- La Perestrojka, il processo di riforme politiche ed economiche avviate dall’ultimo presidente dell’Urss, Mikhail Gorbacëv, si è concluso con le sue dimissioni annunciate in diretta televisiva. Ancora oggi l’ex segretario della Pcus ribadisce l’importanza di quel piano di riforme.
- Il rapporto fra Vladimir Putin e Gorbacëv è basato sul rispetto reciproco, anche se non mancano scambi di critiche sulle scelte adottate nella loro presidenza.
- La fine dell’Urss costituisce ancora oggi un ricordo indelebile. Non è un caso che l’era di Putin abbia puntato sul ritorno della Russia tra le grandi potenze mondiali, abbia cercato di migliorare la situazione economica della popolazione, garantendo una stabilità politica che possa garantire più sicurezza al popolo russo.
C’è un ricordo “particolare” e tutt’oggi presente nella popolazione russa, ben distinto dalle negative conseguenze economiche e sociali del crollo dell’Urss, che collega l’Italia all’Unione sovietica degli anni della Perestrojka, il processo di riforme avviato nel 1985 da Mikhail Gorbacëv. Si tratta del liquore Amaretto di Saronno della provincia di Varese con una gradazione alcolica di 25 gradi, che nella versione sovietica ha assunto diverse denominazioni - Amaretto di Milano o di Verona – e veniva distribuito nei primi chioschi privati nel 1991.
Questo liquore, prodotto nella provincia russa, è associato nell’immaginario collettivo alla “speranza” di un’apertura (glasnost’) al mondo occidentale in una fase di ricostruzione e trasformazione (perestrojka) dell’assetto istituzionale del paese.
Come ben sappiamo, questo processo di riforme politiche ed economiche avviate dall’ultimo presidente dell’Urss, Gorbacëv, si è concluso con il drammatico discorso in televisione, ripreso da tutti i canali internazionali: «Uno dopo l’altro sono falliti i tentativi di riforma. Il rinnovamento si è rivelato ben più arduo di quanto prevedessimo. Eppure, è stata un’impresa storica: abbiamo abbattuto il totalitarismo».
E ancora «lascio la mia carica con un sentimento di angoscia, ma anche di speranza, fiducioso nella vostra saggezza e nella vostra forza d’animo. Siamo gli eredi di una grande civiltà e adesso spetta a ciascuno di noi aiutarla a rinascere a nuova, moderna e degna vita».
Non vi è dubbio che al momento della sua elezione a segretario generale del Partito comunista dell’Unione sovietica, Pcus, Gorbacëv avesse ereditato una situazione politica e, soprattutto, economica molto difficile: «Il destino ha voluto che quando mi sono trovato a capo dello Stato, fosse ormai evidente che il paese non versava in buone condizioni, la società era soffocata da un sistema di comando burocratico. Il paese aveva perduto la prospettiva. Non si poteva più vivere così. Si avvertiva la necessità di un cambiamento radicale».
La fine
A partire dalla riforma della legge elettorale per l’elezione del Congresso dei deputati del popolo, avvenuta nel 1989, il “padre della Perestrojka” crea le condizioni per indebolire il centralismo democratico nel Pcus e affermare il pluralismo politico e sociale: «Sono diventate realtà le libere elezioni, la libertà di culto, l’elezione degli organi di potere, il multipartitismo. I diritti dell’uomo sono stati riconosciuti come fondamentali. È stato avviato il passaggio a un’economia composita, proclamata la parità di diritti di tutte le forme di proprietà. La società ha avuto la libertà, si è emancipata politicamente e spiritualmente. Questa è la conquista più importante, di cui non siamo ancora consapevoli fino in fondo, perché questa libertà non abbiamo ancora imparato a usarla».
La storiografia ha fornito diverse interpretazioni sulle cause del crollo dell’Urss e, come ha affermato Gorbacëv, numerosi sono stati gli ostacoli da affrontare all’interno dell’élite al potere: «Tutti questi cambiamenti hanno richiesto un impegno enorme e una dura lotta, a causa della resistenza crescente da parte del vecchio, dell’antiquato, del reazionario, delle strutture partitiche statali e dell'apparato economico precedenti, e anche della nostra abitudine ai pregiudizi ideologici, alla mentalità egalitaria e parassitaria».
E nel lasciare il suo incarico Gorbacëv ha ribadito il suo intervento «con fermezza a favore dell'autonomia, dell’indipendenza dei popoli e della sovranità delle repubbliche, difendendo la conservazione dell'unità dello stato e l’integrità del paese. Gli eventi hanno preso un’altra direzione».
Trent’anni dopo l’ex presidente dell’Urss ha pubblicato nelle pagine nella rivista Russia in Global Affairs, una relazione nella quale ribadisce l’importanza della Perestrojka e le lezioni che ancora oggi la Glasnost’ può rappresentare per la Russia e per il mondo.
Nonostante le «illusioni e gli errori commessi» la Perestrojka era «una giusta causa» e, pertanto, Gorbacëv respinge le accuse di aver tradito il socialismo per l’assenza di un chiaro piano di attuazione delle riforme, sostenendo che gli oppositori non avevano compreso «l’atmosfera psicologica e morale che dominava la società sovietica» alla fine degli anni Ottanta.
In sintesi, se la Perestrojka è fallita, per Gorbacëv le cause risiedono nelle ambizioni spregiudicate di Boris Nikolaevič Eltsin e altri dirigenti del partito.
Il rapporto con Putin
In questi giorni anche il presidente Vladimir Putin, in un documentario dal titolo Storia moderna, ha affermato che «negli anni Novanta in Russia si è svolta, di fatto, una guerra civile. I dirigenti europei non avevano dubbi che il paese si sarebbe disintegrato, si chiedevano solo quando sarebbe successo e quali conseguenze avrebbe avuto per un paese dotato di armi nucleari».
Il rapporto fra Putin e Gorbacëv è basato sul rispetto reciproco, anche se non mancano scambi di critiche sulle scelte adottate nella loro presidenza. In occasione del novantesimo compleanno di Gorbacëv, Putin ha inviato un telegramma di auguri nel quale sottolinea: «Lei appartiene di diritto alla costellazione degli uomini di stato notevoli, distinti ed eminenti dei tempi moderni che hanno esercitato un’influenza significativa sul corso della storia della patria e del mondo».
Tuttavia, nel 2005 il presidente Putin aveva definito la fine dell’Urss «la più grave catastrofe geopolitica del XX secolo» e nei giorni scorsi ha aggiunto che si è trattato della «disintegrazione della Russia storica sotto il nome di Unione sovietica».
Il leader sovietico ha, invece, spesso criticato Putin per le sue tendenze autoritarie, ma lo ha appoggiato nelle scelte di politica internazionale mentre ha definito il partito del potere, Russia unita, come la «peggior copia del Pcus». Entrambi sostengono che l’attuale situazione internazionale è frutto dell’incapacità dei leader occidentali di creare una nuova e «moderna architettura di sicurezza in Europa» dopo la fine della Guerra fredda.
Tutta colpa di Gorbacëv
In questi decenni diversi istituti di ricerca hanno diffuso rilevazioni che hanno sempre dimostrato una forte antipatia dell’opinione pubblica nei confronti del leader Gorbacëv, colpevole di aver distrutto l’Urss. In occasione dell’anniversario del golpe dell’agosto 1991, il sondaggio dell’organizzazione indipendente Levada Center ha rivelato che ben il 43 per cento degli intervistati giudica tragici gli episodi del 1991 con «conseguenze fatali per il paese e per il popolo», mentre il 40 per cento li considera una mera lotta per il potere.
Agli inizi di dicembre nell’ambito del progetto federale “Trent’anni senza l’Urss”, l’istituto filo-governativo, VTsiom, ha rilevato che l’82 per cento degli intervistati conosce la sigla “Urss” e il 27 per cento non sa nominare nessuna repubblica dell’Unione.
Tra coloro che ricordano qualche nominativo il 65 per cento cita l’Ucraina, il 59 la Bielorussia e il 49 per cento l’Uzbekistan. Solo il 6 per cento degli intervistati sa citare tutte le quindici repubbliche, il 28 per cento tra le dieci e le quattordici, il 12 per cento da una a quattro.
Significative, inoltre, sono le risposte dei rispondenti alla domanda «quali sono gli eroi dell’Urss?»: il 41 per cento del campione si esprime a favore del cosmonauta Jurij Gagarin, il 22 per cento per Georgij Žukov e il 20 per cento Josef Stalin. I sentimenti più negativi sono espressi nei confronti di Gorbacëv e del braccio destro di Stalin, Lavrentij Berija (20 per cento), l’11 per cento verso Nikita Chruščëv e Stalin e il 9 per Boris El’cin.
La fine dell’Urss costituisce ancora un ricordo indelebile soprattutto tra coloro che hanno in prima persona o indirettamente vissuto quegli anni. Non è un caso che l’era di Putin abbia puntato sul ritorno della Russia tra le grandi potenze mondiali, abbia cercato di migliorare la situazione economica della popolazione, garantendo una stabilità politica che possa garantire più sicurezza al popolo russo. Ma a quanto pare dagli ultimi avvenimenti di politica estera (Ucraina e Bielorussia), Putin intende risolvere anche il tassello mancante della disgregazione territoriale dell’Urss.
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