- Nel programma di governo Boric ha indicato la necessità di intervenire sui settori che producono il più alto consumo di risorse naturali: dall’estrazione del rame all’agricoltura, alla pesca.
- Ma questi settori sono anche quelli che hanno trasformato il Cile nell’economia più sviluppata del Sudamerica.
- Boric non ha una maggioranza parlamentare, ma è considerato un buon negoziatore. Più che conquistare consensi al centro, il suo problema principale sarà tenere a bada le richieste alla sua sinistra.
Transizione ecologica, uno sfruttamento più equo della terra e del mare, le grandi fonti di ricchezza del lungo e stretto paese all’estremo occidente della Terra. Adesso il problema di Gabriel Boric, fresco trionfatore delle elezioni in Cile, sarà quello di far diventare un assai ambizioso programma di governo qualcosa di almeno parzialmente realizzabile.
Dovrà lottare contro l’anima profondamente conservatrice della metà scarsa del paese che non ha votato per lui, temendolo come un diavolo comunista pronto a giustificare la violenza.
Convivere con un Congresso spaccato nel quale nessuno schieramento politico ha una maggioranza solida – quindi nemmeno lui – sapendo che al suo fianco, ma del tutto autonoma nei poteri, c’è un’Assemblea costituente già installata che ha un compito ancora più ampio, che è quello di riscrivere da zero la legge fondamentale dello stato ereditata dalla dittatura militare.
Ma soprattutto Boric deve rendere conto a chi l’ha portato a un trionfo oltre ogni aspettativa: i giovani, i millennial come lui che domenica hanno vinto la pigrizia e l’astensionismo e sono andati a votare. Solo così il Cile ha piegato la destra reazionaria che era rappresentata da José Antonio Kast e al primo turno aveva prevalso di poco su Boric.
Tutto e subito
Quando all'inizio di quest’anno ha presentato il programma di governo, il neo presidente cileno era soltanto il rappresentante di un’ala radicale della società. Velleitaria, come si diceva una volta, tutto e subito. Appena scesa dalle barricate e con le mani sporche di polvere e sangue, accusavano i suoi detrattori.
A fianco del giovane ex dirigente degli universitari c’erano soltanto lo storico Partito comunista cileno, un pezzo di storia del Novecento, quello che ha pagato il tributo più alto in morti e desaparecidos della dittatura militare (1973-1990); e poi il cosiddetto Frente amplio, variegata costellazione di movimenti nati dalle proteste di piazza, una specie di Cinque stelle decentralizzati.
Normale quindi che un programma del genere potesse permettersi il lusso di citare quattro «prospettive trasversali» come prioritarie: il femminismo, una transizione ecologica giusta, la decentralizzazione e la garanzia di un lavoro decente.
Tutto il resto, l’economia, il fisco, la salute e l’educazione dovevano ruotare attorno a queste grandi utopie. Poi tra il primo e il secondo turno Boric ha affiancato agli slanci ideali la necessità di guardare agli elettori più moderati per portare a casa il risultato.
Ci è riuscito, ammettendo per esempio che le preoccupazioni della destra su violenza, narcotraffico e immigrazione illegale avevano un fondamento e dovevano essere considerate.
Esportazioni di successo
Ma è il tema della transizione ecologica quello su cui sia il suo elettorato storico sia quello trovato per strada nell’ultimo mese, soprattutto tra i giovani, gli chiederanno presumibilmente conto al più presto.
La questione è delicata, perché l’industria mineraria, l’agricoltura intensiva, la pesca e la salmonicoltura sono sia i capisaldi del boom economico cileno negli ultimi 30 anni, sia i settori ad alto consumo di risorse sulle quali la sinistra vuole intervenire.
Il Cile è di gran lunga il paese più sviluppato del Sudamerica, l’unico nel subcontinente ad avere una poltrona nell’Ocse, grazie al successo del suo modello di esportazione, costruito – va ammesso senza reticenze – già durante la dittatura e anche grazie alle ricette iperliberiste applicate senza troppe remore.
Ai tempi di Salvador Allende c’era solo un prodotto, il rame, del quale il paese andino era ed è tuttora il primo produttore al mondo. In Cile, alla radio di prima mattina, si danno le previsioni del tempo, del traffico, il prezzo del dollaro e quello del rame. Il 10 per cento del pil ruota attorno a questo metallo, scende e sale insieme alle sue quotazioni. Gli altri sono successi più recenti.
Il clima dolce e mediterraneo della parte centrale del paese ha permesso la nascita di una industria della frutta e del vino di eccellenza mondiale. Mele, pere e agrumi, con i cicli di raccolta invertiti grazie alle stagioni, hanno invaso le bancarelle dell’emisfero nord.
Vini a prezzi ragionevoli hanno raggiunto livelli di qualità simili a chi, come l’Italia e un’altra manciata di paesi europei, li produce da millenni. Infine nelle gelide acque del Pacifico meridionale si è sviluppata la pesca intensiva e soprattutto la coltivazione del salmone – del quale oggi il Cile è il secondo produttore al mondo dopo la Norvegia – che oggi si trova sulle tavole di tutto il mondo anche grazie ai prezzi irrisori rispetto a quelli del passato.
Per un paese che si attraversa in larghezza in due ore di macchina, tutto questo ha ovviamente comportato uno sfruttamento intensivo delle risorse. Sul tema dell’agricoltura il programma di Boric parla di «modernizzare e trasformare il sistema agroalimentare cileno, abbandonando l’ottica settoriale e esportatrice, rafforzando il ruolo dell’agricoltura familiare contadina e la pesca artigianale». Quasi un’utopia.
Occorre poi una valutazione dell’impatto ambientale ed economico delle attività di acquacoltura, sulla base delle informazioni scientifiche. Con uno dei litorali più lunghi del mondo, il Cile avrebbe bisogno di una legge apposita sulla costa che valuti l’effetto dei cambiamenti climatici, l’erosione e le conseguenze delle attività portuali.
Per quanto riguarda le miniere, attività intensiva nei deserti del nord, Boric vorrebbe aumentare l’uso di energia pulita per arrivare a un impatto di carbonio zero, oltre ad aumentare le imposte sulle grandi ricchezze del sottosuolo.
Statalizzare il litio
Sul litio, la preziosa materia prima necessaria per costruire le batterie delle auto elettriche della quale il Cile è il secondo produttore al mondo, il nuovo presidente vorrebbe creare una impresa statale.
Non è poca roba, come si può vedere. Tutte le filiere del boom economico cileno ne sono interessate e molto rischia per questo di restare una utopia. Qualche preoccupazione viene segnalata dal fatto che ieri mattina la Borsa di Santiago ha aperto in calo e il dollaro ha raggiunto il livello più alto della storia sul peso cileno.
Neanche a dirlo, i mercati avrebbero preferito la vittoria del candidato di destra, più probusiness. Boric dovrà poi gestire un bilancio dello stato sfiancato dal deficit causato dalla pandemia, perché il Cile è stato uno dei paesi più generosi con i cittadini e le imprese durante i lockdown.
Per mantenere le promesse di un paese meno classista nelle aule scolastiche e negli ospedali servono soldi, e quelli che deriverebbero da un aumento delle imposte ai più ricchi o all’industria del rame potrebbero non bastare.
Dalla sua ha una crescita del Pil del 12 per cento nel 2021, che gli viene lasciata in eredità dal presidente uscente Sebastián Piñera. Boric non avrà una maggioranza parlamentare di partenza, ma è considerato un buon negoziatore. Per molti osservatori, più che conquistare consensi al centro, il suo problema principale sarà tenere a bada le richieste alla sua sinistra, soprattutto dei comunisti, lontani da tempo dal potere, che si considerano i principali vincitori.
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