Kiev ha rinunciato ad acquisire un aereo da combattimento svedese, molto più adatto alle sue esigenze, per mantenere buone relazioni con gli Stati Uniti, che producono i jet. Segnale di quanto gli ucraini temano la stanchezza di guerra a Washington
Tra mille cautele e prudenze, i jet F16 hanno già iniziato a volare nei cieli dell’Ucraina. Lo ha confermato domenica il presidente Volodymyr Zelensky e poco dopo gli account social dell’aviazione di Kiev hanno pubblicato i primi video in cui i caccia di fabbricazione americana sfoggiavano le insegne giallo-blu. Ma, ha avvertito Zelensky, «non sono abbastanza». I caccia arrivati nel paese sono appena una decina e non ci sono aspettative di vederli aumentare prima della fine dell’anno. Troppo pochi, insomma, per fare le differenza.
Fine degli entusiasmi
Un anno fa, quando gli Stati Uniti erano ancora esitanti a dare il loro via libera al trasferimento dei caccia in Ucraina, gli F16 venivano descritti da molti come il proiettile d’argento in grado di svoltare le sorti del conflitto. Un’arma capace di restituire a Kiev il controllo dei suoi cieli, proteggere le città ucraine dagli attacchi e fornire un supporto chiave alle sue truppe di terra, all’epoca impegnate nella controffensiva estiva iniziata a giugno 2023.
Oggi, di queste aspettative non c’è più traccia e l’opinione degli esperti, che avvertivano dei limiti degli F16, è ormai filtrata nel discorso pubblico e nelle parole della leadership politica. I numeri, prima di tutto. La “coalizione F16”, formata da Danimarca, Paesi Bassi, Belgio e altri paesi, ha promesso in tutto 80 caccia all’Ucraina. Ma addestrare i piloti e gli enormi team tecnici che questi aerei richiedono per operare, richiedere tempo. Un anno dopo il via libera alla consegna degli aerei siamo arrivati, appunto, ad appena una decina di piloti e altrettanti squadre di manutenzione.
Ci sono poi i limiti tecnici degli F16: un caccia leggero e, relativamente, economico, progettato alla metà degli anni Settanta e pensato per operare dalle enormi e sofisticate basi aeree americane, estremamente protettete e dotate di tecnici esperti ed ogni tipo di equipaggiamento.
Gli ucraini, inoltre, non hanno ricevuto le versioni più moderne di questo jet, né – probabilmente – i missili più avanzati, che americani e alleati temono possano finire in mano russa. Questo, unito allo scarso numero di velivoli, significa che gli F16 di Kiev opereranno lontano dal fronte. Uno dei loro ruoli principali sarà quello di contribuire alla difesa aerea, intercettando missili e droni russi. Per operare vicino al fronte, invece, dovranno essere molto cauti e questo impedirà loro di svolgere una delle missioni più importanti al momento: intercettare i bombardieri russi che sganciano bombe plananti a grande distanza dalla prima linea.
La questione svedese
I limiti degli F16 appaiono particolarmente evidente se messi a confronto con le caratteristiche del loro principale concorrente: il Gripen, il caccia di fabbricazione svedese a cui l’aviazione ucraina è interessata ormai da un decennio, ma senza mai riuscire a completarne l’acquisto.
A differenza del F16, il Gripen è stato progettato per difendere i cieli svedesi, un paese che all’epoca non era membro della Nato e che sapeva che, se fosse entrato in guerra con la Russia, avrebbe avuto le sue basi aeree a portata di missili e bombardieri nemici. Una situazione che agli ucraini non può non ricordare quella in cui si trovano dal 24 febbraio 2022.
Per queste ragioni, il Gripen è capace di operare da basi aeree improvvisate (in un filmato diffuso dall’aviazione svedese pochi mesi fa, se ne vede uno atterrare e decollare da una strada secondaria lunga poche centinaia di metri) e per la sua manutenzione sono sufficienti un pugno di tecnici con addestramento minimo guidati da un supervisore.
Prima dell’invasione su larga scala, l’aviazione ucraina aveva stabilito che questo era il caccia più adatto alle sue necessità, ma la mancanza di fondi aveva impedito di procedere all’acquisto. E dopo il 24 febbraio, quando le questioni finanziarie sono divenute secondarie, numerosi esperti sono giunti alla stessa conclusione. Dopo l'entrata della Svezia nella Nato, le resistenze da parte di Stoccolma a cedere alcuni dei suoi Gripen all’Ucraina sono evaporate. Ma la politica si è messa di mezzo.
Made in Usa
Perché, se l’opinione generale di esperti e militari favoriva il Gripen, alla fine l’Ucraina ha ricevuto gli F16 e nemmeno un caccia svedese? I motivi strettamente militari non c’entrano. Kiev ha compiuto una scelta di natura strategico-economica. Accettando gli F16, l’aviazione ucraina si è messa su una strada che, nel medio termine, la porterà ad abbandonare gran parte della sua vecchia flotta sovietica in favore di sistemi americani, creando così una catena che la legherà ai fornitori di parti di ricambio e armamenti Usa.
Ovviamente, Zelensky ha tutti gli interessi a legare ulteriormente il suo paese agli Stati Uniti, il suo alleato principale e più importante partner nel campo della sicurezza. Ma anche Washington ha i suoi interessi in questa vicenda. Con 2.800 caccia attivi nelle aviazioni di 25 paesi diversi, l’F16 è uno dei jet di maggior successo al mondo. Il Gripen è un potenziale concorrente, con l’unico limite di non essere mai stato messo alla prova in combattimento. Punto debole che l’Ucraina potrebbe aiutare a correggere.
Lo scorso maggio, dopo aver annunciato che l’accordo sui Gripen era quasi raggiunto, Stoccolma ha fatto sapere di aver ricevuto pressioni dagli alleati – con ogni probabilità gli Stati Uniti – di «mettere in pausa» la trattativa. «Gli Stati Uniti non vogliono Gripen in volo in Ucraina mentre gli F16 saranno sottoposti a limitazioni», aveva detto il commentatore svedese Bengt Norborg.
Un mese fa, Kiev ha fatto sapere di non essere più interessata ai Gripen, almeno fino a quando il programma F16 non sarà concluso – cioè con ogni probabilità dopo la fine della guerra. Con il supporto per la causa ucraina che appare in bilico, Kiev ha così deciso di rinsaldare i legami con una nuova partnership economico-militare. La Svezia non solo non è altrettanto importante, ma il suo sostegno appare più solido che mai. Il Gripen è finito vittima di questo gioco politico-economico. Ennesima prova che, persino in guerra, le necessità strettamente militari spesso devono cedere il passo ad altri e più pressanti imperativi.
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