Le uccisioni disumane con la cattura degli ostaggi di Hamas come anche la catastrofe umanitaria che si sta riversando su Gaza per la reazione israeliana vanno lette entrambe senza giustificazionismi e imputando a ciascuno le diverse responsabilità.
Su quelle di Israele c’è poco da aggiungere, visto che le rivolte delle piazze arabe e occidentali hanno rilanciato le accuse contro lo stato ebraico richiamando le sue politiche discriminatorie nei territori occupati, l’islamofobia alimentata dagli ultimi governi ultranazionalisti, e persino riproponendo pulsioni antisemite e un antioccidentalismo che sembra assecondare le retoriche di Putin e dell’Ayatollah Khamenei. Per questo va dato valore al ruolo che Stati Uniti e Unione europea stanno svolgendo nell’intento di moderare l’azione di forza di Israele, che per quanto legittimata dal diritto di difesa non può certo superare i limiti che il diritto internazionale umanitario pone per la tutela della popolazione civile.
E ciò anche quando i terroristi si fanno scudo di ospedali, ambulanze e degli stessi civili tenuti in ostaggio. Alle origini delle responsabilità di Hamas Sul fronte delle responsabilità di Hamas occorre però una riflessione più compiuta che inquadri i tragici fatti del 7 ottobre non solo in una svolta repentina per rilanciare la questione palestinese. Si tratta di ripercorrere le origini della scelta storicamente strutturata del terrorismo, un percorso che necessariamente riconduce alle matrici originarie dell’Islam radicale, fondamentalista e integralista.
La Fratellanza Musulmana
La continuità di questi elementi storici nelle azioni attuali di Hamas non può considerarsi frutto di una ricostruzione forzata sull’onda emotiva delle ultime tragiche stragi, perché essa si rinviene a tutto campo nel suo statuto costitutivo, un documento connotato da ampi riferimenti al movimento originario della Fratellanza Musulmana, massima espressione dell’Islam radicale. Hamas è l’acronimo di Ḥaraka al-muqāwama al-islāmiyya, il «Movimento della resistenza islamica» fondato nel 1987 da Ahmed Yassin che presentò un’organizzazione politico-religiosa.
Il primo statuto è datato 18 agosto 1988 e anche se risulta modificato nel 2017, molti tratti essenziali sono confermati nella impostazione integralista originaria che alla luce delle violenze compiute il 7 ottobre è bene ripercorrere. All’articolo 2 dello statuto del 1988 Hamas si propone come la diramazione palestinese dei Fratelli Musulmani, il movimento fondato in Egitto nel 1928 da Hassan al Banna che ha rappresentato il più forte presidio del rinnovamento teologico e filosofico del mondo arabo che mirava a riscattarsi dalla caduta dell’impero ottomano e introduceva la «retrotopia» del Califfato delle origini per emanciparsi dal colonialismo e dall’imperialismo occidentale.
Da qui l’interpretazione religiosa e politica della storia contemporanea della Fratellanza Musulmana di cui si appropria lo statuto originario all’articolo 22, che è bene rileggere nei suoi passaggi finali: «A proposito delle guerre locali e mondiali, ormai tutti sanno che i nostri nemici hanno organizzato la Prima guerra mondiale per distruggere il Califfato islamico. Il nemico ne ha approfittato finanziariamente e ha preso il controllo di molte fonti di ricchezza; ha ottenuto la Dichiarazione Balfour e ha fondato la Società delle Nazioni come strumento per dominare il mondo. Gli stessi nemici hanno organizzato la Seconda guerra mondiale, nella quale sono diventati favolosamente ricchi grazie al commercio delle armi e del materiale bellico, e si sono preparati a fondare il loro Stato. Hanno ordinato che fosse formata l’Organizzazione delle Nazioni unite, con il Consiglio di sicurezza all’interno di tale Organizzazione, per mezzo della quale dominano il mondo. Nessuna guerra è mai scoppiata senza che si trovassero le loro impronte digitali. “Ogni volta che accendono un fuoco di guerra, Allah lo spegne. Gareggiano nel seminare il disordine sulla Terra, ma Allah non ama i corruttori” (Corano 5, 64)».
Il destino della Palestina
Quanto al futuro della Palestina e ai rapporti con Israele, conseguentemente, la linea dello statuto è netta. Nell’introduzione dello statuto originario è richiamata una citazione di al Banna: «Israele esisterà e rimarrà esistente fino a quando l’Islam non lo annullerà come ha annullato ciò che era prima di esso». La frase è stata perciò letta come l’enunciazione chiara di una “soluzione finale” che preveda in ogni caso l’annientamento di Israele.
Lo statuto del 1988 chiariva il disegno generale. Emblematico è l’articolo 7: «Il Profeta – le preghiere e la pace di Allah siano con Lui – dichiarò: “L’Ultimo Giorno non verrà finché tutti i musulmani non combatteranno contro gli ebrei, e i musulmani non li uccideranno, e fino a quando gli ebrei si nasconderanno dietro una pietra o un albero, e la pietra o l’albero diranno: O musulmano, o servo di Allah, c’è un ebreo nascosto dietro di me, vieni e uccidilo; ma l’albero di Gharqad non lo dirà, perché è l’albero degli ebrei” (citato da al-Bukhari e da Muslim)».
Ma nella lettura di tutto il documento del 1988 l’excursus dell’antisemitismo è in crescendo. All’articolo 32 si legge: «... lo schema sionista non ha limiti, e dopo la Palestina cercherà di espandersi dal Nilo all’Eufrate. Quando avrà digerito la regione di cui si è cibato, guarderà avanti verso un’ulteriore espansione, e così via. Questo è il piano delineato nei Protocolli degli Anziani di Sion, e il comportamento presente del sionismo costituisce la migliore testimonianza di quanto era stato affermato in quel documento».
Dubbi sullo statuto del 2017
Lo statuto del 2017 ha modificato queste posizioni integraliste tra cui l’espresso richiamo alla Fratellanza Musulmana, e tuttavia la scelta è stata vista come una convenienza “tattica” volta ad avvicinare soprattutto l’Egitto che ha bandito gli ultimi seguaci del movimento fondamentalista delle origini.
Varie interpretazioni hanno comunque intravisto un’evoluzione moderata di Hamas, riscontrata anche in esternazioni manifestate da alcuni suoi componenti. In particolare si è osservato che allo stesso articolo 20 dello statuto del 2017 si indica: «Hamas considera la creazione di uno stato palestinese pienamente sovrano e indipendente, con Gerusalemme come capitale sulla falsariga del 4 giugno 1967 (nota: cioè prima della guerra dei Sei giorni), con il ritorno dei rifugiati e degli sfollati alle loro case da cui sono stati espulsi, come una formula di consenso nazionale». Per alcuni interpreti questa posizione aprirebbe alla formula dei due Stati, ma per lo storico Claudio Vercelli la «considerazione» di uno Stato palestinese delimitato sarebbe solo «una tappa intermedia nel cammino verso la “liberazione” di tutto il territorio, non riconoscendo dunque a Israele il diritto all’esistenza». Insomma non ci sarebbero concrete aperture da parte di Hamas per la formula “Due popoli, due stati”.
Quanto ad altre posizioni “quietiste” che taluni osservatori avrebbero intravisto nel dibattito interno di Hamas rimane il forte dubbio che non siano riuscite a prevalere, come purtroppo dimostrano i fatti del 7 ottobre. D’altro canto già la dichiarazione di accompagnamento con cui Hamas aveva presentato il nuovo documento del 2017 aveva dettato la linea: da un lato si rassicura che «Hamas non conduce una lotta contro gli ebrei perché sono ebrei», ma subito si precisa che «conduce una lotta contro i sionisti che occupano la Palestina… sono i sionisti che identificano costantemente l’ebraismo e gli ebrei con il loro progetto coloniale e la loro entità illegale». E ancora alla presentazione dello statuto Ismail Haniyeh, dall’ufficio politico di Hamas, aveva precisato: «Il nuovo documento non minerà né i nostri principi né la nostra strategia».
Contro il disordine globale
Una riflessione conclusiva dunque non può essere ancora una volta che l’amarezza di constatare che la popolazione palestinese è stata soggiogata per troppo tempo da un movimento oscurantista. Le comunità occidentali in questi giorni stanno manifestando la loro solidarietà ai palestinesi di cui hanno giustamente compreso l’immane sofferenza per i combattimenti cui sono esposti e hanno chiesto ai loro leader di assumere un ruolo responsabile per moderare la reazione di Israele, anche al costo di appellarsi alla Corte penale internazionale.
Occorrerà però che la stessa popolazione palestinese faccia al più presto una scelta di campo: se vuole perseguire davvero un futuro di dignità per la Palestina dovrà liberarsi dei terroristi di Hamas. Spetterà soprattutto alle comunità occidentali convincere i palestinesi che ora è il momento di affidarsi alla diplomazia e al diritto internazionale. Ma occorrerà farlo anche con Israele, che da un lato non andrà assecondato nelle derive ultranazionaliste e antidemocratiche e dall’altro non può essere lasciato solo di fronte al disegno perseguito da tanti altri attori del disordine globale.
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