Frontiera strategica, per infinite ragioni militari, geopolitiche e commerciali. Piena di terre rare e minerali. Non è l’Ucraina: è la Groenlandia. E la vogliono tutti: americani, russi e pure i cinesi. Le bordate di Trump sull’isola che vuole «prendere, in un modo o nell’altro» non sono nuove: ha provato a comprarsela anche durante il suo primo mandato. La reclama perché fondamentale per la sicurezza economica Usa, ma gli americani si sono accorti da tempo che quella lassù è l’ultima, vera isola del tesoro.

Ancora prima che ci arrivasse in visita a sorpresa il figlio del presidente Trump, in Groenlandia il presidente Biden aveva spedito Jose Fernandez, sottosegretario del dipartimento di Stato per l’energia e ambiente. L’amministrazione democratica Usa del grande nord parlava poco, ma il Pentagono già nel luglio 2024 aveva aggiornato la sua dottrina strategica per l’Artico a causa della crescente cooperazione commerciale e militare tra Russia e Cina, diventata «importante finanziatore dello sfruttamento energetico russo». Lo annunciò Kathleen Hicks, vicesegretario della Difesa, allarmato dagli investimenti del Dragone nelle infrastrutture russe.

Le esercitazioni cinesi

Pechino nello stesso anno ha mandato per la prima volta tre rompighiaccio lungo la rotta nordica e compiuto esercitazioni navali su larga scala congiunte coi russi: le Ocean24 (400 navi da guerra, sottomarini, 90mila soldati). La Cina non tiene segreta la sua ambizione polare almeno dal 2018, l’anno in cui si è ufficialmente definita “Stato quasi artico”, anche se da quel ghiaccio è lontana migliaia di chilometri.

Ammessa nel 2013 tra gli osservatori permanenti del Consiglio artico (fondato nel 1996), la Cina sogna senza temere siderali distanze una Via della Seta bianco-ghiaccio, rotte commerciali create dal riscaldamento climatico che avanza e peggiora di anno in anno. È stata invece Washington – ha ammesso l’amministratore del più grande giacimento di terre rare della Groenlandia – a fare pressione affinché i suoi minerali non finissero tra i tentacoli delle società cinesi pronte a finanziare le costose estrazioni.

I funzionari Usa sono andati due volte da Greg Barnes, alla guida della Tanbreez Mining (in crisi di liquidità), per finalizzare un accordo con la Critical Metals in chiave anti Pechino. Howard Lutnick, che Trump ha nominato alla guida del dipartimento del Commercio, ha gestito per più di 30 anni la Cantor Fitzgerald, che detiene una quota della Critical metals. «Non si tratta solo della Groenlandia, si tratta dell’Artico. C’è la Russia che sta cercando di diventare un re … si tratta di petrolio e gas. Della nostra sicurezza nazionale. Di minerali essenziali», ha detto il consigliere per la sicurezza Usa Mike Waltz solo qualche settimana fa. Si nasconderebbe nella regione il 22 per cento delle riserve mondiali di gas e petrolio ancora non scoperte. In vista di un patto per Kiev, Mosca al momento fa finta di sentirci poco da un orecchio quando Trump reclama i ghiacciai groenlandesi, ma il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha ogni volta prontamente risposto che Mosca considera la Groenlandia sfera di interesse nazionale e strategico, «è interessata alla pace e stabilità del territorio». O si può scendere a patti anche lassù?

Durante l’incontro avvenuto a Riad, delegazioni russe e Usa non hanno parlato solo dell’accordo per un potenziale negoziato ucraino, ma – come ha assicurato Kirill Dimitriev, a capo del Fondo di investimenti russo – anche di cooperazione commerciale, di operazioni esplorative nei mari gelati, come quella che c’era (prima che partissero le sanzioni antirusse nel 2018) tra il gigante russo Rosneft e quello americano Exxon Mobil.

Ossessioni americane

L’ossessione statunitense per la Greenland comunque non è del repubblicano e non è recente. Non è cominciata con Trump e nemmeno con Biden, che già si era accorto che diventerà la più redditizia miniera energetica del futuro. Già nel 1868, abbagliata da inestimabili e inesauribili risorse (quelle dell’epoca, dal carbone al salmone), l’America provò a prendersi la Groenlandia: in quell’anno riuscì solo a comprare per una manciata di milioni l’Alaska dalla Russia zarista.

Washington poi ha provato a prenderla nel 1910 e ancora nel 1946, offrendo 100 milioni di dollari alla Danimarca. Il ministro degli Esteri dell’epoca, Gustav Rasmnussen, rispose: «Dobbiamo tanto all’America, ma non penso che gli dobbiamo l’intera isola della Groenlandia». In seguito si stipulò un trattato di cooperazione militare per l’uso della portaerei naturale più grande al mondo: durante la Guerra fredda, i bombardieri Usa puntavano su Mosca e Leningrado dalla base di Thule. Che è oggi diventata Pituffik Space Base: invece dalla base aerea russa di Nagurskoye, Siberia, i bombardieri strategici nucleari russi troverebbero la via più breve per colpire gli Usa attraverso i cieli della Groenlandia. La sintonia ostentata oggi tra le due superpotenze sui cieli ucraini non è la stessa che aleggia a latitudine artica. La Groenlandia potrebbe rimanere schiacciata nella lotta per la supremazia polare tra Trump e Putin, rivali alleati, o nell’abbraccio dei tre grandi imperi che hanno tutti scoperto l’inestimabile tesoro degli ultimi ghiacci.

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