoggio esterno sempre meno convinto degli altri partiti di sinistra e centrosinistra, Frederiksen si è vista costretta ad annunciare elezioni anticipate. Il casus belli, lo sterminio di tutti i visoni presenti nel paese, sospettati di ospitare una pericolosa variante del Covid-19, è considerato da molti una scusa.
I rapporti con gli alleati erano ormai logorati, soprattutto per le differenti visioni sull’immigrazione. Ora Frederiksen dice chiaramente che il suo obiettivo è tentare un nuovo esperimento mai provato prima nella storia danese: una grande coalizione «che metta insieme partiti ad entrambi i lati del centro dello schieramento».
Con i sondaggi che mostrano una sostanziale parità tra il blocco formato dai tre partiti di sinistra e la coalizione di destra, mettere insieme socialdemocratici, liberali e conservatori sembra l’unica strada per restare al governo. Se il piano dovesse funzionare, è difficile immaginare una riedizione del suo governo «rosso-bruno». La parte «rossa» dovrà essere abbandonata, o almeno fortemente ridimensionata.
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