Era il maggio del 2019, e Nigel Farage, il più euroscettico tra i britannici, girava nel Regno Unito con il suo autobus marchiato a capo del suo partito per fare campagna elettorale. I suoi comizi, molto partecipati, erano scanditi da toni aggressivi. Si sarebbe votato alla fine del mese per le elezioni europee. Oggi, cinque anni più tardi, Farage è candidato e ha lo stesso mezzo con cui gira per raccogliere voti nel suo paese a pochi giorni dalle europee. Lo fa con i suoi soliti comizi accesi e politicamente scorretti, o banalmente populisti.

Il tempo sembra essersi fermato, a parte un piccolo dettaglio: la Brexit. Il Regno Unito, infatti, non si appresta a votare per le europee, e il 60enne Farage corre per un seggio a Westminster, non a Bruxelles. La popolazione dell’Ue andrà alle urne per scegliere i propri rappresentanti, e per la prima volta i cittadini britannici rimarranno a guardare. Tutto grazie anche all’impegno profuso da Farage, dal suo Ukip, poi Brexit party e ora Reform Uk.

Il voto europeo oggi sembra ben distante dalle attenzioni dell’opinione pubblica nel Regno Unito, complice la coincidenza con le elezioni che porteranno – dopo 14 anni di guida conservatrice – i laburisti a Downing Street. Al centro dell’agenda elettorale sia di Keir Starmer sia del premier Rishi Sunak, e più dietro anche di Farage ed Ed Davey, leader dei LibDem, ci sono temi precisi: il costo della vita, l’economia, la sanità, l’immigrazione. Questioni caldissime, che però sembrano non tener conto di un gigantesco elefante nella stanza: la Brexit, cioè la causa – perlomeno in parte – delle difficoltà di Londra in questi ambiti. La denuncia arriva dallo European Movement Uk, una vasta organizzazione britannica che vuole mantenere rapporti più che stretti con l’Ue. Dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea si parla sempre meno.

Cittadini e politici vogliono superare il trauma di una spaccatura che ha segnato nel profondo la società. I conservatori tirano dritto, non potendo fare altro. Tuttavia, anche chi nel 2016 ha votato per rimanere in Ue oggi deve fare i conti con la realtà. L’esempio è Starmer, il leader laburista che si appresta a governare. In più di un’occasione ha sottolineato la volontà di fare in modo che la Brexit possa realmente funzionare per la Gran Bretagna, oltre ad auspicare un generico miglioramento delle relazioni con l’Ue. Indietro, però, non si torna.

E se i politici non ne parlano c’è un motivo: secondo una recente rilevazione di YouGov, la futura relazione con l’Ue è considerata tra i temi principali nella competizione elettorale solo dall’8 per cento dei britannici. Ed è il tema prioritario per il 2 per cento. Numeri bassissimi.

La Brexit per Londra

Il Regno Unito, quindi, prova a guardare avanti. Sulle ripercussioni economiche, commerciali e finanziarie per il paese dopo l’uscita dall’Ue sono state pubblicate varie analisi, non sempre dalle conclusioni univoche. A complicarne lo studio, sono state anche la pandemia e la guerra in Ucraina, fattori imprevedibili che si sono intrecciati con la Brexit.

A ogni modo, i dati sono per lo più negativi. In un rapporto del febbraio 2024, Goldman Sachs ha stimato che l’economia del Regno Unito negli ultimi otto anni, cioè dal referendum sulla Brexit, sia cresciuta del 5 per cento in meno rispetto ad altri paesi simili. Se è vero che il Pil britannico negli ultimi tre anni è cresciuto a un tasso maggiore di quello medio dei paesi Ue, si deve considerare che nel 2020 era crollato di quasi il doppio della media Ue. Inoltre, l’inflazione ha colpito più duramente il Regno Unito che l’Unione. Insomma, per adesso gli indicatori non sembrano premiare la scelta del “Leave”.

Tuttavia, ancor più dei numeri, ciò che deve preoccupare Downing Street è la percezione diffusa in questi anni nella popolazione britannica riguardo la Brexit. Il sentimento popolare, seppur indirizzato dai numeri economici e statistici, non sempre può essere spiegato esclusivamente con tabelle e grafici. La maggioranza dei cittadini rimpiange di essere uscito dall’Ue: su questo c’è uniformità nei sondaggi. Per una rilevazione di Statista di metà maggio, il 55 per cento degli intervistati ritiene che uscire dall’Ue sia stato un errore, contro solo il 31 per cento che difende la scelta emersa dalle urne, mentre circa il 13 è indeciso. Come prevedibile sono le nuove generazioni, dai 18 ai 35 anni, che più rimpiangono la decisione di otto anni fa, nonostante ai tempi in molti di loro non abbiano potuto votare.

Tuttavia, pensare che si possa cancellare il voto del 2016 è – nel breve e medio periodo – utopico. Londra vuole provare a perseguire il suo progetto di Global Britain, lo slogan strategico caro ai conservatori che dopo il 4 luglio con i Labour al potere probabilmente cambierà solo nel nome. Non muteranno infatti i contorni della politica estera britannica, alla ricerca di un ruolo nel mondo.

La Brexit per l’Ue

Oltre a scrivere molto sui riflessi della Brexit sul Regno Unito, lo si è fatto anche per quelli sull’Ue. Tralasciando gli effetti economici, l’uscita di Londra ha comportato smottamenti nel continente: non solo per il venir meno dei rappresentanti britannici nelle istituzioni europee, ma anche per la creazione di nuovi scenari politici. Dato il contesto storico creatosi, tra instabilità, crisi e soprattutto il conflitto in Ucraina, ha ripreso slancio il processo di integrazione europea.

Ed è innegabile che se la Gran Bretagna, con la sua storica postura a Bruxelles, fosse stata ancora nell’Unione, le discussioni su possibili allargamenti e maggior cooperazione avrebbero trovato ancora più ostacoli. La Brexit ha poi avuto ripercussioni sulla politica interna di molti paesi, cosa che vediamo anche oggi alle europee. La scia della controversia legale e diplomatica tra Londra e Bruxelles ha contribuito a cambiare la visione generale di quasi tutti i partiti euroscettici, che oggi non chiedono più di uscire dall’Unione. Al massimo vogliono trasformare l’Unione europea. Tutto merito della Brexit di Farage.

Lui intanto continua a girare con il suo bus riscuotendo successo, al punto che rischia di superare i conservatori nei sondaggi. Poco importa se anche lui, lo scorso anno, ha ammesso che – così come è andata – la Brexit «ha fallito». Ci sono nuove elezioni, servono slogan nuovi. Alle conseguenze ci si penserà.

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