Il memorandum sulla nuova via della Seta ha «dato i suoi frutti all’Italia». Parola di Wang Yi, che così ha risposto al suo omologo, Antonio Tajani, che prima d’imbarcarsi per Pechino aveva lamentato che il documento sottoscritto dal governo Conte I «non ha portato i risultati che ci aspettavamo». Incontrando Tajani lunedì sera, a margine della XI sessione del comitato governativo Italia-Cina, il ministro degli Esteri cinese gli ha ricordato che «negli ultimi cinque anni le esportazioni dell’Italia verso la Cina sono aumentate di circa il 30 per cento».

«Di fronte alle sfide e alle interferenze geopolitiche, Cina e Italia dovrebbero andare d’accordo sulla base del rispetto e della fiducia reciproca», ha affermato Wang, aggiungendo che la cooperazione e gli interessi comuni tra la Cina e l’Unione europea «superano le differenze».

I due giorni di visita di Tajani (ieri e l’altro ieri) sono serviti a Pechino per mandare il seguente messaggio alla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, fugando le speculazioni degli ultimi mesi: la Cina tiene all’adesione dell’Italia (unico paese del G7 a farne parte) alla nuova via della Seta lanciata nel 2013 da Xi Jinping, ma – come puntualizzato dal quotidiano Global Times – un’eventuale uscita dal memorandum (da notificare a Pechino entro la fine dell’anno) non costituirebbe un «ostacolo fondamentale» per le relazioni Italia-Cina.

Il fatto è che dalla ripresa, a fine 2022, delle sue attività diplomatiche in presenza, Pechino sta esercitando un pressing costante per convincere l’Ue a non seguire la strada – un mix di protezionismo e contenimento tecnologico – tracciata dagli Stati Uniti per frenare l’ascesa della Cina. In questo quadro, qualora Meloni decidesse di “superare” il memorandum, una rappresaglia contro l’Italia (a colpi, ad esempio, di cancellazione di ordinativi e/o boicottaggio di alcuni prodotti del nostro export) irriterebbe i 27.

A Pechino sanno che se l’esecutivo Meloni uscirà dal memorandum, lo farà soprattutto per compiacere Washington. A Domani risulta che ai timori per eventuali contraccolpi negativi su export e investimenti manifestati da un gruppo di imprenditori italiani incontrati domenica a cena Tajani abbia replicato: «Ma non avete capito in quale contesto geopolitico operiamo?».

Un’alternativa?

Meloni fa dunque affidamento sulla necessità di Pechino di mantenere buoni rapporti con Bruxelles e prepara una “alternativa” al memorandum. «Mentre stiamo valutando la partecipazione alla via della Seta – ha dichiarato Tajani – vogliamo potenziare l’accordo di cooperazione rafforzata, quindi continueremo a lavorare dal punto di vista economico, industriale, commerciale con la Cina». Inoltre si punta sui viaggi ufficiali: nelle prossime settimane sono attese in Cina le ministre della ricerca e università, Anna Maria Bernini, e del turismo, Daniela Santanché. Poi sarà la volta di Meloni e, l’anno prossimo, del presidente Mattarella.

Incontrando il ministro del commercio; Wang Wentao, Tajani ha ribadito l’auspicio di esportare di più in Cina. L’export italiano verso la Cina è leggermente aumentato (-0,6 per cento, +22,1 per cento e +5 per cento negli anni 2020, 2021 e 2022, passando da 12,8 a 16,4 miliardi di euro). Sostenere il made in Italy in Cina però è molto più facile a dirsi che a farsi, per due motivi fondamentali: l’Italia non possiede ciò di cui la Cina ha più bisogno, cioè le materie prime e l’hi-tech; le piccole e medie imprese italiane non riescono a soddisfare le massicce e repentine richieste del mercato cinese. Inoltre, complice il rallentamento della crescita, la domanda dei consumatori cinesi non decolla.

L’impegno da parte della Cina ad aumentare le importazioni dall’Italia non era stato introdotto nel memorandum, e l’Italia ha fatto pochissimo per attivarsi sulla prevista cooperazione infrastrutturale, anche in paesi terzi. Il memorandum si è dimostrato in parte inutile, in parte è rimasto lettera morta. E ora la Cina – non avendovi imbarcato altri paesi del G7 – guarda più a quelli dei Brics e della Sco che alla “vecchia” nuova via della Seta.

Meloni non ha una strategia sulla Cina, come quella recentemente pubblicata dall’esecutivo tedesco (che ha appena siglato con la Cina un memorandum, in materia di cooperazione ambientale) e, a differenza della Francia di Macron, che al momento è il grande paese dell’Ue più “amico” della Cina, vuole cancellare un documento che Pechino ha potuto rivendicare come un riconoscimento politico. Tutti fattori che non potranno che raffreddare le relazioni Roma-Pechino.

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