Documenti interni ottenuti da Domani tramite un accesso agli atti sollevano dubbi sull’efficacia del progetto nato nel 2010 e implementato nel 2017 durante il mandato dell’ex direttore di Frontex, Fabrice Leggeri. Sullo sfondo ci sono i timori dell’Agenzia europea di essere associata a violazioni dei diritti umani visto la formazione fornita a servizi di sicurezza stranieri di stati autoritari
Avila è una piccola cittadina di circa 50mila abitanti situata a nord-ovest da Madrid. Un luogo poco conosciuto a chi non è spagnolo, ma molto noto nella sede operativa dell’Agenzia del controllo delle frontiere (Frontex) di Varsavia. Per sei anni l’accademia di polizia di questa città è stata il luogo principale dove lo staff di Frontex ha addestrato decine di funzionari di 32 paesi africani. Alcuni di questi sono agenti di frontiera, membri di corpi delle polizie nazionali e altri ancora esponenti dei servizi d’intelligence di paesi dove le violazioni dei diritti umani sono all’ordine del giorno e il confine tra democrazia e regime autoritario è molto labile.
L’addestramento è avvenuto nell’ambito del progetto Afic (Africa – Frontex intelligence community) che ha l’obiettivo di contrastare i flussi migratori irregolari nel continente africano attraverso le istituzioni delle Risk analysis cell, ovvero delle squadre di lavoro che si occupano di scrivere report di intelligence da inviare all’Agenzia europea. Già nel mirino per sprechi e potenziali respingimenti illegali, l’operato di Frontex è al centro di aspre critiche da molto tempo.
Ora alcuni documenti ottenuti da Domani, attraverso un accesso agli atti, mostrano l’ultimo fallimento: il progetto Afic non ha dato vita ai risultati sperati. Su otto team messi in piedi in Africa, solo tre sono in attività. Inoltre, da alcuni documenti emerge tutta la preoccupazione di Frontex di incorrere in rischi reputazionali vista la sua presenza in territori dove le autorità locali compiono azioni repressive usando i corpi di polizia.
Trasferte, vitto e alloggio
Afic nasce nel 2010 con l’obiettivo di promuovere lo scambio di informazioni sul traffico di migranti tra i paesi africani e l’Unione europea. Nel 2017, con Fabrice Leggeri a capo dell’Agenzia – dimessosi nel maggio del 2022 dopo la scandalo di respingimenti in massa di richiedenti asilo avvenuti alla frontiera tra Grecia e Turchia – Afic ha assunto un carattere più operativo. Frontex ha stanziato fondi per fornire attrezzature, corsi di formazione e dare vita a sistemi integrati di gestione delle frontiere garantendo l’interoperabilità tra i database dell’Ue e dell’Africa occidentale.
Il progetto sarebbe dovuto durare 36 mesi ma a causa di una lunga interruzione dovuta alla pandemia da Covid-19 si è concluso nel febbraio del 2023 con un evento in pompa magna a Dakar, in Senegal. L’obiettivo dell’addestramento è quello di dotare i funzionari degli stati partner di nuove competenze analitiche, di monitoraggio e di condivisione dati per aumentare l’efficacia del contrasto dell’immigrazione irregolare e aggiornare Frontex su ciò che è rilevante per raggiungere il suo obiettivo.
La missione ha avuto un costo di circa 3.8 milioni di euro. Gran parte dei fondi sono stati usati per pagare i funzionari di Frontex, viaggi, vitti e alloggi degli agenti africani che sono stati addestrati in Europa e nei loro paesi di origine. In circa sei anni di lavoro hanno partecipato ai corsi di formazione circa 150 persone – non solo ad Avila ma anche a Catania – e sono state create otto Risk analysis cell (Rac), una per paese, in Niger (2018), Ghana (2019), Nigeria (2019), Senegal (2019), Gambia (2019), Costa D’avorio (2022), Togo (2022) e Mauritania (2022).
Le Rac sono composte da agenti che hanno l’obiettivo di stilare report sui flussi migratori e sulle recenti operazioni di contrasto da parte dei singoli stati. I documenti – condivisi nel database comune con gli altri partner di Afic – vengono poi inviati nella sede centrale di Frontex a Varsavia, dove vengono analizzati per mettere in campo misure di contrasto. Ma a progetto finito, quante di queste sono operative ancora oggi? Frontex ha risposto che nel 2023 ha ricevuto 17 report provenienti solo da tre delle otto Rac messe in piedi in Africa. Un numero in diminuzione rispetto al 2022 dove a Varsavia erano arrivati 24 report da cinque di loro.
Frontex non ha voluto specificare quali fossero le Rac inattive. Di sicuro non esistono più contatti con il team del Niger, visto che dopo il colpo di stato della giunta militare avvenuto lo scorso luglio, l’Agenzia ha interrotto tutte le comunicazioni. Niger che però rappresenta uno snodo centrale del flusso migratorio verso l’Europa.
Addestramento di intelligence stranieri
Al di là dei dubbi sui risultati ottenuti dal progetto c’è un altro elemento da considerare. Con i fondi pubblici europei, Frontex ha formato esponenti di apparati repressivi stranieri. Gli stessi apparati che spesso sono complici di violazioni dei diritti umani quali Tunisia, Egitto, Libia, Nigeria e tanti altri. Non è un caso se alcuni dei 32 stati che hanno partecipato ai workshop di Frontex non sono inclusi nelle liste dei paesi sicuri degli stati membri dell’Ue.
Rispondendo a un’interrogazione dell’eurodeputato Özlem Demirel, Frontex ha detto di non sapere quali delle autorità che hanno partecipato ai suoi corsi di formazione hanno anche funzioni d’intelligence. In realtà su alcuni paesi ne è a conoscenza, è la stessa Frontex a dire che in Libia la formazione è stata fatta ai membri del servizio di intelligence e del dipartimento antiterroristico. Così come accaduto in Ghana dove ai workshop hanno partecipato funzionari del Dipartimento immigrazione della divisione d’intelligence.
Inoltre, un documento riportato da Statewatch e datato nel 2017 smentisce questa versione. Si tratta di una lettera d’invito a un corso di formazione nel quale c’è scritto che i partner sono «comunemente parte di unità di intelligence o di analisi delle autorità di sicurezza e controllo delle frontiere». Il rischio che le competenze fornite abbiano rafforzato apparati di sicurezza già repressivi è alto. Negli ultimi anni sempre più richieste di asilo sono state formulate da persone provenienti dalla Costa d’Avorio (paese dove Frontex ha creato il suo team di esperti all’interno della Direzione dell’antiterrorismo). Solo nei primi sei mesi del 2023 oltre 9mila ivoriani hanno fatto richiesta di protezione internazionale ed è stata concessa al 28 per cento di loro. Sono quindi gli stessi stati europei ad ammettere un problema di sicurezza per i cittadini ivoriani.
Rischi reputazionali
L’ufficio a tutela dei diritti umani dell’Agenzia ha formulato delle analisi sullo status dei diritti umani e sulle criticità presenti negli otto stati partner del progetto dove sono state create le Rac. I documenti delineano una situazione preoccupante: sparizioni e arresti arbitrari, casi di tortura, deficit normativi e una lunga lista di criticità.
Ciò nonostante l’ufficio diritti umani dell’Agenzia è d’accordo sull’apertura delle Rac negli otto paesi scelti e consiglia di inserire tematiche legate al rispetto dei diritti umani nei corsi di formazione. Tuttavia, mette in allerta i colleghi: «Raccomandiamo di evitare visite congiunte legate alla gestione migratoria in luoghi identificati come ad alto rischio». Prima di prendere in considerazione la visita bisogna fare un’attenta valutazione perché «i rappresentanti di Frontex che visitano un tratto di frontiera dove avvengono violazioni dei diritti umani o dove c’è un conflitto di frontiera potrebbero associare l’Agenzia a violazioni dei diritti umani».
Inefficace
Il progetto è considerato essenziale da Bruxelles, che in questi mesi sta discutendo un suo eventuale rinnovo. Tuttavia, sono gli stessi funzionari di Frontex a sollevare dubbi sui risultati ottenuti dal progetto. La valutazione dell’efficacia di Afic, infatti, è stata affidata a un team interno all’Agenzia al quale sono stati sottoposti una sfilza di documenti che però sono stati ritenuti insufficienti.
«Ci sono una serie di inconsistenze in alcuni monitoraggi e report», scrive chi ha redatto il documento ottenuto da Domani. «Per esempio, non tutti i workshop, le visite sul campo e i meeting operativi includono una lista dei partecipanti, non tutti i report quadrimestrali contengono il numero dei documenti inviati dalle Rac». E poi ancora «sono assenti i report riguardo alcune attività», mai sottoposti al team di valutazione. Di conseguenza, «vista la mancanza di alcuni documenti, il team di valutazione non può verificare una certa quantità di informazioni e si è dovuto basare solo sul feedback qualitativo fornito durante le interviste con gli stakeholders».
Dalle interviste è emerso che alcuni paesi beneficiari – non tutti hanno voluto rispondere al team di valutazione di Frontex – hanno affermato che i workshop hanno fornito importanti competenze nella verifica e analisi dei dati, nella redazione di report e competenze su come identificare varie forme di minaccia lungo i loro confini. Tuttavia, quattro paesi hanno ammesso di aver bisogno di più corsi di formazione per portare avanti il progetto. Altri hanno affermato di non aver ricevuto risposte ad alcune lettere inviate per chiedere delucidazioni e altri ancora hanno lamentato la cancellazione improvvisa di alcune attività. Un fatto che ha «eroso la fiducia nel progetto», si legge nella valutazione. Alla fine del report, nonostante gli elementi mancanti, il team di Frontex ha fornito un parere positivo sul progetto e ha formulato otto raccomandazioni, ma il loro contenuto è coperto da omissis.
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