Quello al Crocus City Hall non è il primo sanguinoso attacco compiuto dal gruppo dall’inizio di quest’anno. Lo Stato islamico-provincia del Khorasan è una delle formazioni jihadiste più pericolose pure per l’occidente
La strage di Mosca, con almeno 137 morti confermate, costituisce uno dei più gravi attacchi jihadisti degli ultimi anni. Il cosiddetto Stato islamico ha rivendicato prontamente la paternità dell’azione, con un breve testo in arabo della sua “agenzia stampa” Amaq News, seguito da un altro comunicato, la pubblicazione di una fotografia dei quattro attentatori e infine la diffusione di un video cruento della sparatoria.
In questi materiali di rivendicazione ufficiale, l’attacco contro la Russia viene di fatto inscritto nella consueta missione generale di lotta contro i cristiani “infedeli”, senza richiami puntuali a vicende recenti come la guerra in Ucraina.
Nemesi storica
Vi sono pochi dubbi sul fatto che la Russia sia uno dei nemici storici dello Stato islamico e in generale della causa jihadista. Senza risalire sino a i tempi dell’Unione Sovietica e alla sua invasione dell’Afghanistan nel 1979 (che ha prodotto come conseguenza la nascita del jihadismo globale e la fondazione di al Qaida nel paese asiatico), si può ricordare che la Russia si è più volta scontrata contro formazioni jihadiste negli ultimi decenni; tra i principali campi di battaglia, vi sono la Cecenia, con le due brutali guerre del 1994-1996 e del 1999-2009, la Siria dopo l’intervento militare di Mosca a favore del presidente autoritario Bashar al Assad avviato nel 2015, e oggi diversi paesi dell’Africa subsahariana.
Non si può escludere che lo Stato islamico abbia deciso di organizzare un attacco di alto profilo in Russia proprio ora per approfittare della ribalta, anche mediatica, che le vicende russe hanno garantito negli ultimi mesi, specialmente dopo l’invasione dell’Ucraina.
Nelle ultime settimane vi erano stati segnalazioni del rischio di attacchi terroristici proprio in Russia. Il 7 marzo l’ambasciata degli Stati Uniti a Mosca aveva addirittura diffuso un comunicato che indicava il pericolo di un attacco imminente nella capitale contro assembramenti di persone, compresi proprio “concerti”.
Nello stesso giorno le autorità russe avevano dichiarato di aver sventato un attacco dello Stato islamico a Mosca, ufficialmente contro una sinagoga, neutralizzando i responsabili. Nei giorni successivi il presidente Putin aveva bollato l’avvertimento proveniente dagli Stati Uniti come propaganda occidentale.
Dopo l’attacco, Putin è rimasto in silenzio parecchie ore prima di commentare la strage jihadista nei pressi di Mosca. Anche in questo caso, ha deciso di utilizzare la questione del terrorismo per rilanciare temi di politica estera, sostenendo, senza fornire alcuna prova, che gli attentatori fossero connessi all’Ucraina e che stessero dirigendosi in auto proprio nel paese invaso il 24 febbraio 2022, prima di essere arrestati dalla polizia russa. L’ipotesi di un piano per rifugiarsi in Ucraina appare, naturalmente, a dir poco implausibile, considerando anche quanto oggi il confine tra Russia e Ucraina sia notoriamente presidiato e sorvegliato.
Altri attentati
A ben vedere, nelle sue rivendicazioni dell’attacco, lo Stato islamico non ha specificato quale delle sue diverse branche regionali abbia effettivamente portato a termine l’attacco. L’attenzione di molti si è comprensibilmente concentrata sul cosiddetto Stato islamico – provincia del Khorasan (anche detto Is-K). Fondata nel 2015, lo Stato islamico – provincia del Khorasan ha realizzato attacchi prevalentemente in Afghanistan e nel vicino Pakistan.
In Afghanistan, i talebani, storicamente legati ad al Qaida e rivali dello Stato islamico, hanno fatto fatica a contenere questa branca regionale. Da parte loro, le forze di sicurezza degli Stati Uniti e dei loro alleati, com’è noto, non sono più attive in Afghanistan dopo la precipitosa ritirata dell’agosto 2021 e non considerano i Talebani un partner con cui si possa cooperare.
Nondimeno, lo Stato islamico – provincia del Khorasan ha mostrato l’intenzione e la capacità di colpire anche al di fuori dell’area afghano-pakistana. Sebbene non sia stato rivendicato ufficialmente a suo nome, si suppone che sia stata questa organizzazione a eseguire il grave attacco suicida del 3 gennaio 2024 a Kerman, in Iran, durante un evento di commemorazione presso la tomba del Generale Qasem Soleimani, ucciso esattamente quattro anni prima da un drone americano in Iraq. L’attacco terroristico di Kerman, con oltre 90 morti, è stato il più grave nella storia del paese, dalla fondazione della Repubblica Islamica dell’Iran nel 1979.
Per inciso, vale la pena di notare che, analogamente alla Russia, anche l’Iran offrì una lettura strumentale dell’attacco jihadista in funzione della propria politica estera, incolpando Israele per la strage di Kerman, tanto più alla luce della guerra in corso nella Striscia di Gaza, prima di riconoscere la matrice jihadista dell’attacco. Rimanere da vedere se anche Putin, dopo le prime reazioni strumentali all’attacco di Mosca, lascerà cadere le narrazioni complottiste sviluppate in funzione anti-Ucraina.
In aggiunta, la provincia del Khorasan potrebbe essere responsabile anche dell’attacco alla chiesa di Santa Maria nei pressi di Istanbul, in Turchia, il 28 gennaio 2024. In quell’occasione, due uomini mascherati entrarono all’interno del luogo di culto cattolico, gestito da frati francescani provenienti dall’Italia, durante la messa domenicale e aprirono il fuoco sui fedeli, uccidendo una persona e ferendone un’altra.
L’attacco fu rivendicato dallo Stato islamico, ancora una volta senza specificare, come è prassi per l’organizzazione, quale branca regionale avesse compiuto l’attacco. Nel complesso, oggi l’Is-K si presenta come una delle articolazioni jihadiste più pericolose a livello globale, sebbene le sue attività terroristiche siano piuttosto discontinue.
Il fatto che le siano attribuiti importanti attacchi per conto dello Stato islamico nel complesso, anche in assenza di riferimenti puntuali nelle rivendicazioni ufficiali, finisce peraltro per aumentare la sua notorietà nel pubblico generale e presumibilmente può avere l’effetto di incrementare il suo prestigio e la sua influenza nelle cerchie jihadiste favorevoli allo Stato islamico.
Minaccia per l’occidente
In generale, dalla minaccia jihadista, che in questo principio di anno ha già colpito così duramente l’Iran e la Russia, non è esente nemmeno l’occidente. Dopo il 2015 il pericolo si è manifestato con attacchi, spesso di basso profilo, pianificati e portati a termine da singoli attentatori o, al più, da piccoli gruppi indipendenti, che si riconoscono nella causa estremistica e decidono di passare all’azione in autonomia, senza far parte delle grandi organizzazioni del jihadismo globale.
In questa dinamica prevalentemente “liquida”, anche lo Stato islamico e persino la sua provincia del Khorasan può giocare un ruolo, per quanto finora indiretto e marginale. Per esempio, solo pochi giorni fa, il 19 marzo, la polizia tedesca ha arrestato due cittadini afghani, sospettati di preparare un attacco vicino al parlamento svedese. Secondo gli inquirenti, almeno uno dei due uomini sarebbe stato incaricato proprio dall’Is-K di colpire la Svezia per vendetta contro la pratica del rogo di copie del Corano promossa da un attivista anti-islamico nel paese scandinavo (un comportamento disapprovato dal governo di Stoccolma, ma non illegale nel paese).
Senza voler essere allarmistici, è utile ricordare che in questo 2024, a dieci anni dalla proclamazione del “califfato” e cinque dal suo crollo in Siria e in Iraq, in Europa non mancheranno certamente le occasioni ad alto rischio, come i raduni di massa per le Olimpiadi di Parigi e per gli Europei di calcio in Germania, nonché i summit internazionali al massimo livello, come gli appuntamenti del G7 presieduti e ospitati proprio dall’Italia.
Appare quindi importante quindi che l’attenzione nei confronti della minaccia jihadista globale rimanga alta anche in Europa e in occidente, tanto più dopo questo grave attacco a Mosca e nel contesto teso della guerra in corso nella Striscia di Gaza.
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