L’impressione che Israele stia eccedendo rispetto alle direttive americane è un effetto ottico. La Casa Bianca insiste sugli aiuti umanitari, ma l’operazione a Gaza è in linea con gli accordi
Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, sta facendo davvero operazioni diverse da quelle concordate con la Casa Bianca? Oppure quello a cui stiamo assistendo a Gaza è precisamente il piano concordato e supervisionato da James Glynn, un generale americano a tre stelle imposto al gabinetto di guerra dell'alleato? Molti commentatori sono giunti, forse un po' frettolosamente, alla conclusione che il premier Bibi stia facendo di testa sua, contro o oltre il volere della Casa Bianca.
Non è così e fin dall’inizio il presidente Biden, nella sua visita in Israele, ha messo dei paletti chiari alle azioni militari dell’alleato per colpire Hamas evitando però che la guerra diventi un conflitto regionale coinvolgendo l’Iran e i suoi alleati. La questione della autonomia di Netanyahu è derimente per capire cosa sta accadendo e soprattutto cosa accadrà in futuro nella Striscia dopo la sconfitta di Hamas e se il conflitto resterà circoscritto.
«Gli Stati Uniti stanno esercitando pressioni su Israele – scrive Morgan Chalfant del sito americano Semafor – affinché eviti di danneggiare i civili mentre si espandono le operazioni di terra a Gaza in quella che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha descritto come una seconda fase della guerra». In effetti durante la sua nona conversazione con Netanayhu dall’attacco di Hamas del 7 ottobre, domenica il presidente Biden «ha sottolineato la necessità di farlo in modo coerente con il diritto umanitario internazionale», secondo una nota della Casa Bianca. Il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan ha dichiarato a Cbs News che la Casa Bianca sta facendo pressioni a Israele su questioni come gli aiuti umanitari e la protezione dei civili innocenti.
Lo spettro di Carter
Certo tutti vogliono dare consigli a Israele stando però comodamente seduti nella loro poltrona del salotto di casa, ma per la Casa Bianca non sono consigli disinteressati perché Biden vuole evitare di fare la fine del presidente democratico Jimmy Carter, che nel 1979 di fronte alla rivoluzione khomeinista in Iran e alla presa degli ostaggi americani dell’ambasciata di Washington a Teheran perse le elezioni per il secondo mandato a favore di Donald Reagan.
Certo sempre nello stesso anno i sovietici attaccarono l’Afghanistan e gli elettori americani non ritennero Carter sufficientemente esperto per affrontare contemporaneamente due sfide di quelle dimensioni.
Anche oggi, però, Biden, molto più esperto in politica estera di Carter (è stato per anni presidente della Commissione affari esteri del Senato), è cosciente che ha di fronte due crisi di pari importanza sferrate contro le democrazie liberali da stati autoritari: quella ucraina in Europa e quella di Gaza in Medio Oriente. Senza contare che Biden vorrebbe concentrarsi sulla Cina e le sue mire espansionistiche su Taiwan e quindi non vede l’ora di risolvere le prime due per evitare di doverne affrontare tre in contemporanea, l’incubo dei generali del Pentagono.
Sullivan cauto
Per questo il consigliere per la Sicurezza, Sullivan, ha detto che gli Stati Uniti stanno ancora sostenendo l’opportunità di “pause umanitarie” per liberare gli ostaggi detenuti se Hamas decidesse di rilasciarli, magari con la mediazione del Qatar, e per portare aiuti a Gaza. Un esempio di come la Casa Bianca stia gestendo in prima persona la situazione lo si è visto quando Israele ha interrotto le comunicazioni Internet a Gaza, decisione poi ritirata sotto la pressione degli Stati Uniti. «Gli operatori umanitari, i civili e i giornalisti devono essere in grado di comunicare tra loro e con il resto del mondo», ha scritto la Casa Bianca su X. Israele ha anche accettato di intensificare le ispezioni in modo che 100 camion umanitari possano entrare nella Striscia di Gaza ogni giorno, secondo il Washington Post.
Un segnale di apertura verso le drammatiche necessità dei 2,3 milioni di abitanti la striscia, dove secondo il Financial Times l’Idf, l’esercito israeliano, starebbe colpendo a Gaza City un’area più densamente popolata di Manhattan. Forse dietro a questa strategia militare cauta c’è la visione del generale americano Glynn, che ha guidato le forze speciali dei marines in Iraq a Fallujah e durante la campagna contro l’Isis a Mosul, ed è uno degli ufficiali con grande esperienza in combattimenti urbani che sono stati inviati in Israele per dare consigli.
Che la posizione di Biden sia complicata lo rivela The Arab American, un quotidiano locale del Michigan, dove c’è una forte comunità araba americana che ha titolato: «Biden ha perso i nostri voti» a differenza di quanto fatto nel 2020. Se il partito democratico è schierato in modo compatto con Biden a sostegno di Israele, i giovani del partito sono meno convinti. Un recente sondaggio su 3.000 elettori in Michigan, Pennsylvania e Wisconsin – condotto a fine settembre dalla società di sondaggi democratica Gqrr – mostra, secondo Axios, che Biden dovrà affrontare un ambiente politico più aspro rispetto al 2020. Ricordiamo che Biden ha vinto il Michigan di 3 punti e ha vinto Pennsylvania e Wisconsin di solo 1 punto ciascuno nelle ultime elezioni contro Trump. Ecco perché Biden punta su uno scenario in cui Israele elimina Hamas senza scatenare una guerra più ampia e l’Ucraina respinge la Russia. Ed ecco perché Netanyahu come pure Zelensky sono costretti a seguire le operazioni così come sono state concordate con la Casa Bianca.
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