«Friedrich Merz si è candidato per trascinare l’Europa alla tomba». Così dice il cancelliere tedesco, rivolto al suo principale avversario nella corsa al voto che, in un modo o nell’altro, cambierà il volto della Germania e forse del Vecchio Continente. «Olaf Scholz agita lo spauracchio dell’AfD. Colpa del suo governo se oggi l’ultradestra ha consensi stellari», risponde Merz, puntando il dito verso i banchi del governo.

Benvenuti al Bundestag per l’ultimo dibattito prima delle elezioni del 23 febbraio, quelle che fotografano una Germania mai così fragile e mai così attorcigliata su se stessa: una specie di crisi d’identità senza precedenti dal Dopoguerra a oggi, che destabilizza i tedeschi e fa paura in tutta l’Ue. Un paese che assiste incredulo a fluttuazioni inedite (e imponenti) nei favori elettorali, nel quale stando ai sondaggi l’ultradestra ha raddoppiato in poco più di un anno i propri consensi arrivando al 20 per cento, dove l’Spd del cancelliere è precipitata al 16 per cento, dove la Cdu/Csu di Merz sfiora il tetto del 30 per cento, oltre il doppio dei Verdi, mentre i liberali – la “terza gamba” della coalizione “semaforo” implosa a novembre – corrono il serio rischio di rimanere fuori dal parlamento.

Calor bianco

Lo scontro al calor bianco tra Scholz e Merz di questi giorni la dice lunga della nuova grande paura tedesca, così come sono emblematici gli imponenti cortei di protesta anti AfD sfilati nei giorni scorsi nelle grandi città tedesche: 200mila a Berlino, altrettanti a Monaco, piazze gremite anche ad Amburgo, folle “accese” dal tentativo di Merz di far passare furenti strette alla politica migratoria con i voti dell’ultradestra paranazista: una violazione di un tabù – la caduta, sia pur momentanea, del “muro di fuoco” contro l’AfD – costata cara al candidato cancelliere cristiano-democratico, messo in minoranza al voto parlamentare con il fondamentale contributo dei franchi tiratori di casa propria.

Una campagna elettorale “all’italiana”, commenta sulfureo Politico. Di sicuro sono scene di un paese che non sa come districarsi tra le varie crisi, che sono tante e simultanee. L’istituto Ifo non esita a parlare di «paralisi» a fronte di una spirale attorcigliata di dati discendenti da film horror: calo degli investimenti pubblici e privati, crollo della fiducia delle imprese, l’industria dell’automobile in un vicolo cieco, flessioni importanti nell’industria manifatturiera e nell’edilizia.

In un quadro del genere, immaginare che tipo di governo emergerà dalle urne pare un sudoku insolvibile: se, come sembra, sarà la Cdu/Csu di Merz a uscirne vittoriosa e dato che l’unico altro partito in ascesa è l’AfD (ossia quell’ultradestra con la quale anche ieri, per l’ennesima volta e in contraddizione con l’improvvido voto di due settimane fa, un impassibile Merz ha giurato che non si alleerà mai e poi mai), con chi potrà governare il conservatore che vive con disagio l’eredità di Frau Merkel?

Per gli istituti demoscopici, la maggioranza dei tedeschi è favorevole a una Grosse Koalition (Cdu/Csu con Spd): ma c’è chi teme che il livello dello scontro tra Merz e Scholz (il quale ha detto che l’avversario «non è più degno di fiducia» dopo il voto con l’AfD) scavi un abisso talmente grande da far prevedere trattative di coalizione esasperate, se non impossibili. Con gli altri partiti non va meglio: il BSW di Sahra Wagenknecht è semi impresentabile per le sue pulsioni anti migranti e filoputiniane, i Verdi di Robert Habeck sono il bersaglio preferito dei conservatori, i liberali di Christian Lindner sembrano sul punto di inabissarsi.

Ombre russe

Quale sia la causa-madre dei tanti abissi di questa Germania del nuovo millennio non è difficile dirlo: si chiama Ucraina, ovvero Russia. E non solo perché in tempo record la Repubblica federale ha dovuto rinunciare alla quasi totalità del gas russo con il fermo di Nord Stream 2: il punto politico è che l’invasione russa ha capovolto alcuni dei totem tedeschi sulla scena globale (vedi alla voce Ostpolitik) e in politica energetica. Idem la Cina: il 2024 ha segnato una vera e propria implosione dell’export tedesco verso il grande dragone, crollato con percentuali a doppia cifra.

È un corto circuito che non solo spaventa i tedeschi che temono di vedere evaporare nel nulla il mitico dogma della stabilità, ma spaventa anche il resto dell’Europa. La domanda che più spesso si sente ripetere a Bruxelles e nelle altre capitali dell’Ue è semplice e terribile: che ne sarà del Vecchio Continente già alle prese con l’uragano Trump se il gigante tedesco non riuscirà a uscire dal pantano e verrà travolto dall’onda nera di un’AfD irrefrenabile? Ed è Merz l’uomo giusto per una svolta di tali dimensioni? Lo è Scholz, duramente ammaccato? Oppure, per il complicatissimo intreccio di un’economia in tilt e le crisi sul proscenio globale, Berlino oggi è troppo debole per poter gestire la sfida? I due contendenti – l’anti-Merkel per eccellenza e il socialdemocratico sbiadito – cercano di rispondere duellando al Bundestag, i tedeschi si avviano verso le urne sempre più confusi e sfiduciati.

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