Quando le elezioni presidenziali sono lontane ci sono due stati che vengono indicati a mo’ d’esempio dai militanti dei due principali partiti statunitensi. Da un lato, i progressisti magnificano la spesa pubblica e l’attenzione al welfare e all’inclusione delle minoranze della California, mentre i conservatori si esaltano per le politiche “anti-woke” del governatore Ron DeSantis, che toccano praticamente tutta la vita pubblica dello stato, e dettano linee guida ferree sull’insegnamento ammesso nelle scuole così come impediscono alle aziende di chiedere certificati vaccinali ai propri dipendenti, senza dimenticare di impedire alle città di illuminare gli edifici pubblici con i colori del Pride.

Quando però si avvicina la data fatidica, questi provvedimenti cominciano a destare qualche preoccupazione perché rischiano di far sembrare un partito più radicale agli occhi di quell’America che si disinteressa alla politica per gran parte dell’anno.

Per quanto riguarda il Golden State, che spesso viene presentato dai repubblicani come stato dove l’immigrazione e il crimine sono fuori controllo, l’assemblea statale sta approvando in queste settimane un provvedimento per consentire ai migranti senza documenti di accedere a un prestito statale per l’acquisto di casa fino a 150mila euro.

Un provvedimento che, se in California grazie alla vasta maggioranza di cui godono i dem può passare senza problemi, di sicuro verrà utilizzato a livello nazionale come modello a cui si rifarebbe un’eventuale amministrazione Harris. Dal canto suo la candidata tace, ma a livello nazionale appoggia un provvedimento proposto dall’amministrazione Biden di dare 25mila dollari per l’acquisto della prima casa anche se, in quel caso, chi non ha i permessi di soggiorno ne sarebbe escluso.

Peraltro, il governatore Newsom, in passato, si è spinto fino ad andare contro al suo partito quando percepiva un eccessivo radicalismo nelle proposte: ad esempio ha bocciato una legge che avrebbe proibito alle prigioni statali di condividere informazioni sui detenuti stranieri.

La stella appannata

Ciononostante, si vede come con una candidata californiana alla testa del ticket dem per la prima volta nella storia (i tre presidenti finora provenienti dal Golden State, cioè Herbert Hoover, Richard Nixon e Ronald Reagan, erano tutti repubblicani) la stella mediatica del governatore Gavin Newsom si è leggermente appannata, come a voler distaccare la propria immagine da uno stato che appare in difficoltà.

Tra i problemi che più saltano all’occhio (e quindi sono un facile materiale propagandistico a uso della campagna di Donald Trump) ci sono anche le immagini dei senzatetto che popolano le principali città come Los Angeles e San Francisco, fenomeno dovuto anche all’esorbitante costo degli immobili. Tanto che lo stesso Newsom ha detto alle amministrazioni cittadine delle principali città di usare qualsiasi mezzo per limitare il fenomeno. Compresa la rimozione delle persone con le forze di polizia. Certo non un modello solidale.

Dall’altra parte del paese, invece, la Florida è salita agli onori delle cronache per un referendum che si voterà a novembre insieme alle elezioni presidenziali. Nella proposta numero 4 su cui si dovranno esprimere i cittadini si mira all’abolizione del divieto assoluto imposto dal governatore DeSantis una volta superate le sei settimane di gravidanza.

A votare a favore si prevede che saranno anche molti repubblicani e l’ultimo sondaggio eseguito da Public Policy Polling, istituto vicino ai democratici, parla di una maggioranza del 61 per cento a favore del provvedimento che alzerebbe il limite a ventiquattro settimane, pari a circa sei mesi di gestazione.

Riparazione

Tra questi repubblicani rischiava di esserci anche lo stesso Donald Trump, che in un’intervista ha detto che l’attuale divieto è «troppo rigido» e che andrebbe reso più elastico. Mossa che ha spinto subito dopo i responsabili della sua comunicazione a fare un’arrampicata sugli specchi per evitare che la mossa facesse imbestialire la destra evangelica che già non apprezza la svolta moderata del tycoon sul tema, che da qualche tempo afferma di voler «proteggere i diritti riproduttivi delle donne» qualora tornasse alla Casa Bianca.

Dopo qualche giorno, è arrivata la retromarcia: se da un lato ritiene l’attuale normativa troppo restrittiva, l’ex presidente ha giudicato troppo estrema anche la controproposta dei dem che richiede per essere approvata il 60 per cento, una cifra che però appare alla portata e che segnerebbe il definitivo declino della leadership di Ron DeSantis dopo la disastrosa campagna elettorale alle primarie presidenziali di inizio anno.

Il governatore della Florida, dunque, viene accomunato al suo “miglior nemico” Gavin Newsom da quest’elemento: entrambi erano visti come il futuro del proprio partito, ma oggi invece appaiono come gli esponenti di un modo divisivo di fare politica che ha stufato l’opinione pubblica americana ormai satura di sterili contrapposizioni e di “guerre culturali” che mettono in secondo piano problemi più pressanti come l’aumento dei prezzi dei beni di consumo e l’acquisto di una prima casa.

Ancora una volta, gli analisti hanno confuso l’entusiasmo dei militanti di un singolo stato per qualcosa di più, che avrebbe potuto portare Newsom e DeSantis alla guida del paese nel prossimo futuro. Eventualità che appare sempre più remota.

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