Il parallelo tra quanto sta accadendo in Georgia e la situazione in Ucraina è ormai chiaro a tutti. Così evidente che è perfino il primo ministro Irakli Kobakhidze a chiamarlo in causa: «In Georgia eventi come quelli di Piazza Maidan in Ucraina non avverranno mai», ha dichiarato in conferenza stampa, subito prima di lanciare l’ennesima accusa contro l’occidente: «Finanziamenti esteri sono stati coinvolti», denuncia il primo ministro, nella realizzazione delle manifestazioni. 

Proprio mentre Kobakhidze si rivolgeva ai media locali e internazionali, per la quinta notte di fila decine di migliaia di persone si riunivano in viale Rustaveli, davanti al Parlamento, al grido di «tavisupleba», libertà. Le maschere antigas al collo, le immancabili bandiere, gli impermeabili, i guanti, i passamontagna e i fuochi d’artificio nello zaino, pronti ancora una volta ad affrontare gli scontri con le forze speciali.

A poco è servita una dichiarazione diffusa domenica dal ministero degli Esteri, in cui si sottolinea che «il governo della Georgia è fermamente intenzionato a proseguire il processo irreversibile di integrazione europea sulla base dell'Accordo di associazione che garantirà una migliore preparazione per i rapidi negoziati di adesione all'Ue».

L’evoluzione degli scontri

Dopo le prime due notti di proteste, lunghe ma prevalentemente pacifiche, i manifestanti hanno cambiato tattica, iniziando a costruire barricate con ogni materiale disponibile e sparando fuochi d’artificio dentro al parlamento e ad altezza uomo verso i camion con gli idranti della polizia.

Per la prima volta, la notte tra sabato e domenica, la manifestazione ha tenuto. Gli scontri sono continuati fino al mattino successivo, ma la polizia non è riuscita a disperdere la folla, che si è riunita nel principale edificio dell’università per riorganizzarsi. Il centro di convergenza, obiettivo principale della rabbia popolare, era stato fino a quel momento il Parlamento. Ma a partire da domenica anche le forze speciali hanno cambiato strategia, posizionando i cannoni d’acqua direttamente dietro le colonne per rendere impossibile l’accesso alla scalinata. Non è bastato.

Le reazioni diplomatiche

Lo scontro prosegue nel frattempo anche su binari diplomatici e istituzionali. Alla fine della settimana, quasi tutte le università private del paese avevano annunciato la sospensione delle lezioni in segno di protesta, prendendo le parti dei loro studenti, molti dei quali sono in piazza ogni notte da quasi una settimana; mentre la ILIA, università pubblica della capitale, si è impegnata a offrire assistenza legale gratuita a chiunque venga arrestato durante le manifestazioni.

Anche alcuni ambasciatori della Georgia all’estero si sono dimessi in solidarietà con le proteste. Una decisione che ha coinvolto finora funzionari in Italia, Stati Uniti, Paesi Bassi e Bulgaria. È di sabato la comunicazione del portavoce del dipartimento di Stato americano che gli Stati Uniti sospenderanno l’accordo di partnership strategica con la Georgia.

La dichiarazione forse più eclatante e pregna di possibili sviluppi concreti viene però ancora una volta dalla presidente Salome Zourabichvili, che ha fatto sapere durante una conferenza stampa domenica sera di non avere intenzione di dimettersi come previsto il mese prossimo e lasciare l’ufficio al suo successore designato Mikheil Kavelashvili.

Non solo Tbilisi

La protesta si sta gradualmente espandendo a tutto il paese. Da Gori, a Batumi, a Zugdidi fino alla più piccola Zestaphoni. Altre città georgiane si stanno unendo alle manifestazioni nella capitale, mentre i residenti dei più piccoli villaggi confluiscono nella città più vicina.

A Batumi e Gori dispiegate nel fine settimana anche le forze speciali.

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