Il presidente americano sta perdendo consensi tra i cittadini di origine araba dopo che gli Stati Uniti hanno annunciato il loro sostegno «totale» alla guerra condotta da Israele nei confronti di Hamas. Una quesitone che preoccupa la Casa Bianca
Nel programma elettorale del 2020 Joe Biden aveva dedicato ben otto pagine di dettagli al nuovo rapporto che si sarebbe instaurato tra la nuova amministrazione e la comunità arabo-americana, ingiustamente discriminata da Donald Trump con espressioni islamofobiche e un divieto di viaggio verso gli Stati Uniti, ufficialmente per questioni legate al terrorismo, da ben sette paesi a maggioranza musulmana.
Il futuro presidente annunciava «un piano di partnership» che avrebbe portato a sconfiggere il razzismo sistemico e a integrare pienamente la comunità. Trascorsi oltre tre anni, quelle parole appaiono ormai lettera morta. Soprattutto dopo che Biden ha annunciato un sostegno «roccioso» alla guerra d’Israele contro Hamas prevedendo 14 miliardi di aiuti militari.
Da tempo è svanita la speranza che ci fosse un ritorno alle politiche equidistanti dell’epoca obamiana, spinte anche da un rapporto animoso con i vari governi a guida Netanyahu in Israele.
Così, come rileva un sondaggio svolto dall’Arab American Institute, il sostegno del 59 per cento della comunità che nel novembre 2020 ha spinto Biden verso la Casa Bianca, oggi si è ridotto a uno striminzito 17 per cento, paragonabile allo scarso seguito che Trump ha tra la comunità afroamericana.
Orizzonte 2024
Non sarebbe in teoria un grosso problema, dato che gli americani con ascendenze arabe sono circa 3 milioni e 700mila persone e buona parte di questi praticano qualche confessione cristiana.
Ma la questione è sentita perché molti di loro vivono in Michigan e Pennsylvania, due stati decisivi per le prossime presidenziali del 2024.
C’è di più, diversamente da ciò che si potrebbe credere, il 40 per cento di chi ha risposto al sondaggio intende votare per Trump, il quale paradossalmente si è sempre dimostrato lontano dalle problematiche della comunità, ma è sembrato più equidistante nei confronti d’Israele, almeno in queste settimane (durante il suo mandato presidenziale aveva approvato ogni singolo ampliamento delle colonie ebraiche in Cisgiordania presentando, a inizio 2020, un piano di pace che non prevedeva alcuno stato palestinese).
Il nodo della questione, per Biden, è che la Casa Bianca non è vista come sufficientemente impegnata nel cercare di ottenere un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza colpita dai pesantissimi bombardamenti e dalle incursioni dell’esercito israeliano.
Lo staff presidenziale
Il malcontento riguarda anche i membri dello staff presidenziale di origine palestinesi, prima tra tutti la vicedirettrice dell’ufficio per gli affari legislativi Reema Dodin, nominata nel novembre 2020 per ottemperare alla promessa di nominare «numerosi arabi» nell’amministrazione.
All’epoca la scelta era stata criticata dal giornale conservatore israeliano Jerusalem Post per alcune frasi di Dodin risalenti alla seconda Intifada. Nel 2002 aveva definito gli attacchi suicidi che scuotevano lo stato d’Israele come «l’ultima risorsa di chi è disperato». Ma quando la titolare dell’incarico, Louisa Terrell, si è dimessa lo scorso agosto, l’amministrazione Biden ha preferito l’afroamericana Shuwanza Goff.
Intanto la Casa Bianca è corsa ai ripari. Il capo di gabinetto Jeff Zients ha invitato i dipendenti dello staff presidenziale a mostrare rispetto e cordoglio anche per i musulmani scossi dagli attacchi a Gaza, in modo simile a quanto fatto verso gli ebrei dopo l’attacco di Hamas dello scorso 7 ottobre.
E mercoledì è stato annunciato il varo di un Piano nazionale per combattere l’islamofobia dopo che un bambino di sei anni di nome Wadea Al Fayoume, è stato accoltellato in un sobborgo di Chicago da un uomo di settantuno anni, proprietario della casa dove risiedeva insieme con i genitori.
Un crimine d’odio che, nonostante sia stato citato nel discorso del presidente dello scorso 20 ottobre dove chiedeva alla nazione di sostenere il varo di un pacchetto di aiuti militari da destinare anche a Israele, non ha scosso l’opinione pubblica.
La questione islamofobica si aggiunge alla crescita vertiginosa di episodi di antisemitismo, testimoniati dal direttore dell’Fbi, Christopher Wray, in un’audizione davanti alla commissione per la Sicurezza nazionale del Senato lo scorso 31 ottobre.
Due traiettorie odi che si intrecciano e che mettono a rischio anche la sicurezza dei cittadini appartenenti alle due comunità che, nel 2020, hanno sostenuto a grande maggioranza l’attuale presidente.
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