Migliaia di manifestanti si sono radunati lungo il confine con la Striscia di Gaza dandosi appuntamento alle 6:29 del mattino. Orario in cui lo scorso 7 ottobre i miliziani di Hamas hanno iniziato la loro mattanza nei kibbutz uccidendo 1200 israeliani.

A nove mesi di distanza, i manifestanti chiedono di arrivare a un cessate il fuoco per liberare i circa 116 ostaggi rimasti ancora prigionieri a Gaza e la fine della guerra. Chiedono le dimissioni del governo e nuove elezioni. Lo fanno da mesi, anche se le loro richieste rimangono inascoltate e il premier Benjamin Netanyahu continua dritto per la sua strada. E dopo aver compiuto la sua carneficina a Gaza, ora si rischia anche un allargamento del conflitto con Hezbollah in Libano nonostante gli Stati Uniti abbiano più volte cercato di far desistere il governo israeliano dal prendere una decisione simile.

Day of disruption

Nel 275esimo giorno dall’inizio del conflitto i manifestanti hanno convocato la giornata dei disordini e hanno ricevuto una risposta netta in tutto il paese. Ben oltre 150 aziende hanno annunciato pubblicamente che consentiranno ai loro dipendenti di partecipare alle manifestazioni nonostante la domenica in Israele sia un giorno lavorativo.

Come già accaduto nelle scorse settimane, le proteste finiscono spesso con momenti di tensioni e arresti per mano della polizia israeliana. Almeno cinque persone sono state arrestate a Tel Aviv per aver disturbato la quiete pubblica organizzando una manifestazione non autorizzata. Un manifestante ha ricevuto cure mediche dopo gli scontri con la polizia a Gerusalemme. Altri dodici sono stati multati per aver causato disordini pubblici utilizzando i loro veicoli per bloccare il traffico. Scontri tra dimostranti e polizia si sono verificati anche nel nord di Tel Aviv.

Centinaia di manifestanti si sono recati davanti le case dei ministri e parlamentari vicini a Netanyahu chiedendo le loro dimissioni. Nel mirino anche il ministro della Difesa, Yoav Gallant, e il presidente della Knesset, Amir Ohana, entrambi del Likud partito del premier.

«L’intera nazione vuole il loro ritorno, e la maggioranza assoluta sostiene un accordo sugli ostaggi», ha detto il presidente israeliano Isaac Herzog lanciando una frecciatina al premier. «Il nostro impegno a restituire gli ostaggi è assoluto e supremo», ha aggiunto.

Trattative

Mentre cresce la pressione sul governo, negli ultimi giorni sono ripresi i negoziati tra le parti per arrivare a un cessate il fuoco. Il capo della Cia, William Burns, quello del Mossad, David Barnea, e il vertice dei servizi segreti egiziani, Abbas Kamel, si incontreranno a Doha insieme al primo ministro Mohammed bin Abdulrahman bin Jassim Al Thani. Un incontro di peso che serve per sbloccare lo stallo su alcuni punti rimasti ancora in sospeso ma che sono essenziali per far partire ufficialmente la prima fase dell’accordo proposto dall’amministrazione americana.

In questa prima fase dalla durata di circa sei settimane è previsto il rilascio degli ostaggi israeliani in cambio della liberazione dei prigionieri palestinesi e un progressivo ritiro delle truppe israeliane dalla Striscia di Gaza. «Abbiamo lasciato la nostra risposta ai mediatori e stiamo aspettando la risposta dell’occupazione», ha dichiarato alla Reuters una delle fonti di Hamas.

Nei giorni scorsi Hamas aveva rinunciato a chiedere un cessate il fuoco permanente, cercando di raggiungere l’obiettivo nelle prime sei settimane dall’inizio dell’accordo. Concetto ribadito ieri anche all’agenzia France Press. «Hamas richiedeva l'accordo di Israele su un cessate il fuoco completo e permanente come condizione prima di negoziare», ha detto un funzionario dell’organizzazione. Questo punto è stato superato: i mediatori si sono impegnati sul fatto che finché le negoziazioni sono in corso, il cessate il fuoco rimane in vigore».

A circa 48 ore di distanza dal suo insediamento a Downing Street, il primo ministro britannico laburista Keir Starmer ha avuto un colloquio con Netanyahu. Durante la chiamata ha espresso la «necessità di un cessate il fuoco, della restituzione degli ostaggi e di un immediato aumento degli aiuti umanitari». Starmer ha anche detto che è «importante garantire le condizioni a lungo termine per una soluzione a due Stati, anche assicurando che l'Autorità Palestinese avesse i mezzi finanziari per operare in modo efficace».

© Riproduzione riservata