Si è concluso il terzo forum sulla sicurezza tra il paese e gli stati africani. Pechino ha una politica di non ingerenza negli affari interni, ma fornisce armi e tecnologie. La serie di colpi di stato che ha scosso il continente tuttavia non fa il gioco del governo cinese, che deve studiare meglio le sue alleanze
L’Africa nel caos preoccupa la Cina e lascia molti interrogativi aperti. Dopo il vertice Russia-Africa di San Pietroburgo, tra il 28 agosto e il 2 settembre si è tenuto il terzo forum sulla sicurezza Cina-Africa a livello di rappresentanti militari ed esperti.
Com’è noto l’iniziativa riguarda la sicurezza globale, la lotta antiterrorismo, l’anti pirateria, il training militare e il contenimento delle instabilità. Pechino non interviene direttamente nelle crisi africane ma fornisce armi, tecnologia e cerca di influire nelle decisioni strategiche degli stati, in concorrenza con le altre potenze coinvolte sul continente.
Tuttavia anche la Cina è stata presa alla sprovvista dall’epidemia dei colpi di stato militari in Africa e il forum è divenuto certamente l’occasione per studiare da vicino lo stato degli eserciti africani. Oltre cinquanta funzionari della difesa e ufficiali militari provenienti dall’Africa hanno scambiato informazioni con i rappresentanti cinesi, dopo l’introduzione del ministro cinese della difesa Li Shangfu che ha tenuto un discorso sull’attuazione dell'iniziativa di sicurezza globale e sul rafforzamento della solidarietà e della cooperazione Cina-Africa. Il secondo forum di questo tipo si era tenuto nel luglio 2022 ma a distanza, in collegamento video.
una situazione instabile
Pechino ha scelto di dare poca risonanza all’evento, che giunge dopo il vertice dei Brics sudafricano, anche perché le condizioni di stabilità del continente lasciano planare sulla cooperazione securitaria con l’Africa molte incertezze.
L’idea cinese è «la realizzazione di un'Africa pacifica e stabile», uno dei sette indicatori chiave dell'Agenda dell’Unione africana 2063 ma, come ha detto alla stampa cinese Song Wei, professore alla Scuola di Relazioni Internazionali e Diplomazia dell'Università di Studi Esteri di Pechino: «Negli ultimi anni, il continente africano è stato alle prese con numerose sfide alla sicurezza». In linguaggio cinese ciò significa che Pechino guarda al continente con preoccupazione anche per avervi investito centinaia di miliardi di dollari, ora messi a rischio non solo dalle difficoltà economiche ma anche dal cambio inatteso dei regimi.
Durante il forum si è messo l’accento sulla situazione critica del Corno d’Africa e sulla lotta antiterrorista nella regione del Sahel. Il recente golpe in Niger ha accresciuto le ansie cinesi che temono il venir meno di uno dei punti focali nella guerra contro il jihadismo in Africa occidentale, con conseguenze di insicurezza generale per tutto il continente.
Presenti ma non troppo
La Cina è consapevole che l'intensificazione della competizione geopolitica con gli Stati Uniti rende l'Africa un campo di battaglia e vuole essere presente. La questione è quali siano le modalità migliori per partecipare alla costruzione di un’architettura di sicurezza in Africa favorevole a Pechino, pur mantenendo la classica posizione di non ingerenza negli affari interni. Talvolta quest’ultima postura sembra lasciare la Cina nell’immobilismo o nel solo gioco di rimessa. Coinvolgersi maggiormente significa tuttavia elaborare una politica più attiva che ancora non è stata compiutamente elaborata.
Va detto che la maggior parte delle forze cinesi di peacekeeping sono dispiegate in Africa: la Cina ha partecipato a 17 missioni di mantenimento della pace delle Nazioni unite, inviando oltre 30mila uomini e divenendo il membro permanente del Consiglio di sicurezza dell’Onu più impegnato nel continente, senza contare le operazioni navali nelle acque del Golfo di Aden e davanti alla Somalia, in funzione antipirateria.
Mutando la propria vecchia abitudine al distacco, la Cina ha anche partecipato attivamente alle conferenze internazionali di pace relative al Sahel, al Sud Sudan e al Corno d’Africa, proponendo delle iniziative come quelle per la pace e lo sviluppo del Corno d’Africa nel 2022.
È evidente che per la via della seta marittima che include anche l’Africa, e in generale per il suo commercio estero, Pechino auspica un quadro geopolitico africano stabile, che permetta lo sviluppo degli importanti programmi infrastrutturali previsti, come il corridoio ferroviario-stradale tra i due oceani che dovrebbe andare dalla Tanzania all’Angola, gli assi verso il nord o i poli logistici portuali soprattutto nell’Oceano indiano.
Equilibrismo cinese
La guerra in Sudan, ad esempio, crea grossi problemi al trasporto marittimo nel Mar Rosso e attorno al Port Sudan. Altrettanto si può dire per le crisi regionali in Etiopia, un paese su cui Pechino ha molto investito. Dopo il colpo di stato in Niger, Pechino è rimasta in imbarazzo: era vicina al presidente Mohamed Bazoum ma non ha condannato il golpe.
Le relazioni con l’Unione africana e con le regionali come l’Ecowas, sono importanti (le sedi di entrambe sono state finanziate dai cinesi) ma la divisione interne degli africani rimangono imprevedibili e spesso indecifrabili. In Mali Pechino non si oppone alle sanzioni imposte dall’Onu (come invece vorrebbe Mosca) ma contemporaneamente collabora con la giunta militare.
Secondo i desiderata cinesi l’attuale forum sulla pace e la sicurezza, dovrebbe servire a «raggiungere un consenso politico sullo sviluppo di una prospettiva di sicurezza internazionale più ampia e di un concetto di sicurezza condiviso», rafforzando al tempo stesso la cooperazione militare.
Pur mantenendo la sua politica di non interferenza, la Cina desidera aiutare l’Africa a costruire le proprie capacità militari difensive, anche in vista di una migliore collaborazione sull'antiterrorismo. Sono previsti piani di esercitazioni militari congiunte. Il problema è però quali paesi scegliere per tale più stretta cooperazione, evitando di infilarsi in situazioni critiche come quelle attuali dell’Africa Occidentale.
Per ora Pechino collabora con molti paesi africani ma delle scelte dovranno certamente essere compiute: la lista dei paesi a rischio si allunga, l’incertezza si diffonde e la prudenza richiederà forse di selezionare con più cura i propri partner.
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