«Siamo qui perché non vogliamo la Russia, vogliamo l’Europa. Il popolo georgiano lotta per la democrazia, ma il governo ce la vuole togliere». Kamar Checladze, studentessa di 19 anni, è una delle migliaia di persone che domenica hanno partecipato alla marcia “La Georgia sceglie l’Europa”, ultima prova di forza dei partiti di opposizione e della vasta rete di organizzazioni non governative prima delle elezioni di sabato 26 ottobre.

I manifestanti che si oppongono al governo del partito Sogno georgiano, finanziato dal potente oligarca Bidzina Ivanishvili, sono partiti da sei punti diversi della città per convergere su piazza della Libertà, nel centro della capitale Tbilisi, marciando sotto centianaia di bandiere europee e georgiane, mentre le grandi casse issate sui furgoni diffondevano le note ispiranti dell’Inno alla gioia. «Stiamo marciando perché tra una settimana ci sarà una prova importante: dobbiamo vincere per entrare in Europa», dice Irakli Pachulia, 25 anni, un altro manifestante.

Quella di domenica è stata la più grande dimostrazione politica dalla scorsa primavera, quando centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza per protestare contro una nuova legge che obbliga le organizzazioni che ricevono fondi dall’estero a iscriversi presso uno speciale registro. La mossa, duramente criticata dall’opposizione e da gran parte della società civile, ha contribuito a un’escalation di tensione tra il governo georgiano, l’Unione europea e gli Stati Uniti. Al momento, il processo di accesso del paese all’Ue e alla Nato è stato bloccato e sembra difficile che possa riprendere nel breve periodo. Sempre che Sogno georgiano non venga sconfitto al voto di sabato.

«Le elezioni saranno un vero e proprio referendum in cui le persone sceglieranno di non tornare sotto la Russia», dice Elene Khoshtaria, leader della Coalizione per il cambiamento, una delle tre principali coalizioni dell’opposizione. «I nostri partner lo hanno messo in chiaro, e lo sappiamo noi stessi: questo governo è un vicolo cieco, con lui non entreremo mai in Europa».

Una sfida incerta

Khoshtaria e gli altri leader dell’opposizione hanno raggiunto piazza della Libertà con un piccolo corteo di alcune decine di persone. In migliaia invece si sono uniti al troncone principale organizzato dalle ong, partito da un altro punto della città. Un’immagine efficace dei rapporti di forze all’interno dell’alleanza che si oppone al governo e che vede i partiti in una posizione molto più debole del resto della società civile.
A confermarlo ci sono anche le ultime rilevazioni elettorali che mostrano un esito del voto quantomai aperto. «Le elezioni si giocano sul filo del rasoio», dice Dustin Gilbreath, sondaggista e docente all’università statale Ilia di Tbilisi. Districarsi tra la partigianeria dei sondaggi georgiani non è facile, ma secondo Gilbreath il partito di governo potrebbe ottenere intorno al 40 per cento dei voti, in teoria sufficienti a ottenere una maggioranza parlamentare.

L’opposizione, nel frattempo, è frammentata. La presidente della Repubblica, Salomé Zourabichvili, si è spesa in prima persona per riunire le forze contrare al governo, ma nonostante il suo impegno l’opposizione resta divisa in tre principali coalizioni, con diverse formazioni che rischiano di non superare la soglia di sbarramento fissata al 5 per cento.

In molti temono che se il margine sarà ristretto, il governo potrebbe ricorrere a brogli elettorali per ottenere la vittoria. «Sappiamo già che queste elezioni non sono libere», dice Khoshtaria, la leader della Coalizione per il cambiamento, «Sogno georgiano ha utilizzato risorse pubbliche per comprare voti e sopprimere quelli contrari, ma noi combatteremo per ogni singolo voto».

Un voto geopolitico?

Tanto il governo quanto l’opposizione dicono che il voto di sabato prossimo sarà una scelta geopolitica per il paese, un bivio tra Russia e occidente. L’opposizione, sostenuta dall’Unione europea e dagli Stati Uniti, sostiene che il governo intende portare la Georgia nell’orbita russa. Sogno georgiano respinge alle accuse e ricorda che sono stati loro a introdurre nella Costituzione georgiana l’obbligo di cercare l’ingresso nella Nato e nell’Unione europea.

«Non credo che il governo stia cercando di tagliare i ponti con l’Europa. Penso che vogliano giocare la parte dei neutrali, essere opportunisti tra Russia e occidente perché hanno capito che dopo l’invasione dell’Ucraina tutto è cambiato», dice Sopo Japaridze, attivista e animatrice del podcast Reimagining post-soviet Georgia.

Le relazioni tra Russia e Georgia sono complicate. I due paesi si sono scontrati diversi volte in passato. L’ultima nel 2008, quando l’esercito russo ha invaso la Georgia per sostenere i separatisti dell’Ossezia del sud e dell’Abkhazia, due regioni oggi di fatto indipendenti e sotto l’egida di Mosca. L’ostilità alla Russia è molto diffusa tra la popolazione georgiana e i sondaggi indicano che la stragrande maggioranza dei georgiani vuole entrare nell’Unione europea e nella Nato.
Ma allo stesso tempo, in molti ritengono pericoloso avere cattive relazioni con il potente vicino. Più del 10 per cento del pil georgiano dipende dalle relazioni economiche con la Russia che, a seconda degli indicatori presi in esame, risulta il secondo o terzo partner commerciale del paese.

Secondo molti, Sogno georgiano spera che mantenendo relazioni accettabili con Mosca, i territori perduti nelle guerre degli ultimi 30 anni potranno essere in qualche modo recuperati. Il Cremlino per ora li incoraggia. Proprio la scorsa settimana, il ministero degli Esteri Russo ha detto di essere pronto a facilitare il dialogo tra la Georgia e i separatisti abkasi e osseti.

Questioni democratiche

I timori di un un regresso democratico del paese sono diffusi almeno quanto la paura di un eccessivo avvicinamento alla Russia. Oltre alle accuse di manipolazione del voto, il governo è stato criticato per la sua dura risposta alle manifestazioni contro la legge sulle ong e più in generale per le minacce all’opposizione, in particolare nei confronti del Movimento nazionale unito, il partito fondato da Mikhail Saakashvili, presidente fino al 2013 e attualmente in prigione, che Sogno georgiano ha promesso di rendere illegale.

Bryan Gigantino, co-autore del podcast Reimaging post-soviet Georgia, ricorda però che i problemi del paese con la democrazia non sono una novità. «Se guardiamo alla letteratura accademica, la Georgia è sempre stata definita una democrazia ibrida. L’intero periodo di Saakashvili è stato segnato da violenza e brutalità persino peggiore di quella messa in atto da Sogno georgiano».

Mentre la campagna elettorale e le discussioni internazionali si concentrano su geopolitica e democrazia, la Georgia rimane un paese profondamente diviso. Tbilisi, una città moderna e alla moda, è circondata da aree rurali impoverite e conservatrici, dove a orientare il voto sono spesso mecccanismi clientelari nelle mani di potentati locali legati al governo e alle sue elargizioni economiche.

La povertà, che riguarda quasi metà dei georgiani, rimane un tema lontano dal dibattito politico, tanto in Georgia quanto in occidente.

© Riproduzione riservata