Smetto quando voglio; ne faccio un uso moderato; non sono dipendente; la prendo solo il weekend… Quante volte abbiamo sentito queste affermazioni sulla bocca di chi assume cocaina o pillole varie. Ora le sentiamo nei discorsi dei responsabili politici di fronte alla guerra. Siamo ormai drogati di guerra: come un allucinogeno non se ne può fare a meno ma non si vuole ammettere. Le scuse si moltiplicano ma la realtà è che non si riesce a smettere. Sentiamo ossimori del tipo: escalation controllata, invasione difensiva, guerra non generalizzata, armi solo difensive; armi per bilanciare armi... L’esempio più clamoroso è “atomiche tattiche”, quasi si trattasse di ordigni solo un po’ più potenti.

Tutto sembra andare nel verso della guerra eternizzata ma resta molta riluttanza ad ammetterlo. È innanzi tutto il discorso di chi vive in mezzo alla guerra. L’Iran parla di ritorsione senza escalation e fa la vittima dopo aver propagato terrorismo. Israele non pone limiti alla rappresaglia nemmeno se si tratta di civili: anzi sostiene che sarebbe “morale” anche affamarli. Per Hamas è giusto sacrificare il proprio popolo, e non sa più dire nemmeno in cambio di cosa. I russi si scandalizzano e fanno i sorpresi perché vengono attaccati sulla propria terra: la chiamano aggressione ma quella del 24 febbraio era forse diversa? Gli ucraini hanno stragiurato agli occidentali che non avrebbero mai attaccato la Russia e che volevano soltanto liberare il proprio territorio ma ora parlano di “offensiva difensiva”.

Al di là dei giudizi che si possono avere sui diversi attori dei conflitti, chi sta in guerra – ingiustamente o no, aggredito o aggressore, addirittura entrambe le cose – ha almeno l’attenuante di essere dentro una logica bellica reale, che tutto inquina e che costringe a ragionamenti o a reazioni semplificate. Molti di costoro si possono – parzialmente – paragonare a quei bambini che nascono da madri tossicodipendenti e lo divengono senza colpa. Sono nati dentro il conflitto, talvolta da generazioni come palestinesi e israeliani, e non conoscono altra realtà né altro linguaggio se non quello della guerra: azione/reazione, attacco e rappresaglia, mors tua vita mea.

Ma lo spettacolo scandalosamente più grave dei drogati di guerra lo offrono gli europei, diventando anche peggiori – almeno stavolta – degli americani che tanto sono stati criticati per l’abitudine al conflitto. La Commissione Europea (tra l’altro uscente) ha dato il beneplacito all’offensiva ucraina in Russia senza nemmeno formali convocazioni e senza attendere: si possono usare le armi europee nell’offensiva in Russia mentre il parlamento europeo aveva più volte votato il contrario. Coi si è precipitati a dare il proprio assenso e ad approvare il solo linguaggio delle armi.

Tale rapidità irriflessa stupisce dolorosamente: il conflitto pare divenuto una droga a cui la Ue pare essersi assuefatta e non riuscire a liberarsi, perdendo la propria vocazione originaria e quindi la propria utilità. Smentendo i luoghi comuni, oggi l’Europa fa peggio degli Usa che almeno ci hanno pensato un po’ prima di dire la loro sull’attacco alla regione di Kursk, e che sono comunque sempre in contatto con i russi (gli europei invece non fanno nulla a tale riguardo).

I più “drogati di guerra” sono ovviamente coloro che spargono il terrore della Russia, tanto da rischiare la profezia che si autoavvera: invocare cioè la guerra grande per poi alla fine ottenerla. Tra gli assuefatti agli stupefacenti bellici ci sono anche quegli europei che in Medio Oriente si rassegnano alla logica della ritorsione infinita (non importa da che parte). È corretto aggiungere che, almeno sulla guerra in Ucraina, in Italia sorgono dubbi bipartisan, come testimoniano Guido Crosetto o Graziano Del Rio, distinguendosi dall’unanimità degli altri stati membri, anche se il nostro paese non incide quanto potrebbe e forse vorrebbe.

L’origine

Questa droga di guerra è micidiale: nasce dalla convinzione che non ci sia altro mezzo (è così che si comincia a drogarsi: per darsi un aiutino… in molti sensi); continua perché “lo fanno gli altri” cioè per conformismo; si eternizza perché “tanto non ci sarà escalation, non perderemo il controllo”. Insomma: smetto quando voglio. Non è così.

La guerra non è un gioco, nemmeno quell’atroce gioco con la propria vita rappresentato dalla droga vera. La guerra coinvolge molti altri: compromette popoli e futuro; colpisce gli innocenti (come quando guidi drogato e uccidi); distrugge le possibilità di vita (e della natura); annulla la cultura della convivenza. Se ne pagano le conseguenze per moltissimo tempo, nello spirito dei popoli prima ancora che materialmente. Popoli che hanno vissuto la guerra ne emergono sfigurati, irriconoscibili.

Chi ha conosciuto i sierraleonesi o i cambogiani prima delle loro terribili guerre racconta di popoli miti, tolleranti, indulgenti, gentili. La guerra ha seminato tra di loro aggressività, violenza, faziosità, alterandoli in profondità. Succede a tutti ogni volta che si combatte, sia per chi è dalla parte della ragione che per l’aggressore: in questo l’ingranaggio malefico della guerra non fa differenze…

Siamo drogati di guerra: per questo non ragioniamo più e dobbiamo urgentemente disintossicarci. La prova più tangibile è che non ce ne accorgiamo: come quando si è drogati davvero, si vive di negazione, rimozione o perenni giustificazioni. Prova ne sia che non sappiamo immaginare né la fine di queste guerre né la loro soluzione ma soltanto ci siamo assuefatti ad una guerra infinita: è questa la droga. Per reagire serve un salto di immaginazione che cambi i comportamenti e le decisioni.

Riguarda tutti, in primis i popoli in guerra: ci vuole un’idea alternativa perché non c’è avvenire nella guerra costante. Ma è un compito soprattutto dell’Europa, che ha iniziato il suo processo di integrazione e unione precisamente per superare l’odio delle due guerre mondiali. Altrimenti cosa esiste a fare? Solo a divenire una specie di Nato-bis?

Difendere gli ucraini è una cosa. Smettere di ragionare perché drogati di guerra come unica prospettiva possibile, è tutt’altra cosa. Proteggere il diritto di Israele a esistere in sicurezza è una cosa. Accettare la vendetta perenne e la cancellazione dei palestinesi, tutt’altra. Proviamo ad uscire dall’inganno allucinogeno e ad immaginare la pace.

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