Due cose non difettano al presidente turco Recep Tayyip Erdoğan: la faccia di bronzo e l’abilità politica. Lui, l’autocrate per definizione, il distruttore dello stato kemalista costruito dal padre della patria Atatürk, il feroce repressore che non ha mancato di esibire a favor di telecamere i presunti autori del colpo di stato del 2016 in mutande con addosso i segni delle violenze e delle torture subite in barba a qualsivoglia forma di diritto.

Lui, il massacratore di curdi, a cui ha negato più di ogni altro qualunque concessione territoriale bollandoli come terroristi e non mancando di flirtare con l’Isis ai tempi della sua avanzata in Medio Oriente (mal gliene incolse).

Erdoğan, l’islamista che ha portato alla sostanziale bancarotta il proprio paese per conservare sacche di potere personale. Ma anche il pragmatico leader capace di giocare su uno, due, tre tavoli contemporaneamente, ottenendo importanti successi in politica estera.

Lo spregiudicato che non si fa spaventare nemmeno dagli americani. Che, sempre in occasione di quella drammatica notte del luglio 2016, arrivò a minacciare togliendo la corrente alla base di Incirlik da dove partivano i raid statunitensi contro gli islamisti in Siria. O dai russi, con cui è stato capace di fare e disfare i rapporti diplomatici a seconda dell’interesse del momento.

I destinatari del messaggio

Così come, proprio lui che ha più volte sventolato il suprematismo turco arrivando anche agli eccessi ridicoli della pandemia, non ha mancato di accusare l’Europa di islamofobia e di ricattarla sul dossier migranti, aumentando ciclicamente il prezzo del biglietto da pagare. Come un Ben Ali o un Gheddafi qualunque.

A chi parla quando paventa un’invasione di Gaza manu militari? In ordine crescente, dal basso in alto: a Israele e ai progetti di occupazione della Striscia della destra messianica di Smotrich e Ben-Gvir, portavoce nel governo dell’ampia galassia del sionismo religioso.

Se mai dovesse avverarsi l’ipotesi di una Turchia a Gaza, lo stato ebraico non potrebbe mai più metterci mezzo piede, salvo imbarcarsi in un conflitto dall’esito davvero incerto. Probabilità che succeda men che minime, considerato che sono entrambi alleati degli americani, che non potrebbero mai accettare uno scenario simile.

Il riferimento dello stesso Erdoğan a quanto fatto in Libia e nel Nagorno-Karabakh proprio non regge per la distanza di quegli scenari del tutto irrilevanti per gli Usa con Gaza.

Secondo destinatario: l’Iran. Nell’ottica del suo progetto imperiale neo-ottomano alternativo a quello dell’antica Persia, da tempo Erdoğan contende agli ayatollah la palma di difensore della causa palestinese, a cui ha destinato armamenti e supporto umanitario con le ambigue missioni marittime più volte stoppate da Tsahal.

Terzo destinatario, e più importante: l’Arabia Saudita, il cui programma per il Dopoguerra, se e quando sarà, è in totale rotta di collisione con quello del presidente turco, prevedendo un contingente arabo a gestire la Striscia e a presiedere alla sua ricostruzione fino a transizione verso uno stato palestinese, di cui oggi nessuno sa immaginare i tratti e i confini.

Da Hamas alla Turchia

Per quanto vaga, senz’altro l’ipotesi più gradita alla Casa Bianca, che il suo inquilino sia Trump, Harris o mago Merlino. Anche per lo stato ebraico sarebbe l’ipotesi senz’altro più vantaggiosa perché aver combattuto per mesi per ritrovarsi la Turchia al posto di Hamas contraddirebbe ogni grammatica bellica, visto che la guerra serve, da che mondo e mondo, a modificare uno stato di cose a proprio vantaggio.

Nonostante la retorica interna che ha evocato i fantasmi del 1973, Hamas non è mai stata, come ben si vede dal conflitto in corso, una minaccia esistenziale per Israele. La Turchia sarebbe ben altra cosa. L’opzione saudita sarebbe anche gradita all’Egitto, che potrebbe mettere i piedi dentro la Striscia, controllando le uscite palestinesi ed eventuali infiltrazioni terroristiche da parte dei superstiti di Hamas, visti dal Cairo peggio del fumo negli occhi.

Insomma, ancora una volta il raìs turco dice a nuora per parlare a suocera, dando un colpo alla propaganda panislamista e un altro alla botte a lui cara della Realpolitik. Anche le orecchie americane non potranno far finta di non aver sentito. Che nessuno si sogni di non contare la Turchia nello scenario del Dopoguerra.

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