Il segretario di stato Usa è arrivato nella regione e, oltre all’Arabia Saudita, visiterà Egitto, Qatar, Israele e Cisgiordania per trattare sul ritorno degli ostaggi e un cessate il fuoco temporaneo. La città nel sud di Gaza, ora sotto attacco, era stata dichiarata dall’esercito israeliano una zona sicura
Il segretario di stato Usa, Antony Blinken, è arrivato in Arabia Saudita, dove si fermerà prima di spostarsi in Egitto, Qatar, Israele e Cisgiordania. Si tratta della quinta visita del segretario nella regione.
Blinken dovrebbe incontrare il principe ereditario Mohammed bin Salman e il ministro degli Esteri saudita, il principe Faisal bin Farhan Al Saud. Al centro degli incontri saranno i colloqui per il ritorno degli ostaggi israeliani, nelle mani di Hamas, in cambio di un cessate il fuoco temporaneo nella Striscia di Gaza, così come le questioni umanitarie a Gaza, che secondo quanto ha riferito il consigliere per la Sicurezza nazionale, Jake Sullivan, saranno una priorità assoluta per Blinken.
Il segretario di stato Usa visita la regione a seguito degli attacchi statunitensi di ritorsione di almeno 85 obiettivi legati all’Iran in Iraq e Siria e degli attacchi ai siti houthi nel mar Rosso.
A Rafah
Nella notte tra domenica e lunedì, secondo il ministero della Salute di Gaza, a Rafah, sono morte 128 persone in un attacco israeliano, in maggioranza donne e bambini.
Migliaia di gazawi erano fuggiti verso Rafah, città nel sud della Striscia al confine con l’Egitto, perché definita zona sicura dall’esercito israeliano. Per questo dalla città di Khan Younis, una decina di chilometri più a nord, dove le forze di difesa israeliane hanno concentrato gli attacchi, la popolazione si è spostata verso sud. Ma Yoav Gallant, ministro della Difesa israeliano, ha fatto sapere che l’Idf concentrerà gli attacchi sulla città di Rafah.
L’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (Ocha) ha riferito che sono morte 234 persone tra sabato e domenica, portando il bilancio delle vittime palestinesi dal 7 ottobre a 27.365 e a 67mila i feriti. Migliaia di persone sono poi rimaste sotto le macerie, afferma l’Ocha.
Khan Younis, riferisce l’agenzia palestinese Wafa, è sotto «continui bombardamenti» e gli ospedali Al-Amal e Kamal Nasser nel centro città sono assediati.
L’attacco in Siria
Almeno sei combattenti delle Forze democratiche siriane (Sdf), il gruppo guidato dai curdi sostenuto dagli Stati Uniti, sono stati uccisi domenica durante un attacco sferrato con dei droni in Siria. L’attacco ha colpito un campo di addestramento nella base di al Omar, nella Siria orientale, che ospitava anche truppe americane.
Un gruppo di milizie irachene appoggiate dall'Iran conosciuto come Resistenza Islamica in Iraq, ha rivendicato la responsabilità dell’attacco pubblicando un video in cui viene mostrato il lancio di un drone da una posizione non specificata. Il gruppo filo-iraniano era stato colpito da un attacco guidato dagli Stati Uniti la scorsa settimana, lanciato come rappresaglia per l’uccisione di tre soldati americani in un attacco con droni su una base Usa in Giordania.
Le Sdf hanno affermato di avere il diritto di rispondere all’attacco.
Questione Unrwa
Per Josep Borrell, alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, la sospensione dei fondi all’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, è «sproporzionata e pericolosa». Dopo le accuse di Israele, a carico di 12 membri dello staff dell’agenzia, di aver preso parte all’attacco di Hamas del 7 ottobre, l’Unrwa ha licenziato le persone accusate ancora in vita. Alcune sono invece disperse a causa del conflitto, mentre è stata dichiarata la morte di un membro dello staff. A seguito delle accuse, diversi paesi hanno sospeso i finanziamenti: tra questi Stati Uniti e Regno Unito.
«Se alcuni medici di un ospedale europeo fossero coinvolti in attività criminali, verrebbero avviate indagini approfondite e verrebbero intraprese tutte le azioni opportune», scrive Borrell. «Tuttavia, nessun governo smetterebbe mai di finanziare il servizio sanitario», continua, «poiché ciò punirebbe principalmente le persone che ricevono questi servizi. Le malefatte dei singoli non dovrebbero mai portare alla punizione collettiva di un’intera popolazione». E continua: «Se l’Unrwa dovesse cessare o limitare i servizi, cosa che potrebbe accadere già alla fine di febbraio, ciò aggraverebbe notevolmente la drammatica crisi umanitaria in corso. Sono in gioco le vite di centinaia di migliaia di palestinesi, non solo a Gaza».
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