La situazione sanitaria in Palestina è drammatica: secondo l’Oms a un anno dall’intensificazione della guerra sono stati registrati più di 44mila casi di diarrea acuta e infezioni respiratorie gravi, un’epidemia di poliomielite, malattie della pelle e in conseguenza alle scarse condizioni igienico-sanitarie aleggia nell’aria un forte rischio di colera.

L’amianto

Ad aggiungersi all’elenco dei disastri sanitari c’è quello che viene chiamato il “killer silenzioso’’: l’amianto. Secondo le Nazioni Unite si stimano circa 800mila tonnellate di detriti post-bombardamenti contaminati con l’amianto. Nonostante in Israele l’amianto sia stato messo al bando dal 2011, gli edifici nei territori palestinesi non sono mai stati bonificati, e tutt’ora questo materiale viene “riciclato” nei campi profughi.

È credenza popolare che la crisi sanitaria sia un elemento consequenziale di qualsiasi guerra, ma secondo la dottrina Dahiya essa è un elemento centrale, andando così a scontrarsi con numerose violazioni del principio di neutralità medica. Nel 2006 l’esercito israeliano – in risposta agli attacchi di Hezbollah al confine con il Libano – iniziò un bombardamento massiccio dell’aeroporto internazionale di Beirut. Vennero registrati più di mille morti, di cui un terzo bambini. Il quartiere che tuttora ospita l’aeroporto internazionale è quello di Dahiya, quartier generale di Hezbollah e inconsapevole protagonista della nuova strategia militare di Tel Aviv.

La Dottrina Dahiya fu messa a punto per l’occasione dall’allora capo di stato maggiore delle forze armate israeliane Gadi Eizenkot. Questa strategia fu un evidente cambio di rotta di Israele nelle sue strategie militari. L’obiettivo era quello creare più danni possibili alle strutture civili per dissuadere ogni ulteriore attacco. Secondo Eizenkot era necessario mostrare cosa sarebbe successo in qualsiasi città o villaggio da cui potessero partire attacchi verso Israele. In un’intervista del 2008 al giornale israeliano Yediot Aharonot Eizenkot continuò: «Noi useremo una forza sproporzionata e causeremo grandi danni e distruzione. Dal nostro punto di vista questi non sono villaggi di civili, sono basi militari… Questa non è una raccomandazione. Questo è un piano. Ed è stato approvato».

Ogni attacco doveva essere metodico nella distruzione di infrastrutture civili ma non doveva dimostrare precisione, bensì un certo grado di follia.

La “medical warfare

Questa medical warfare, traducibile in “guerra sanitaria’’, si può descrivere come l’uso delle strutture e dei servizi sanitari come bersagli o strumenti di conflitto. Bisogna ricordare che questa tattica è severamente vietata dalla Convenzione di Ginevra ed è contraria al principio di proporzionalità dell’uso della forza. Un attacco verso le strutture civili può essere legalmente tollerato solo se il suddetto principio viene rispettato e se le precauzioni previste per difendere i civili vengono implementate correttamente, requisiti mai soddisfatti dall’esercito israeliano. Gli ospedali, gli operatori sanitari e i pazienti sono esplicitamente protetti dalla Convenzione di Ginevra anche in tempo di guerra, ogni attacco può essere inquadrato come crimine di guerra e perseguito dalla comunità internazionale.

Questa strategia punta a piegare la popolazione privandola dell’accesso alle cure mediche, alla creazione e strumentalizzazione delle carestie e alla distruzione del già precario sistema sanitario palestinese. Questo genere di approccio è stato palese durante l’assedio del complesso sanitario Al-Shifa. Già allo stremo dal 23 ottobre scorso, la struttura è stata non solo portata al collasso con la sistematica mancanza di energia elettrica e acqua potabile, ma anche bombardata in quanto secondo l’esercito israeliano veniva usata come base da Hamas. Al-Shifa, insieme ad altri ospedali gazawi, rappresenta il primo passo della strategia Dahiya: distruggere gli elementi essenziali dei civili per cercare di screditare Hamas agli occhi dei gazawi stessi. Un moderno dividi et impera.

A causa della distruzione della sanità non è possibile offrire servizi di cura della persona, che siano trattamenti salvavita o quelli di routine per malattie croniche. Anche le malattie e le condizioni di salute più ordinarie, se non trattate, possono diventare letali.

Uno degli obiettivi principali è portare la popolazione palestinese a un punto di rottura psicologico.

La dottrina Dahiya, combinata con la medical warfare, porta a un senso di vulnerabilità permanente che secondo la difesa israeliana porterebbe la popolazione a perdere fiducia nei propri leader e nei gruppi resistenti. Oltre a queste possibili conseguenze è utile concentrarsi sui dati per capire l’estensione di questa emergenza psicologica – infatti secondo uno studio pubblicato ad aprile 2024 dalla rivista Lancet ben il 55 per cento dei bambini gazawi soffriva di disturbi da stress post-traumatico ben prima della recente escalation del conflitto – che se sommato a un costante senso di insicurezza nella soddisfazione dei bisogni primari crea un circolo vizioso di instabilità sociale e psicologica.

L’uso della dottrina Dahiya unita alla guerra sanitaria non solo mina la capacità di resistenza della popolazione palestinese, ma crea ferite profonde e durature che colpiscono tanto il corpo quanto la mente per generazioni. Il futuro della salute pubblica è minacciato da una crisi senza precedenti.

© Riproduzione riservata