Se a fine febbraio la capitale ucraina fosse caduta in mani russe, probabilmente la guerra sarebbe finita in pochi giorni con una vittoria di Mosca e l’insediamento di un governo fantoccio. I volontari civili hanno combattuto e smascherato i sabotatori, dalle trincee temono che i russi torneranno all’attacco ma sono determinati a resistere.
- I volontari della difesa territoriale hanno avuto un ruolo importante nella prima fase dell’invasione per impedire la caduta della capitale
- I sabotatori russi sono stati smascherati con varie tattiche e i sicari mandati a uccidere Zelensky neutralizzati grazie all’intelligence ucraina
- Gli ucraini temono che i russi torneranno ma sono pronti a respingerli una seconda volta, anche grazie alle armi occidentali.
Se a fine febbraio la capitale ucraina fosse caduta in mani russe, probabilmente la guerra sarebbe finita in pochi giorni con una vittoria di Mosca e l’insediamento di un governo fantoccio, guidato da un oligarca filorusso come Viktor Medvedchuk, arrestato dalle forze di sicurezza ucraine mentre fuggiva dai domiciliari.
Gli eventi di quelle ore saranno studiati nella storia militare come un vero miracolo, inaspettato tanto per gli invasori quanto per gli ucraini. Kiev è una città di circa tre milioni di abitanti sulle sponde del fiume Dnipro e nei piani originali del Cremlino costituiva un obiettivo strategico primario.
A marzo, secondo il sindaco Vitali Klitschko, quasi due milioni dei residenti sono fuggiti verso ovest, mentre il comune accumulava scorte di cibo per almeno due settimane di assedio. La capitale non subiva un simile attacco da quello nazista del 1941, che portò all’occupazione tedesca e allo sterminio di decine di migliaia di ebrei.
All’epoca le SS fucilarono oltre trentatremila persone nella gola di Babi Yar, allo stesso modo in cui gli occupanti russi quest’anno hanno massacrato almeno un migliaio di residenti a Bucha, Irpin e Borodianka, alla periferia nord di Kiev.
Lo stato maggiore russo aveva pianificato una rapida occupazione della capitale, sfruttando l’effetto sorpresa con paracadutisti d’assalto sugli aeroporti Antonov di Hostomel e Vasylkiv a sud ovest, oltre a forze speciali Spetsnaz infiltrate in città per aprire la strada alle colonne meccanizzate. Ma la difesa di Kiev ha dimostrato che i piani, per quanto accurati, non vanno sempre come previsto.
I volontari della difesa territoriale
Protagonisti di quei giorni sono stati anche i volontari nella difesa territoriale della 112a brigata, responsabile per un settore di Kiev dove il 131° battaglione è impegnato da febbraio. Li incontro nelle trincee che hanno scavato lungo la superstrada, vicino a una stazione di benzina bombardata dai russi.
Mi hanno mostrato le brande ricoperte di neve nel rigido febbraio ucraino e la prima tenda che hanno costruito per poter accendere un fuoco, nel timore che i droni russi li avvistassero. La maggior parte sono civili, ma circa il 30 per cento è veterano del Donbass.
Il tenente Maxim Nefodov, comandante della compagnia, prima dell’invasione lavorava come addetto stampa nel parlamento, mentre tra le reclute ci sono un avvocato per i diritti umani, un grafico di Kiev, un giovane agente immobiliare e un informatico di Leopoli.
Quando un soldato originario della città di Toreck, nella regione occupata di Donetsk, esordisce in russo, il comandante lo interrompe scherzando: «Parla in ucraino», suscitando una risata generale. Nel 2014, quando era ancora adolescente, la sua famiglia è fuggita dai separatisti a Kiev. Prima di indossare l’uniforme studiava giurisprudenza e vuole diventare avvocato. Nessuno di loro è stato mobilitato con la forza, sono tutti volontari della difesa territoriale. I russi, dicono, non si aspettavano una tale determinazione degli ucraini nel difendere la propria terra, ecco perché l’attacco su Kiev è fallito.
La mattina del 24 febbraio uno stormo di elicotteri è calato sull’aeroporto di Hostomel e ha sbarcato paracadutisti d’assalto per creare una testa di ponte in grado di permettere l’arrivo di numerosi aerei da trasporto truppe. Un plotone della 112a brigata di difesa territoriale che ho incontrato ha ricevuto l’ordine di andare all’aeroporto a rinforzo della 72° brigata meccanizzata “Zaporoghi Neri” (in onore dei cosacchi), che insieme ad altre unità d’élite ha respinto il blitz.
I volontari della territoriale hanno combattuto per tutta la notte ed evacuato i feriti ucraini. Il giorno dopo, un secondo assalto russo ha ripreso il controllo della pista che però era talmente danneggiata e sotto il tiro dei missili spalleggiabili da essere inutilizzabile per uno sbarco. Il tentativo del 26 febbraio all’aeroporto militare di Vasylkiv è stato ancora più disastroso, con l’abbattimento di aerei russi carichi di truppe destinate ad accerchiare la capitale. Quel giorno, una deputata ucraina dichiarò che Spetsnaz russi avessero catturato soldati a Hostomel e indossato le loro uniformi, perciò chiese a combattenti e civili di parlare solo in ucraino per smascherare eventuali infiltrati.
I sabotatori in città
Tale categoria è diventata la principale minaccia per Kiev nella prima settimana di guerra. Infatti, già dalla mattina del 25 febbraio cominciarono a penetrare cellule russe travestite, in quelli che in gergo sovietico qui sono ancora definiti Gruppi di sabotaggio e ricognizione (Drg). La 112° brigata della difesa territoriale mi ha riferito di aver fermato ai posti di blocco circa 30 persone sospettate di essere sabotatori russi, alcuni incaricati di marcare le coordinate gps per correggere il tiro dei bombardamenti, e li ha consegnati ai servizi di sicurezza Sbu.
Tra il 25 e il 27 febbraio vari commando russi a bordo di furgoni anonimi e persino di un’ambulanza sono stati intercettati dagli ucraini, che hanno arrestato gli infiltrati nei sobborghi orientali di Darnytskyi e Troieschyna, ma anche in quelli nord-occidentali di Shevchenko e Obolon.
Inutile dire che indossare uniformi del nemico e guidare ambulanze per passare inosservati sono violazioni del diritto di guerra, benché la lista dei crimini russi comprenda ormai fatti ben più gravi. Video girati con i cellulari dai residenti del quartiere nord di Obolon testimoniano la morte di tre sabotatori a bordo di un furgone antiaereo, mentre un carro lanciamissili passa con i cingoli sopra un’auto, lasciando il conducente miracolosamente incolume tra le lamiere. Il consigliere del ministro dell’Interno Viktor Andrusiv ha poi dichiarato che sessanta sabotatori sono stati uccisi mentre cercavano di entrare nella capitale.
È possibile che in alcuni casi i sabotatori russi fossero già da tempo sul territorio in attesa di ordini, mentre in altri si è trattato di forze speciali arrivate dal confine nord. Per smascherarli, le autorità hanno anche ordinato un coprifuoco di 36 ore e gli infiltrati russi non sapevano dove nascondersi così a lungo.
Il 26 febbraio è stato respinto un assalto alla centrale elettrica di Troieschyna, era il tentativo di isolare la capitale dall’energia per una rapida capitolazione. Anche attorno allo zoo di Kiev, a Shuliavka, un convoglio russo ha tentato di prendere una caserma sul viale della Vittoria (Peremohy Prospekt) e di consolidare un’avanguardia vicino alla stazione della metropolitana a Syrets, ma è stato annientato dalla difesa territoriale.
I sicari per uccidere Zelensky
Compito di queste squadre era quello di paralizzare la città, creare il caos, aprire la strada alle truppe convenzionali, ma anche raggiungere il presidente Zelensky per eliminarlo. La notte del 25 febbraio, collegato in videoconferenza con il Consiglio europeo, il presidente ucraino ha detto che forse quella sarebbe stata l’ultima volta che i leader europei lo avrebbero visto vivo.
Secondo quanto scritto dal Times, Zelensky sarebbe sopravvissuto ad almeno tre tentativi di assassinio da parte di sicari russi. Si sarebbe trattato di mercenari del gruppo Wagner e di forze speciali cecene al servizio di Ramzan Kadyrov. In base alla versione del consigliere presidenziale Oleksiy Arestovych, sarebbero stati alcuni funzionari dell’Fsb russo contrari alla guerra ad avvertire gli ucraini dell’imminente attentato ceceno.
Anche secondo il capo del Consiglio di sicurezza nazionale Oleksiy Danilov, due gruppi di ceceni erano coinvolti nel piano ma sono stati fermati in tempo. Vari commando della Wagner avrebbero subito pesanti perdite nel tentativo di avvicinarsi al palazzo presidenziale per eliminare Zelensky. A quanto pare alcuni di loro avrebbero postato online dei selfie mentre entravano a Kiev e sono stati geolocalizzati dal Sbu grazie al nome della fermata dell’autobus sullo sfondo.
Una dirigente del ministero degli Esteri ucraino mi ha confermato che i servizi di sicurezza sono venuti a prelevare due russi che vivevano nel suo palazzo, molto vicino alla sede del governo, sospettati di essere spie che fornivano informazioni ai commando. Falliti i tentativi di eliminarlo fisicamente, Vladimir Putin ha invitato le forze armate ucraine a deporre Zelensky con un golpe e negoziare un compromesso con Mosca, facendo appello al «buonsenso dei militari», che però sono rimasti leali al governo legittimo.
Il ministero dell’Interno ha distribuito oltre venticinquemila fucili ai civili, mentre il sindaco ha incoraggiato a preparare centinaia di bombe molotov per colpire i mezzi russi qualora fossero entrati in città. Da allora Kiev è fortificata con sacchi di sabbia, blocchi di cemento e cavalli di Frisia per ostacolare l’avanzata dei carri armati, i posti di blocco nei principali snodi urbani controllano i documenti.
Il 28 febbraio il servizio di sicurezza Sbu ha fatto circolare una lista di veicoli con numeri di targa ritenuti sospetti. In una situazione così drammatica, la paranoia e il sospetto hanno anche portato ad errori fatali, come nel caso di un cittadino israeliano scambiato per un mercenario ceceno e ucciso mentre fuggiva. Un militare americano affiliato alla legione internazionale mi ha riferito che un maggiore ucraino è stato ucciso da fuoco amico perché si è avvicinato troppo velocemente a un posto di blocco. In un altro caso, un volontario daghestano della difesa territoriale è stato arrestato e interrogato, per poi venire rilasciato con le scuse quando il suo comandante è andato a scagionarlo.
Il massacro di Bucha
Fermata la minaccia dei sabotatori e fallito l’attacco a sorpresa per prendere Kiev in pochi giorni, la guerra si è trasformata in uno scontro aperto per settimane. I russi sono avanzati sino a occupare Bucha sulla riva nord dell’omonimo fiume e hanno bombardato pesantemente Irpin sull’altra sponda.
Si tratta di sobborghi benestanti della capitale, in cui la devastazione è stata superata solo dal massacro indiscriminato di civili compiuto dagli occupanti. Alina Pokas, funzionaria della missione Osce a Kiev e residente a Irpin, mi ha raccontato che dalle telecamere di sicurezza è emerso che i soldati russi disponevano di kit per scassinare le serrature ed entrare nelle case, dove hanno saccheggiato elettrodomestici come lavatrici e televisori, ma per qualche ragione non hanno preso le aspirapolveri robotiche altrettanto costose.
Un soldato russo ha scritto su un muro: «Perché pensate di poter vivere meglio di noi?». È noto che molti degli occupanti provenissero da regioni rurali e siberiane, caratterizzate da estrema povertà. Dal 16 marzo, grazie alle armi occidentali, è cominciata la controffensiva ucraina che ha ricacciato i russi verso nord, portando a un ritiro completo ad aprile.
La capitale resta blindata
I volontari della 112° brigata sono convinti che i russi torneranno ad attaccare la capitale. Sul confine nord gli ucraini stanno ponendo mine anticarro e cariche esplosive sui ponti. I soldati che ho incontrato stanno scavando un secondo rifugio, per stare più larghi nell’estate afosa che li aspetta.
Le baracche di legno e lamiera sono decorate all’interno con la bandiera gialloazzurra e quella rossonera, storico vessillo della resistenza nazionalista a russi e tedeschi, ma anche i disegni dei figli, chitarre e le uova dipinte per la pasqua ortodossa. Gli ucraini hanno combattuto l’invasione nazista da ovest e quella sovietica da est, adesso sapranno resistere a quella “ruscista”, mi dice il tenente Nefodov.
Benché la storia ucraina nella Seconda guerra mondiale sia ancora una ferita aperta, con il controverso movimento collaborazionista di Bandera e gli entusiasti sostenitori dell’Unione sovietica, l’invasione ha certamente restituito agli ucraini un sentimento di patriottismo, unità nazionale e orgoglio, anche tra i tanti che parlano quotidianamente russo.
La difesa della capitale è stata efficace grazie alla protezione delle infrastrutture critiche come gli aeroporti, le ferrovie, le centrali elettriche, le telecomunicazioni e le linee di approvvigionamento. Il governo di Zelensky ha dato un forte messaggio decidendo di restare a Kiev, nonostante le offerte occidentali di ospitarlo in esilio quando la situazione sembrava ormai disperata. I russi hanno più volte tentato di diffondere fake news sulla sua fuga a Leopoli o in Polonia, per provocare la resa dei difensori, ma sono stati puntualmente smentiti da video girati da Zelensky con il cellulare, di notte o la mattina dopo i bombardamenti, fuori dai bunker vicino al palazzo presidenziale.
Il fallimento degli sbarchi dal cielo e la tenuta del fronte nord hanno impedito l’accerchiamento della capitale, anche grazie ai ponti fatti saltare, incluso quello tristemente celebre a sud di Irpin, dove il cimitero che ho visitato ospita le migliaia di salme delle vittime di Bucha.
Fino a giugno la capitale è stata bombardata in varie zone, come l’edificio in centro dove è morta la giornalista di Radio Free Europe Vira Hyrych il 29 aprile. Galina Datsko, anche lei funzionaria della missione Osce in Ucraina, aveva comprato con suo marito un appartamento in quel palazzo pochi mesi prima dell’invasione, qualche piano sopra a dove è caduto il missile russo.
Mi hanno mostrato l’edificio accanto dove un’altra bomba ha ucciso un noto avvocato il 26 giugno. La missione Osce “Project Coordinator Ukraine” era attiva da decenni e ha contribuito alla modernizzazione del paese con riforme sullo stato di diritto e il processo democratico, ma il suo mandato è scaduto a marzo e la Russia ha posto il veto in seno all’Osce, dove è richiesto il consenso di tutti i paesi membri per rinnovarlo.
Dalle undici di sera a Kiev vige il coprifuoco e spesso suona ancora la sirena antiaerea, ma ormai sono in pochi a rifugiarsi nei sotterranei, ci si abitua alla nuova realtà quotidiana, alcuni si limitano a spostarsi in corridoio o dietro una seconda parete per un’ora, in attesa della notifica dell’app che conferma il cessato allarme per tornare a dormire.
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