- La fuga di gas dalle conduttore sabotate a fine settembre si è esaurita e negli ultimi giorni le autorità svedesi hanno compiuto le prime ispezioni sul fondale marino, ma per ora mantengono il riserbo sulle loro scoperte.
- Mentre i paesi dell’Europa orientale accusano la Russia e la Russia accusa gli Stati Uniti, questi ultimi per ora si mantengono prudenti e non indicano un possibile responsabile nemmeno off the record.
- La logica del cui prodest è di scarso: americani, russi, polacchi e ucraini hanno tutti qualcosa da guadagnare dal sabotaggio del gasdotto e forse non sapremo mai chi è stato il responsabile.
A poco meno di due settimane dalle esplosioni che hanno danneggiato tre delle quattro condutture dei gasdotti Nord Stream 1 e Nord Stream 2 le autorità svedesi hanno compiuto la prima ispezione sul luogo del sabotaggio, ma sulle loro scoperte mantengono il totale riserbo. Anche gli Stati Uniti restano prudenti nell’attribuire una responsabilità e così le ipotesi più varie continuano a circolare, soprattutto negli ultimi giorni, dopo che funzionari americani hanno rivelato che dietro un attacco compiuto in Russia ci sono i servizi segreti ucraini.
Il sabotaggio
Il sabotaggio delle conduttore dei due gasdotti è avvenuto in acque internazionali a largo dell’isola danese di Bornholm a circa 90 metri di profondità. Entrambe le conduttore del gasdotto Nord Stream 1 sono state bucate, mentre due falle sono comparse nel condotto A del gasdotto Nord Stream 2, a sei chilometri di distanza l’una dall’altra. La seconda conduttura del gasdotto Nord Stream 2, la B, rimane invece operativa (anche se non trasporta gas dallo scorso febbraio).
La causa delle falle viene attribuita a due esplosioni registrate dai sismografi danesi. La prima è avvenuta poco le due di notte del 26 settembre e la seconda intorno alle 19. Secondo la prima ricostruzione, le esplosioni sarebbero state causate dalla detonazione circa cento chilogrammi di esplosivo equivalente alla Tnt
Le indagini
Per circa dieci giorni ispezionare le condutture è stato impossibile, poiché il gas accumulato e mantenuto sotto pressione nelle tubature continuava a fuoriuscire, rendendo l’accesso alla zona pericoloso. Nel corso del fine settimana, tutte e tre le perdite sono cessate, dopo aver immesso nell’atmosfera una quantità di gas serra equivalente a quella di due milioni di automobili per un anno.
All’inizio della settimana, le autorità svedesi hanno compiuto le prime ispezioni sulle falle, raccolto alcune reperti significativi e riaperto la zona alla circolazione marittima. Ma il primo comunicato stampa, pubblicato la sera di giovedì dalla procuratrice Mats Ljungqvist, è stato estremamente scarno. Ljungqvist si è limitata a confermare che falle ed esplosioni sono state causate con ogni probabilità da un sabotaggio e che le prove raccolte saranno presto esaminate. Sul resto delle conclusioni ha fatto sapere che la questione «è molto delicata» e quindi ha preferito mantenere il riserbo.
Le ipotesi
Dal primo rapporto svedese mancava l’informazione principale: ossia se l’esame delle condutture ha permesso di stabilire se l’esplosione è avvenuta all’interno o all’esterno delle conduttore. Nel primo caso, infatti, sarebbe immediatamente possibile stabilire la responsabilità della Russia. Soltanto i russi, infatti, hanno accesso le condutture e soltanto loro potrebbero aver inserito cariche esplosive durante la costruzione, oppure inserendole nei condotti nella stazione di pompaggio in Russa. Senza queste informazioni, tutte le ipotesi rimangono aperte.
Secondo analisti citati dall’agenzia Reuters, la scarsa profondità delle condutture avrebbe reso possibile il sabotaggio anche ad attori non statuali con a disposizione equipaggiamenti commerciali. Vista la precisione degli attacchi, l’ipotesi rimane però improbabile. Alla stessa conclusione è giunta anche la polizia federale tedesca, che secondo un’esclusiva del settimanale Spiegel è giunta alla conclusione che uno stato non ancora identificato è con ogni probabilità responsabile del sabotaggio.
Su come l’attacco possa essere avvenuto circolano tre ipotesi principali. La prima è che si tratti un’operazione compiuta tramite un sottomarino, la seconda tramite battelli di superficie che possono presentarsi come navi civili, la terza è che ad effettuarla siano stati aerei o elicotteri. Nei primi due casi, scoprire i responsabili sarà estremamente difficile.
Un aiuto potrebbe arrivare dall’analisi di eventuali registrazioni compiute dalle stazioni sonar di Svezia e Danimarca. Secondo la Cnn, funzionari degli Stati Uniti si sarebbero offerti di analizzare queste registrazioni. Ogni tipologia di imbarcazione produce una particolare impronta sonar e grazie alle avanzate tecnologie della marina Usa e alla vasta libreria di “impronte” di imbarcazioni in loro possesso, potrebbero risalire a quali navi si trovavano vicino alle conduttore prima e durante l’esplosione. Non è chiaro però se svedesi e danesi sono in possesso di simili registrazioni né di quale sia la loro qualità.
Un indizio nel silenzio
Subito dopo il sabotaggio, numerosi funzionari e governi dell’Europa dell’est, hanno immediatamente incolpato la Russia del sabotaggio. Il Cremlino ha subito risposto incolpando gli Stati Uniti. Questi ultimi, invece, a parte respingere le accuse russe, hanno fino ad ora mantenuto un sostanziale riserbo sulla faccenda.
Secondo alcuni funzionari americani interpellati dal New York Times, è molto facile imputare alla Russia tutti gli attacchi che colpiscono i paesi Nato, ma non sempre queste attribuzioni sono corrette. Ad esempio, un devastante cyberattacco che ha colpito l’Albania attribuito inizialmente alla Russia, si è rivelato invece di origine iraniana.
Questa settimana, l’intelligence americana ha rivelato che dietro l’assassinio della propagandista russa Daria Dugina, imputato in un primo momento a una fazione dei servizi di sicurezza russi, è stato in realtà compiuto dall’intelligence ucraina.
Questo silenzio americano, la mancanza di prove e indizi che puntino chiaramente in una direzione, continua a lasciare la porta aperta ad ogni sorta di speculazione. La scorsa settimana si è parlato molto di un tweet dell’ex ministro degli Esteri polacco Radoslaw Sikorski, in cui ringraziava apertamente gli Stati Uniti dando per scontato che fossero gli autori dell’attacco. Sikorski al momento non ha ruoli di governo ed è all’opposizione del governo polacco, che l’ha duramente criticato per il commento. Sikorski ha successivamente rimosso il tweet. Tra chi ha accusato gli Stati Uniti dell’attacco c’è anche l’economista americano Jeffrey Sachs, che però non ha fornito particolari prove per la sua affermazione.
Cui prodest?
Il mistero sui responsabili è acuito dal fatto che non è per nulla chiaro chi trarrà più vantaggio dall’attacco. O meglio: tutti gli attori principali dell’attuale conflitto potrebbero avere buone ragioni per felicitarsi del sabotaggio. La Russia ha respinto le accuse sostenendo che non avrebbe senso distruggere un’infrastruttura costruita dalle sue compagnie, al momento non funzionante e che, in ogni caso, può bloccare a monte senza bisogno di danneggiarla.
Chi accusa Putin sottolinea però che una delle conduttore di Nord Stream 2 è ancora funzionante. Inoltre, alcuni ipotizzano che il presidente russo potrebbe aver ordinato l’attacco per togliere un’arma negoziale ad eventuali fazioni del Cremlino che punterebbero a sostituirlo. Senza i gasdotti, infatti, la fornitura di energia all’Europa, un’importante moneta di scambio in eventuali trattative di pace, non può essere facilmente ripristinata, rendendo così meno probabile un accordo di pace.
La logica del cui prodest, che non necessariamente è sempre la più affidabile, indica Stati Uniti e paesi dell’Europa orientale tra gli attori che avrebbero più da guadagnare da questo attacco. Gli Stati Uniti si oppongono da tempo alla costruzione del gasdotto e oggi vendono all’Europa il loro gas liquefatto come sostituto del gas russo.
Paesi come Polonia, Ucraina e paesi Baltici, erano altrettanto contrari a Nord Stream e ospitano sul loro territorio le condutture terresti che arrivano dalla Russia. Eliminati i due Nord Stream (anche se il numero due solo parzialmente) per ripristinare le forniture russe all’Europa sarà necessario il loro consenso. Questo garantisce loro maggiore capacità negoziale sia con la Russia sia con il resto dell’Unione.
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