- Con almeno 600mila morti la guerra civile in Etiopia è uno dei conflitti più sanguinosi del XXI secolo, superando Siria, Afghanistan e Ucraina. Un gruppo di geografi belgi ha provato a raccontare al mondo cosa sta succedendo nel paese.
- Oggi, la carestia nella regione prosegue, parte del territorio è ancora occupato dalle truppe eritree, mentre massacri e saccheggi continuano a verificarsi.
- L’Europa è in una posizione difficile sull’Etiopia, responsabile di violenze e massacri, ma anche un paese strategico, sul punto di allinearsi sempre di più a Russia e Cina.
Sono quasi trent’anni che all’università di Gand, in Belgio, il gruppo di geografi del professor Jan Nyssen studia il nord dell’Etiopia. Tra i loro principali lavori c’è un libro che racconta gli itinerari più pittoreschi, tra geologia e antropologia, nella zona montagnosa del Tigrè, abitata dalla fiera minoranza dei tigrini, che nonostante rappresenti appena il 6 per cento della popolazione del paese, ha guidato la guerra civile contro il regime comunista e poi, per decenni, è stata al vertice del governo.
Oggi, Nyssen è in pensione e insieme a un gruppo di ricercatori e studenti volontari, è diventato il principale esperto al mondo dei massacri e delle violenze commesse soprattutto dall’esercito etiope nella guerra civile che per due anni ha infiammato la regione. Un conflitto brutale, ma quasi sconosciuto, in cui stupri di massa e la privazione sistematica di cibo sono stati utilizzati dal governo etiope come arma di guerra contro i ribelli tigrini.
Secondo le principali stime fatte da organizzazioni e diplomatici internazionali, fino a 600mila persone sarebbero morte negli scontri, nei massacri etnici e nella carestia causata dal governo. Una cifra che rende il conflitto in Tigrè la più sanguinosa guerra del XXI secolo, seconda soltanto alla guerra civile del Congo e davanti a conflitti di durata molto più lunga, come Siria ed Afghanistan, o molto più seguiti dalla comunità internazionale, Ucraina.
Una guerra dimenticata
«La strategia del governo etiope di bloccare tutte informazioni provenienti dal Tigrè ha funzionato – racconta oggi il professor Nyssen – Del conflitto si è parlato poco e quando se ne è parlato si è spesso usata una formula di equidistanza: entrambe le fazioni, il governo e i tigrini, hanno commesso crimini di guerra. È vero, ma c’è un ordine di grandezza diverso tra quanto hanno commesso gli etiopi e i loro avversari».
Il conflitto è scoppiato il 3 novembre del 2020 in seguito a quella che Nyssen definisce una «fallita transizione dei poteri». Dalla fine della precedente guerra civile nel 1991, il paese era controllato dall’Eprdf (l’acronimo inglese di Fronte democratico rivoluzionario del popolo etiope), l’organizzazione a base etnica che aveva guidato la rivoluzione contro il regime precedente. Fino a pochi anni fa, l’Eprdf era dominato dai tigrini, riuniti nel Fronte popolare per la liberazione del Tigrè (noto con la sigla Tplf).
Nel 2018, l’Eprdf ha scelto come nuovo leader Abiy Ahmed, del partito degli Oromo, che insieme agli Ahmara sono una delle due etnie principali del paese. Tra i primi atti di Ahmed c’è stata la firma di un accordo di pace con l’Eritrea, con cui il paese era formalmente in guerra fin dal 1998. Il gesto gli ha procurato il premio Nobel per la pace, ma anche il sospetto dei tigrini, esclusi dalla decisione e da sempre i più ostili nei confronti degli eritrei.
Le tensioni hanno iniziato ad accumularsi fino a che, in seguito a una crisi costituzionale nel 2020, i tigrini ha lanciato un’offensiva a sorpresa contro le caserme dell’esercito etiope nella regione. In risposta Ahmed ha ordinato alle forze armate di intervenire e l’Eritrea si è schierata al suo fianco.
Ricostruire i massacri
Nyssen e i suoi colleghi avvertivano dei rischi di quello che stava per succedere in Etiopia fin dal 2020. Il conflitto che si preparava, scrivevano, sarebbe stato violento e brutale. Ma quello che è accaduto ha superato ogni aspettativa. I tigrini sono da tempo una minoranza discriminata in Etiopia e in molti hanno risentito i lunghi decenni in cui il Tpfl è stato la forza politica dominante nel paese.
«Il discorso da parte degli etiopi ha avuto spesso tinte genocide – spiega Nyssen – I tigrini erano definiti un cancro, degli scarafaggi o dei babbuini». Lo stesso Ahmed ha usato in alcune occasioni un linguaggio che giustificava gli stupri di massa compiuti dai suoi soldati.
Ricostruire cosa questo contesto e questo linguaggio ha generato sul terreno è costato un certosino lavoro di ricostruzione. Nyssen e il suo gruppo di volontari hanno messo insieme informazioni provenienti da dozzine di fonti diverse: testimonianze della diaspora tigrina, foto satellitari, informatori locali, filmati dei massacri girati dagli assassini. In tutto, il gruppo è riuscito a identificare 12.011 civili vittime di massacri, la «punta dell’iceberg» rispetto al numero reale di vittime di queste uccisioni intenzionali, che probabilmente si aggira tra le 36 e le 60mila.
A sua volta, le persone uccise nei massacri perpetrati soprattutto dall’esercito etiope e da quello eritreo, a volte aiutati dalle milizie dell’etnia ahmara, sono soltanto una parte delle morti causate dal conflitto. Migliaia di persone sono state uccise dai bombardamenti e dal fuoco incrociato; centinaia di migliaia sono hanno perso la vita per la carestia o l’assenza di cure mediche.
L’Etiopia, dice Nyssen «ha usato la fame come un’arma». Gli aiuti internazionali sono stati sistematicamente bloccati, i campi sono stati incendiati, mentre mulini e fattorie sono stati distrutti. Nel frattempo, i contadini non potevano arare la terra per via dei combattimenti, per aver perso gli animali o perché gli veniva attivamente impedito dalle truppe etiopi.
La pace e il futuro
Il 3 novembre 2022, esattamente tre anni dopo lo scoppio del conflitto, il governo del Tigrè e quello Etiope hanno raggiunto un traballante accordo i pace. Oggi, la carestia nella regione prosegue, parte del territorio è ancora occupato dalle truppe eritree, mentre massacri e saccheggi continuano a verificarsi. Ma il conflitto aperto, almeno, si è concluso.
Nel silenzio generale in cui questa guerra si è consumata e ha raggiunto una precaria soluzione, il lavoro di Nyssen ha gettato una luce su quello che accadeva nel paese. «Dare voce ai senza voce è sempre stato il nostro obiettivo», dice Nyssen. Poche settimane fa, i governi di Francia e Germania hanno chiesto al governo di Ahmed di dare conto dei massacri avvenuti in guerra come prezzo per la normalizzazione delle relazioni con l’Unione europea.
L’Europa è in una posizione difficile sull’Etiopia, responsabile di violenze e massacri, ma anche un paese strategico, sul punto di allinearsi sempre di più a Russia e Cina. È presto per dire se quella franco tedesca è solo una posa momentanea o se nasconde l’intenzione vera di richiedere chiarimenti. Tanto o poco, però, difficile immaginare che sarebbe andata nello stesso modo senza il lavoro di un piccolo gruppo di geografi belgi.
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