A palazzo Chigi si teme che dai paesi subsahariani migrino fino a due milioni di persone. Il messaggio di Mattarella alla Ue: «Il regolamento di Dublino è preistoria»
Lo smisurato arrivo di migranti sulle coste italiane di quest’estate è solo un assaggio di quello che ci aspetterà nei prossimi anni. È quello che temono gli uffici del sottosegretario Alfredo Mantovano e il Viminale, che hanno letto alcuni report arrivati di recente dai nostri servizi di intelligence. Che hanno stimato, nel prossimo anno e mezzo, migrazioni interne e verso l’Europa di enorme entità, fino a due milioni di persone.
Il fenomeno coinvolge, secondo gli analisti, principalmente l’area del Sahel, oggi infuocata dalla siccità alimentata dal cambiamento climatico e dai colpi di stato delle giunte militari che negli ultimi due anni hanno preso il potere in Burkina Faso, Mali e da ultimo in Niger.
Uno scenario che preoccupa ovviamente il ministro Matteo Piantedosi, titolare con Mantovano della delega all’immigrazione, e la premier Giorgia Meloni.
Dal palco delle Nazioni unite a New York la presidente del Consiglio ha infatti lanciato un appello agli stati membri per «dichiarare una guerra globale e senza sconti ai trafficanti di esseri umani» per arginare il «caos» africano che spinge «milioni di persone in cerca di condizioni di vita migliori».
La strategia
Correre ai ripari prima che il fenomeno sia ingovernabile è il mantra che risuona a palazzo Chigi. A indirizzare le strategie è stato anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che in Sicilia – dove ha accolto per una visita di due giorni il suo omologo tedesco Frank Walter Steinmeir – ha detto: «L’immigrazione è un fenomeno epocale che va governato con visione del futuro non con provvedimenti improvvisati o tampone». E la visione futura spinge ora la premier Meloni a chiedere l’aiuto di Bruxelles per stringere accordi anche con i paesi del Sahel, sulla scia di quelli già siglati con Tunisia e Libia.
L’obiettivo del governo italiano è far entrare la prossima Commissione europea, che uscirà dalle urne delle elezioni del 2024, nei palazzi governativi del cuore dell’Africa per portare investimenti, provare a siglare intese per i rimpatri con i paesi che al momento non accettano le espulsioni dei loro cittadini e incrementare la cooperazione militare per contrastare il traffico di esseri umani e il terrorismo. Facile a dirlo ma ci sono diverse incognite da non sottovalutare.
La prima: non è detto che gli accordi funzionino, lo abbiamo visto quest’estate con il memorandum of understanding firmato a Tunisi. La seconda è un tema politico: Bruxelles e Roma, scenderanno a patti con le giunte militari golpiste dei paesi del Sahel? E infine: come reagiranno Russia e Francia che negli ultimi anni hanno avuto il controllo dell’area?
Lo scenario attuale, però, richiede anche interventi rapidi. Nella serata di mercoledì, gli Stati Uniti hanno annunciato che investiranno altri 247 milioni di dollari per inviare aiuti umanitari in Africa, alcuni di questi destinati proprio al Burkina Faso, uno dei paesi più attenzionati dai report sulla scrivania di Mantovano per l’aumento improvviso dei migranti provenienti da lì che arrivano in Italia.
Lato italiano, per il momento Meloni è riuscita a riunire a Roma lo scorso luglio oltre venti stati durante la conferenza sulle migrazioni che si è tenuta alla Farnesina. In quell’occasione aveva ribadito il concetto che non era più possibile continuare con accordi bilaterali tra due stati, ma era necessario l’intervento dell’Unione europea e delle Nazioni unite.
Il contrasto
Governare i flussi migratori è il grande tema del nostro secolo. Nei paesi del Sahel le persone scappano non soltanto da conflitti civili, carestie e da una situazione economica disastrata, ma anche dagli attacchi terroristici. Nelle prime dieci posizioni della classifica dei paesi a più alto rischio terrorismo ci sono tre stati del Sahel: Burkina Faso, Niger, Mali (governati da giunte militari golpiste).
A cui vanno aggiunti anche Somalia e Nigeria. Negli ultimi anni, il contrasto al terrorismo è stato portato avanti con missioni militari condotte dai paesi europei (su tutti la Francia) e dagli Stati Uniti.
Ma i nuovi cambiamenti politici stanno rinforzando i vari gruppi terroristici. Solo nella giornata del 21 settembre sono morti 22 civili in due diversi attacchi avvenuti nel nord e nell’ovest del Burkina Faso. Nel paese si contano circa due milioni di sfollati, molti dei quali arriveranno in Europa tramite Libia e Tunisia. Qui negli ultimi giorni si sono intensificate le operazioni di polizia, soprattutto a Sfax, la cittadina costiera da dove partono il maggior numero di imbarcazioni.
Le autorità locali, oltre a continuare le deportazioni dei migranti subsahariani stanno cercando di individuare – con l’aiuto delle immagini satellitari fornite da Frontex – le fabbriche dove vengono costruiti i barchini di ferraglia utilizzati dai trafficanti. Non è semplice trovarle e distruggerle, però, visto che vengono costruiti anche nei giardini di semplici abitazioni lungo la costa. Sono talmente tanti che i servizi di sicurezza tunisini non riescono a intercettarli tutti prima della partenza.
Prossime sfide
A livello politico, il prossimo passo è superare l’accordo di Dublino. Concetto ribadito dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. «Le regole di Dublino sono preistoria – ha detto – l’accordo faceva riferimento a un altro mondo che non c’è più. È una logica fuori dalla realtà». Serve trovare soluzioni e insieme, ma gli stati europei sono divisi e molto dipenderà dalla composizione del prossimo esecutivo dell’Unione europea. La sentenza emessa dalla Corte di giustizia europea rischia di aprire un nuovo capitolo di scontro tra Italia e Francia. Da Lussemburgo hanno definito illegali i respingimenti dei migranti lungo la frontiera da parte di Parigi, una decisione che ha scatenato l’ira francese. La Commissione europea se ne è lavata le mani: «Prendiamo atto della sentenza ed effettueremo un monitoraggio, ma spetta agli stati membri garantire il rispetto di una sentenza del tribunale».
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