Più ci si inoltra nella campagna elettorale, più la lista degli errori dei conservatori si allunga in modo imbarazzante. Ultima in ordine di tempo: lunedì il primo ministro ha dovuto dichiarare ufficialmente che non ha nessuna intenzione di dimettersi dalla guida del partito prima che le urne vengano aperte
Chi vincerà le elezioni nel Regno Unito il prossimo 4 luglio lo sappiamo già, quello che deve essere deciso dalle urne è la dimensione e la portata politica della vittoria laburista: se paragonabile a quella di Tony Blair in termini di numeri, oppure a quelle di Harold Wilson nel 1964 e 1966, minori in cifre assolute ma foriere di profonde trasformazioni, oppure, sognando ad occhi aperti, a quella di Attlee nel 1945.
Che infatti il partito conservatore sia finito, anche questo, lo ripetiamo da tempo. La domanda ora rischia di essere un’altra però: se la debacle di Rishi Sunak si tradurrà anche nella scomparsa del più antico partito d’Europa.
Più ci si inoltra nella campagna elettorale, più la lista degli errori dei conservatori si allunga in modo imbarazzante. Ultima in ordine di tempo: lunedì il primo ministro ha dovuto dichiarare ufficialmente che non ha nessuna intenzione di dimettersi dalla guida del partito prima che le urne vengano aperte. Sembra insomma di vedere a rallentatore una delle scene finali del film Suburra, dove Pierfrancesco Favino rincorre disperato l’auto di Berlusconi che lascia per l’ultima volta palazzo Chigi, anche se in questa versione il protagonista assomiglia più a Mr. Bean.
Sarà forse divertente fare la classifica del peggio, ne potrebbe uscire un nuovo genere letterario, ma a ben guardare oltre la superfice quello che sta accadendo al partito conservatore avrà potenti conseguenze. L’aver lasciato il ministro degli Esteri Cameron a rappresentare il Regno Unito alla cerimonia ufficiale per le celebrazioni dello sbarco in Normandia per correre a Londra a farsi intervistare dalla rete televisiva ITV è stato il momento definitivo. I soliti beninformati sostengono che Sunak non ci volesse neppure andare. Non aver compreso la rilevanza politica di quell’assenza è veramente inspiegabile, soprattutto per un partito che ha puntato tutta la propria campagna elettorale sull’elettorato anziano.
O meglio, forse lo si può in parte comprendere – non certo giustificare – se vista attraverso la totale espulsione del concetto politico, culturale e ora possiamo aggiungere pure geografico dell’Europa. Un processo iniziato da tempo, con la saldatura dell’euroscetticismo alla deindustrializzazione e alla crisi finanziaria, che ha radici nell’uso opportunistico della storia da parte sia di conservatori che laburisti e che la Brexit ha calcificato. Il partito conservatore è dilaniato da decenni dalla questione europea e oggi sembra morire per autocombustione.
Non a caso, infatti, Nigel Farage ha deciso di candidarsi ed è pronto a prendersene le spoglie. Lui che sull’Europa ci ha costruito una carriera. Molte delle spinte di estrema destra che Farage e Reform rappresentano sono già ampiamente innestate e da tempo nella cultura politica di una parte dei tory. Che la Brexit sia la nemesi storica del partito conservatore? Mentre in Europa le urne hanno cementato un’onda di destra estrema xenofoba, nativista e con punte neonaziste inquietanti come in Austria, nel Regno Unito si sta svolgendo una battaglia opposta – è infatti la sinistra pacata di Starmer che sta per annientare Sunak – ma per molti versi si tratta di un corso contrario ma uguale.
Quello che sembra uscire da entrambi i processi elettorali è una forte voglia di isolamento incentrato su una nostalgia generica (per la nazione, la tradizione e ahimè, in Inghilterra, anche l’impero). Non sto dicendo che la sorte del partito conservatore di Cameron prima, e ora di Sunak, entrambi convinti di poter contenere includendole le spinte razziste e nativiste travestite da antieuropeismo di Farage e dei suoi, rappresenti l’anteprima e il modello di quello che è accaduto lo scorso week-end nei seggi europei.
L’Europa che si replicherà a Bruxelles quando riaprirà il parlamento non sarà molto diversa in termini di alleanze e di equilibri di forze da quella che c’era prima. Ma i paesi che ne fanno parte stanno subendo una trasformazione politica drammatica. Sottovalutarla pensando di poterla controllare ammiccandola e integrandola nelle proprie fila, come ha fatto il partito conservatore, dimostra di non essere una soluzione né efficace né democratica.
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