- Ala Mamtimin è scappato dallo Xinjiang nel 200. Oggi è rappresentate europeo del governo dell’Est Turkestan in esilio.
- Mamtimin paga sulla sua pelle lo scotto del suo impegno politico. «Non riesco a contattare i miei famigliari da tempo, non so neanche se sono ancora vivi», dice.
- «Il controllo cinese di alcune industrie italiane che hanno ingenti investimenti in Cina è significativo per tenere in scacco il vostro parlamento. La questione uigura è lo specchio dei problemi relazionali che Roma ha con Pechino»
Dinigeer Yilamujiang ha 20 anni. È un’atleta di etnia uigura di scii di fondo e ha avuto l’onore di accendere la torcia olimpica all’inaugurazione dei Giochi olimpici di Pechino 2022. Un gesto simbolico, che per molti è stato interpretato come una risposta provocatoria alle accuse di genocidio a danno degli uiguri da parte dell’Occidente.
«Si tratta di un gesto di propaganda e di politicizzazione dello sport. La verità è che la Cina nasconde al mondo gli atleti uiguri rinchiusi nei suoi campi», dice Ala Mamtimin, rappresentante europeo del governo dell’Est Turkestan in esilio. Anche lui è un uiguro. Come la giovane Yilamujiang è parte della minoranza turcofona presente nello Xinjiang (o Turkestan orientale), regione autonoma a nord-ovest del Cina, da dove è scappato quando era ancora un giovane ragazzo 22 anni fa. «La mia vita era in pericolo, non potevo fare attività politica nel mio paese», dice.
Ha lasciato la Cina trovando rifugio prima in Australia e poi in Belgio. Qui ha ottenuto un dottorato in filosofia in un’università cattolica, e adesso è rappresentante di stanza a Bruxelles dell’esecutivo del governo dell’Est Turkestan in esilio.
Si tratta di un esecutivo che ha base operativa a Washington ma non ha ancora ottenuto il riconoscimento da parte di nessuno stato. Il suo obiettivo, però, è quasi utopico: «Ripristinare la libertà e l’indipendenza del Turkestan Orientale e della sua gente». Mamtimin paga sulla sua pelle lo scotto del suo impegno politico. «Non riesco a contattare i miei famigliari da tempo, non so neanche se sono ancora vivi», dice.
Gli uiguri nello Xinjiang vivono da decenni in uno stato repressivo creato ad hoc dalle autorità cinesi. Sorveglianza digitale, lavori forzati, detenzioni arbitrarie, controllo delle nascite e imposizione di dettami culturali, sono solo alcuni dei abusi che parte di loro subisce nell’imprevedibile vita quotidiana.
Sono violazioni dei diritti umani mascherate dalla lotta alla radicalizzazione ma che hanno l’obiettivo di strozzare ogni istanza separatista della regione. D’altro canto gli uiguri, a maggioranza musulmana, non hanno mai accettato il dominio della Cina, percepita come colonizzatrice. Pechino lo sa bene e non ha intenzione di cedere il potere politico ed economico dell’area.
Il governo in esilio
Secondo Ala Mamtimin, il suo governo rappresenterebbe circa 5 milioni di persone. È il peso della diaspora residente all’estero, di cui una gran parte ha trovato rifugio dal presidente Erdogan in Turchia, mentre altri sono scappati verso stati più vicini come il Kazakistan.
Chi si trova all’estero, comunque, non vive in tranquillità. Ala, come tanti altri suoi colleghi, è convinto di essere sorvegliato dai servizi segreti di Pechino, anche se non ha mai ricevuto minacce esplicite.
A Bruxelles si occupa di diverse attività: «Il nostro governo lavora su più livelli, dalla cooperazione con team di avvocati per portare prove contro la repressione cinese a danno degli uiguri, ad attività di lobbying nelle istituzioni europee, fino al sostegno per le richieste di asilo politico». Tra le priorità del governo c’è anche quella di assicurare la sopravvivenza della tradizione e della cultura uigura. «Educhiamo intere generazioni residenti all’estero alla nostra lingua, tradizione e cultura».
Mamtimin, lavora anche a stretto contatto con il team di avvocati guidati dal britannico Rodney Dixon. Stanno raccogliendo delle prove per portare la Cina davanti alla Corte Penale internazionale con l’accusa pesante di genocidio. Anche questa una sfida complicata dato che la Cina non ha ratificato il trattato di Roma con il quale è stato istituito l’organo giurisdizionale internazionale e quindi ci sono vari limiti per perseguire alcuni reati.
Il governo in esilio di cui fa parte Mamtimin è finanziato in gran parte dai donatori privati. «Non riceviamo soldi da nessun governo né da quello americano né dalle istituzioni europee», spiega. «L’organizzazione americana National Endowement for democracy ci da una mano a livello economico», si tratta di una Ong americana che promuove i principi democratici all’estero. Ma i soldi sono pochi e non bastano a finanziare l’intera attività politica.
I limiti dell’esecutivo
Il governo dell’Est Turkestan in esilio nasce nel 2004 e ha un parlamento che viene eletto democraticamente ogni quattro anni. Tra i ruoli più importanti ci sono quelli ricoperti dal presidente e dal primo ministro.
«Cerchiamo di garantire una rappresentanza in tutto il mondo» spiega Mamtimin fresco di carica ottenuta nell’ottobre del 2021. Non è semplice rappresentare una popolazione che non ha uno stato fisico e che si trova sparpagliata in diverse nazioni in giro per il mondo. «Il nostro governo lavora in un sistema politico internazionale molto complesso per quello non è perfetto, ma le aspirazioni sono le più democratiche possibili», dice ammettendo gli evidenti limiti rappresentativi.
«Non abbiamo ricevuto alcun riconoscimento da nessuno stato. Riconoscere il nostro governo sarebbe una grande ritorsione contro la Cina e causerebbe una crisi diplomatica senza precedenti. Gli stati sono molto cauti verso la nostra agenda», dice Mamtimin.
Il riconoscimento del genocidio
A oggi i parlamenti di Canada, Paesi Bassi, Repubblica Ceca e Regno Unito hanno approvato un testo in cui accusano la Cina di commettere un genocidio contro la popolazione uigura. L’Assemblea belga ha invece adottato una mozione in cui condanna la repressione e indica «un serio rischio di genocidio». Il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione di condanna contro la Cina, mentre nel Regno Unito è nato anche un tribunale indipendente che ha accusato Xi Jinping e alti funzionari dello stato di genocidio.
Gli Stati Uniti e, ancora una volta, il Regno Unito hanno imposto sanzioni commerciali e limitato l’importazione dei prodotti di aziende che producono merci nello Xinjiang, accusati di essere il frutto dello sfruttamento e dei lavori forzati a cui sono sottoposti gli uiguri. Ma il gesto più significativo è stato quello dell’ex Segretario di stato degli Stati Uniti, Mike Pompeo, quando verso la fine della presidenza Trump accusò pubblicamente la Cina di commettere un genocidio.
A oggi, invece,secondo Mamtimin l’atteggiamento di Joe Biden è diverso. «Ha ammorbidito il suo linguaggio nei confronti della Cina, che non è più vista come una minaccia ma come un competitor».
Anche le Olimpiadi invernali di Pechino 2022 sono diventate un caso diplomatico dopo che Stati Uniti, Australia, Gran Bretagna e Nuova Zelanda hanno deciso di non inviare rappresentanti ufficiali all’evento.
Per quanto riguarda il parlamento italiano, invece, la commissione Esteri della camera ha approvato una risoluzione di condanna riguardo la persecuzione degli uiguri ma nel testo finale non compare il termine «genocidio», considerato improprio dai deputati di M5s, Pd e Italia viva. Una decisione politica che ha suscitato le critiche del centrodestra e di diverse associazioni a difesa dei diritti umani.
«Il controllo cinese di alcune industrie italiane che hanno ingenti investimenti in Cina è significativo nel tenere in scacco il vostro parlamento. La questione uigura è lo specchio dei problemi relazionali che Roma ha con Pechino», attacca Mamtimin che ha anche un messaggio per l’Europa. «Il genocidio in corso contro di noi chiama in causa i valori e l’identità europea. Se l’Unione chiude un occhio nei confronti di crimini di questo tipo, potrebbe accadere che lo faccia anche in altre occasioni in futuro. Chi vi assicura che non siate voi le prossime vittime della Cina? E non parlo a livello militare, ma economico e di influenza politica».
© Riproduzione riservata