L’esperto dell’università di Shanghai: «Questa crisi pone effettivamente un problema difficile per la diplomazia cinese. Il successo della Cina nella normalizzazione tra Arabia Saudita e Iran farà riporre maggiori aspettative a livello internazionale sul suo ruolo come paese mediatore»
Pechino si è detto disposto ad affiancare l’Egitto per favorire un cessate il fuoco tra Israele e Palestina. Quali sono le implicazioni di questo inusuale protagonismo cinese in Medio Oriente? Secondo Fan Hongda, esperto del Middle East Studies Institute presso la Shanghai International Studies University, questa crisi «pone un problema difficile per la diplomazia cinese».
Dopo l’ultimo attacco di Hamas, Pechino ha ribadito la necessità di adottare la soluzione dei due stati. La posizione delle autorità cinesi non è mai stata troppo favorevole a Israele, sebbene i promettenti rapporti economici abbiano favorito un dialogo politico. Forse stavolta hanno inciso le pressioni americane su Israele o il bisogno di rafforzare la vicinanza al sud globale?
Questo conflitto tra Gaza e Israele è ovviamente diverso dai precedenti. La caratteristica più importante è che Hamas è entrato in Israele per uccidere gli israeliani, compresi i civili, e ha riportato dozzine di israeliani a Gaza come ostaggi. A mio parere, questa crisi pone effettivamente un problema difficile per la diplomazia cinese. Penso che questo possa essere uno dei motivi per cui la Cina non è riuscita a esprimere prima la sua posizione.
Secondo la stampa cinese, l’escalation degli ultimi giorni rischia di vanificare la mediazione cinese tra Iran e Arabia Saudita. È d’accordo?
Il mondo è ancora una volta diviso riguardo il conflitto israelo-palestinese. Come va intesa questa divisione? La riconciliazione in Medio Oriente, anche se deve ancora affrontare molte sfide, è diventata una tendenza. In futuro, i paesi esterni in grado di aiutare il Medio Oriente a raggiungere la pace, la stabilità e lo sviluppo, diventeranno quelli più popolari nella regione.
La mediazione tra Teheran e Riad rappresenta un precedente replicabile nella striscia di Gaza?
Il successo della Cina nella normalizzazione tra Arabia Saudita e Iran farà riporre maggiori aspettative a livello internazionale sul suo ruolo come paese mediatore. La Cina è sicuramente disposta a contribuire di più alla pace nel mondo. Se però lo voglia, possa farlo oppure no, dipende dai tre fattori: in primo luogo, se le parti in conflitto desiderano davvero con forza risolvere i propri problemi/conflitti. In secondo luogo, se le parti in conflitto vogliono davvero una mediazione cinese. Il terzo punto riguarda l’atteggiamento della comunità internazionale, soprattutto delle potenze mondiali strettamente legate al conflitto. Al momento, penso che sarà molto difficile per la Cina riuscire a mediare con successo nel conflitto israelo-palestinese.
Questo maggiore protagonismo in Medio Oriente conferma un più generale interesse di Pechino per il sud globale. Perché questa parte di mondo è diventata così importante per la Cina?
La Cina e molti paesi del sud globale condividono esperienze storiche simili, nonché bisogni e aspettative di sviluppo per il mondo futuro. In un mondo che sta cambiando e la competizione tra grandi poteri cresce, i leader cinesi – come i leader di altri paesi – sperano di riuscire a fornire una risposta più appropriata.
I media cinesi hanno recentemente messo in discussione la funzionalità delle organizzazioni a guida occidentale, ritenute poco rappresentative dei paesi emergenti. Questo giudizio ha qualcosa a che fare con l’assenza di Xi all’ultimo G20?
Alla Cina non piace il dominio occidentale negli affari internazionali. Perdipiù l’ordine globale sta cambiando. Ma dobbiamo ancora affrontare un mondo in cui l’occidente ha ancora una forte presenza. Personalmente credo, pertanto, che il futuro della Cina nelle vecchie piattaforme multilaterali dipenderà in gran parte dall’agenda dell’occidente.
Intanto Pechino sta preparando un’architettura mondiale “parallela”. Cosa aspettarsi dall’espansione dei BRICS e della Shanghai Cooperation Organization?
Penso che l’espansione dei Brics e della Sco evidenzi appieno l’insoddisfazione di molti paesi nei confronti dell’attuale ordine internazionale guidato dall’occidente. Questi paesi sperano che le loro aspirazioni possano essere ampliate e protette. Tuttavia, sono molto cauto riguardo alle reali capacità delle due organizzazioni, perché presentano evidenti conflitti di interessi tra i vari membri.
Negli ultimi anni la Cina ha lanciato tre nuove iniziative (la Global Development Initiative, la Global Security Initiative e la Global Civilization Initiative), più astratte e meno palpabili della Belt and Road Initiative (Bri). A cosa servono e come interagiscono con i vecchi progetti infrastrutturali?
Pechino ritiene che la sicurezza, lo sviluppo e l’apprendimento reciproco tra le civiltà siano questioni chiave nel mondo contemporaneo. Gsi, Gdi e Gci sono le risposte della Cina a questi problemi. In termini di portata geografica e focus, le tre iniziative vanno oltre la Bri, che ha un’accezione molto forte di cooperazione economica e commerciale. Il suo intento originario è lo sviluppo comune di tutti i partecipanti. Esiste una correlazione positiva tra pace e sviluppo. Pertanto Gdi, Gsi e Gci e la Bri possono promuoversi a vicenda.
In occidente vengono però percepiti come sforzi tesi a sovvertire l’ordine costituito
La realtà dello sviluppo mondiale ha dimostrato che l’ordine internazionale e il modello di sviluppo esistenti presentano problemi sempre più evidenti. Quindi nuovi tentativi di [riforma] dovrebbero essere consentiti e incoraggiati anziché soffocati.
Recentemente, Usa e Ue hanno lanciato un progetto concorrenziale con focus sul Medio Oriente. È un pericolo per la Bri?
Il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa (Imec) ha effettivamente attirato molto di attenzione in Cina. Date le complicate relazioni della Cina con l’India e gli Stati Uniti, naturalmente alcuni cinesi sono un po’ preoccupati per questo piano. Il lancio dell’Imec ricorda alla Cina che deve comprendere meglio le esigenze di sviluppo degli altri paesi per rafforzare ulteriormente la cooperazione attraverso la Bri.
La Cina è diventata il primo paese a nominare un ambasciatore in Afghanistan dall’arrivo dei talebani. Non è un riconoscimento formale ma è comunque un altro segno di interesse dopo l’annuncio a gennaio di un accordo per lo sviluppo di un giacimento petrolifero.
Penso fermamente che la più grande preoccupazione della Cina in Afghanistan sia stabilizzare il paese, e quindi la frontiera occidentale. La Cina crede che lo sviluppo sia un fattore chiave per raggiungere la stabilità. Ma Pechino sa anche che è molto pericoloso, per qualsiasi paese esterno, impegnarsi troppo profondamente in Afghanistan.
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