In una convention “anomala” i dem devono ricompattare la sinistra e mantenere il morale alto. Lo scopo è trasmettere l’identità di una candidata che il paese non conosce ancora bene
È una convention presidenziale sui generis quella che il partito democratico tiene in questi giorni a Chicago. Non una vecchia convention aperta, pre-anni Settanta, dove i delegati si confrontano per scegliere il ticket presidenziale, come auspicato da taluni quando Joe Biden ha annunciato che non si sarebbe ricandidato. Ma nemmeno una convention classica come quelle dell’ultimo mezzo secolo, dove s’incorona il vincitore (o la vincitrice) delle lunghe primarie iniziate il gennaio precedente. Kamala Harris, che giovedì accetterà la nomination del suo partito, vi arriva priva di quella legittimazione. Senza aver sfruttato il ciclo delle primarie per definirsi e presentarsi all’elettorato.
I democratici si ritrovano con un ticket calato in una certa misura dall’alto. Imposto forzosamente dal declino fisico e dalla senilità del Presidente in carica, e dalla sua indisponibilità a farsi da parte in tempo utile (quel tempo sarebbe stato più di un anno fa, dopo l’ottimo risultato al mid-term del 2022 e i successi legislativi per certi aspetti straordinari ottenuti fino ad allora). Ed è anche per questo che la singolare convention di Chicago costituisce uno snodo particolarmente importante.
Tre obiettivi
In questi quattro giorni Harris e i democratici debbono cercare di raggiungere almeno tre obiettivi. Il primo è quello di sfruttare la convention e la sua ampia copertura mediatica per imprimere ulteriore spinta all’entusiasmo, per certi aspetti inatteso, generato dalla candidatura della Vicepresidente. Un entusiasmo quantificabile in sondaggi che mostrano come la partita sia stata riaperta e che la strada per un’eventuale vittoria democratica in novembre non passi più solo ed esclusivamente per il bluewall dei tre swing states del Midwest, Wisconsin, Michigan e Pennsylvania (rimettere in gioco Arizona, Georgia e North Carolina significa avere opzioni alternative e costringere la campagna elettorale della controparte a dirottarvi risorse, tempo ed energie). E un entusiasmo visibile in un dato, sottaciuto ma forse ancor più importante dei sondaggi: la crescita delle registrazioni di elettori democratici, soprattutto giovani e minoranze, proprio negli Stati che saranno decisivi in novembre.
Unità e identità
Il secondo obiettivo è quello di preservare e ostentare l’unità di un partito che è strutturalmente meno coeso e omogeneo della controparte repubblicana. È stato questo uno dei più grandi successi dell’amministrazione Biden, che si è contraddistinta per una disciplina estrema (e un bassissimo turnover), estesa anche a una rappresentanza democratica al Congresso nella quale i dissensi sono stati ridotti al minimo e nei voti decisivi non vi è stata alcuna defezione. Sappiamo che queste ultime settimane hanno messo a dura prova tale coesione sia nel passaggio dalla candidatura di Biden a quella di Harris sia nella decisione di preferire come vice di Harris il governatore del Minnesota Tim Walz a quello della Pennsylvania Josh Shapiro. Così come sappiamo che la tragedia di Gaza ha introdotto un fattore divisivo potente in un partito (e in un elettorato) dove le voci critiche nei confronti d’Israele e della sua relazione speciale con gli Usa sono di molto aumentate negli ultimi anni.
Il terzo obiettivo, infine, è usare la convention per definire chi è Kamala Harris: per esporre la sua biografia a un paese che di lei sa ancora poco, e spiegare perché possa essere credibilmente rappresentativa di un’America che ogni quattro anni, rispecchiandosi, sceglie se vedersi o meno nelle fattezze di chi ne chiede il voto per guidarlo e impersonarlo.
Se questi sono gli obiettivi, quali sono gli strumenti che la leadership democratica utilizzerà (e ha già iniziato a utilizzare) in questa convention? Il primo è visibile nella retorica adottata sin dal primo comizio presidenziale di Harris: quello di presentarsi come il partito del rinnovamento, che guarda al futuro senza indugiare nelle nostalgie così centrali invece nel discorso e nella mitologia di Trump e della cultura Maga. Con una torsione tanto paradossale quanto inevitabile, a essere sottolineate e sfruttate sono ora l’età avanzata e le fatiche cognitive del candidato repubblicano e non più di quello democratico. E la convention serve anche per enfatizzare il passaggio di testimone non solo da Biden a Harris, ma da una generazione all’altra: dai Clinton, dagli Obama, da Pelosi alla rappresentante Alexandria Ocasio-Cortez, allo speaker della Camera Hakeem Jeffries, ai tanti giovani e brillanti governatori e governatrici (Gretchen Withmer del Michigan, Andy Beshear del Kentucky, Wes Moore del Maryland, Shapiro e altri ancora).
Pluralismo
Una transizione, questa, che si cerca di validare con un secondo strumento dispiegato in questa convention: la celebrazione del pluralismo e della diversità di elettori e politici democratici, che li renderebbero più rappresentativi di un’America che non cessa mai di cambiare e trasformarsi. Pluralismo razziale, demografico e, anche, di genere, in un paese dove le donne votano di più e lo fanno maggiormente per i democratici (nel 2020 il tasso di partecipazione elettorale femminile fu di 3-4 punti percentuali superiore a quello maschile, le elettrici circa 10 milioni in più degli elettori e questo voto femminile andò 55 a 44 a Biden).
E questo ci porta al terzo e ultimo strumento: la rappresentazione della candidata Kamala Harris. Sappiamo bene quali ostacoli una donna di colore debba fronteggiare per affermarsi nella vita pubblica negli Usa. Aspettiamoci giovedì sera un discorso di accettazione della nomination che racconta questi ostacoli e celebra al contempo la grandezza di un paese che permette di affrontarli e superarli. E aspettiamoci quindi un discorso che mette al centro il tema dei diritti delle donne – dall’aborto alla fecondazione assistita al sostegno alla maternità - precondizione indispensabile affinché storie come quelle di Harris si possano realizzare.
Finita la convention, inizierà un’altra fase, dove questa retorica sarà messa alla prova di dettagli di policy rispetto ai quali Harris in passato ha faticato, come ben si vide nella sua catastrofica campagna delle primarie del 2020. Ma a quello dovrà pensare solo da venerdì.
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