- Il presidente turco sfrutta le divisioni interne alle Nazioni Unite per dare vita a un tavolo diplomatico alternativo che coinvolga Usa, Francia, Regno Unito e Germania sulla scia di quanto già fatto con la guerra in Siria.
- Ad oggi il piano di Erdogan è difficilmente realizzabile, ma per il capo di Stato turco è fondamentale continuare a presentarsi come l’unico leader mondiale interessato al raggiungimento della pace.
- Intanto gli attacchi russi contro Kiev rendono il governo Zelensky ancora più intransigente nei confronti di possibili trattative con il presidente Putin, a tutto vantaggio della propaganda russa.
Mentre la tensione in Ucraina continua a salire, nella capitale del Kazakistan c’è attesa per l’incontro tra il presidente russo Vladimir Putin e l’omologo turco Recep Tayyip Erdogan. I due leader, secondo indiscrezioni, discuteranno delle mosse da compiere a livello diplomatico per trovare una soluzione al conflitto ancora in corso sulla base della road map redatta mesi fa dalla Turchia.
Il piano presentato dal presidente turco prevede l’apertura di uno tavolo diplomatico tra Russia, Stati Uniti, Francia, Regno Unito e Germania, ma al momento il progetto di Erdogan è di difficile realizzazione, come sa bene lo stesso presidente. I bombardamenti russi su Kiev hanno reso i rapporti tra Russia e Ucraina ancora più tesi e hanno portato su posizioni maggiormente intransigenti il governo Zelensky e i suoi alleati occidentali, immediatamente adoperatisi per rafforzare il proprio sostegno all’esercito ucraino.
Il mediatore
Il peggiorare della situazione sul campo non sembra però intaccare troppo i piani di Erdogan. Il presidente turco continua a presentarsi come mediatore tra le parti, dimostrandosi come sempre aperto al dialogo con Mosca ed esprimendo allo stesso tempo il supporto per la causa ucraina, come dimostra la netta condanna dei referendum russi in Donbass.
D’altronde Erdogan sa bene che la gestione della narrazione del conflitto e del ruolo che la Turchia ricopre nello scenario bellico è fondamentale per aumentare il prestigio del suo paese e della sua stessa figura, soprattutto in vista delle prossime elezioni presidenziali.
Ma il capo di Stato turco non è l’unico ad aver ben chiaro il valore delle narrazioni in tempo di guerra. Il lancio di razzi contro Kiev deciso in risposta all’attacco al ponte di Kerc è servito alla Russia per dimostrare la portata delle sue capacità offensive e per proiettare un’immagine di forza tanto all’estero quanto all’interno, ma non solo.
La risposta di Mosca ha reso più rigorosa la postura del governo Zelensky riguardo ai negoziati, a tutto vantaggio della narrazione del conflitto portata avanti dalla Russia. Per il Cremlino la chiusura diplomatica di Kiev, sancita per decreto presidenziale da Zelenksy, è utile per presentare il governo ucraino come il vero ostacolo al raggiungimento della pace e per creare un collegamento – anche solo propagandistico – con quella parte dell’opinione pubblica occidentale critica nei confronti del coinvolgimento del proprio governo nella guerra.
Accuse all’Europa
Altro argomento su cui Putin cerca di dettare la propria narrazione è poi quello energetico. Parlando al Forum sull’energia, il presidente russo si è smarcato da ogni responsabilità circa la crisi in corso in Europa e si è detto disposto a fornire gas e petrolio ai paesi Ue che non adotteranno il price cap. La palla, a detta di Putin, è adesso nelle mani di Bruxelles.
Ma dell’intransigenza dell’Ucraina e dei suoi alleati sta approfittando anche la Turchia. Il presidente Erdogan ha nuovamente criticato quei paesi che a suo dire agiscono in maniera controproducente per la pace, puntando il dito principalmente contro l’Unione europea dopo l’approvazione da parte del parlamento di una risoluzione che ribadisce il sostegno militare dell’Unione all’Ucraina. Una scelta che, nelle parole di Erdogan, dimostra come Bruxelles preferisca “la provocazione e l’escalation”.
L’Onu
Il piano di Erdogan di attestarsi come mediatore in Ucraina si basa anche sulla debolezza dimostrata fino ad oggi dall’Onu. I membri dell’assemblea si sono dimostrati fin dall’inizio divisi sull’atteggiamento da assumere nei confronti della Russia nonostante il pressing degli Usa e dell’Ue, intensificatosi negli ultimi giorni in vista della votazione sull’annessione del Donbass.
Anche in questo caso le spaccature all’interno dell’Onu non hanno tardato a palesarsi. La semplice scelta della modalità di voto, che secondo la Russia doveva essere segreta, ha permesso di capire quali paesi sono ancora schierati più o meno apertamente dalla parte di Putin e ha riportato l’attenzione sulle nazioni africane, così come su Cina e India.
Un cambio di posizione di Nuova Delhi e di Pechino manderebbe un chiaro messaggio per la Russia e permetterebbe a Usa e Ue, che hanno promosso quest’ultima votazione, di isolare ulteriormente Mosca sul piano internazionale.
Ad oggi però il ruolo giocato dalle Nazioni unite nella ricerca della pace è stato piuttosto marginale. L’Onu, tramite il suo segretario generale, ha condannato gli attacchi russi e le annessioni delle regioni occupate militarmente e ha deciso per la prima volta di monitorare la repressione degli oppositori in Russia e la situazione dei diritti nel paese, ma non è stata ancora proposta una soluzione per mettere fine alla guerra.
La debolezza e le divisioni interne tra i membri delle Nazioni unite lasciano ulteriormente mano libera a Erdogan, che nel proporre un dialogo tra Russia, Usa, Francia, Regno Unito e Germania punta a creare uno spazio diplomatico alternativo rispetto a quello delle Nazioni unite sulla scia di quanto già successo in Siria proprio con il trio di Astana.
© Riproduzione riservata