Crescono i timori per la salute dello sfidante, sempre più confuso e prono alle gaffe. La campagna sull’età dell’attuale presidente gli si ritorce contro. Harris deve usare il confronto per allargare l’elettorato e convincere gli indecisi, mentre il tycoon può soltanto radicalizzare la sua base
Dopo che il presidente Joe Biden è stato al centro delle chiacchiere e dei retroscena sulla sua senilità per diversi mesi fino alla deflagrazione del dibattito del 27 giugno, adesso tocca al suo avversario delle presidenziali 2020 Donald Trump finire sotto la lente dei media per i problemi riguardanti la sua età, che è la stessa dell’attuale presidente quattro anni fa. Anzi, è di qualche mese più vecchio, essendo lui nato a giugno, mentre Biden è del mese di novembre.
Ad ogni modo non è questione di mesi, ma di coerenza dei discorsi. Certamente il ricordo del borbottio incoerente dell’attuale inquilino della Casa Bianca mentre cercava di rispondere a una domanda qualche mese fa è ben vivo nella memoria di tutti, ma adesso è il tycoon ad affrontare un problema che lui stesso ha sollevato con forza negli ultimi mesi. Prima del ritiro di Biden, invitava il suo avversario ad affrontare un test cognitivo, dicendo che si sarebbe sottoposto all’esame a sua volta, ipotesi che però non è più stata evocata da quando la sua avversaria è Kamala Harris.
La prima volta che gli osservatori si sono allarmati è stato alla fine della convention repubblicana lo scorso luglio: dopo un inizio abbastanza coerente incentrato sull’attentato subito a Butler, in Pennsylvania, dov’è stato lievemente ferito da un proiettile, ha poi proseguito con un campionario di attacchi sguaiati ai democratici, ipotesi complottare sui migranti e mille altri argomenti poco coerenti tra di loro. Per quanto il vigore appaia senz’altro maggiore di quello di Biden, i continui bisticci verbali, come ad esempio quando ha confuso Nikki Haley, sua avversaria alle primarie repubblicane di quest’anno, con Nancy Pelosi l’ex speaker dem della Camera dei Rappresentanti, non mancano.
I suoi sostenitori minimizzano dicendo che, quando “Trump fa Trump” è torrenziale e incontenibile, pertanto non bisogna farci caso, è parte del suo personaggio. Però va detto che a fine 2023, quando il tycoon si rifiutava di partecipare ai dibattiti pre primarie, qualcuno come il governatore della Florida lo chiamava «disperso» e faceva notare che qualche anno prima lo stesso Trump avrebbe travolto la platea e demolito gran parte degli avversari.
Nello stesso periodo la già citata Nikki Haley sosteneva che il partito che avesse sostituito per primo il proprio candidato ottuagenario o quasi avrebbe vinto le elezioni.
Gli indipendenti
Adesso c’è un nuovo dibattito e stavolta è proprio Trump a finire sotto i riflettori per capire se i suoi attacchi estremi e i suoi insulti sono una caratteristica strutturale del personaggio oppure siamo di fronte a una situazione speculare a quella dem di qualche mese fa. Dipende da quanto i risultati dello scontro con la sua avversaria rimarranno al centro delle notizie, presumibilmente non molto, dato che la campagna sta andando veloce e la stabilità intellettuale non è una mai stata una caratteristica su cui Trump ha puntato in passato.
Né adesso è quello che lega a sé i fedelissimi che, per citare un suo vecchio detto, non lo mollerebbero «nemmeno se si mettesse a sparare sulla folla». Però il tema c’è per quella fascia d’indipendenti che nel 2016 gli ha concesso il beneficio del dubbio. E la partita sarebbe tutt’altro che chiusa in questi due mesi scarsi che ci separano dal fatidico giorno delle elezioni presidenziali.
Secondo gli ultimi sondaggi, la luna di miele dell’elettorato per Kamala Harris è finita e i numeri ci restituiscono una situazione di quasi perfetta parità, con alcune rilevazioni che assegnano 270 voti di grandi elettori al ticket dem contro 268 per i repubblicani.
Però stavolta, se un Trump ancora più estremo di quello di otto anni fa è una proposta difficilmente digeribile, Kamala Harris deve ancora fare un passo in più per aprirsi una strada al centro con proposte concrete che segnino una cesura rispetto a Joe Biden che negli ultimi mesi, per ragioni di sopravvivenza politica, si appoggiava sempre più alla sinistra dei dem. Al momento però i dettagli continuano a mancare, con l’eccezione di un nuovo piano per la tassazione delle rendite finanziarie, più moderato rispetto all’idea che aveva il presidente uscente.
La polarizzazione poi ha reso il centro un soggetto quasi mitologico, ed entrambi i candidati giocano sul fatto che, andando sempre più avanti, gli elettori si decidono sempre di più e gli daranno il sostegno necessario, appoggiandosi a un 40 per cento circa di votanti militanti che sostengono le ragioni dei rispettivi schieramenti.
Anche per questo un Trump sempre più scatenato e sempre più fuori giri, che attacca l’eolico come una delle cause per cui gli americani non mangiano più bacon o che dice che nelle scuole si praticano i cambi di genere per gli studenti risulta sempre più lontano dalla maggioranza degli americani. Che, se avevano dubbi sulla tenuta mentale di Biden, ora cominciano ad averli anche su di lui.
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