La guerra del grano in Ucraina sta diventando sempre più una componente della più grande crisi economica mondiale che rischia di accompagnarsi a uno scenario di stagflazione, cioè recessione accompagnata da incrementi di inflazione e aumento dei tassi di interesse. Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha lanciato al recente vertice di Davos un appello: «La comunità internazionale intervenga per eliminare il blocco imposto ai nostri porti se vuole evitare a moltissimi paesi una crisi alimentare subito dopo una crisi energetica».

Ci vorrebbero delle navi da guerra di paesi terzi per scortare i mercantili nel Mar Nero ma l’ipotesi è complicata dalla applicazione del Trattato di Montreux da parte della Turchia, che ha chiuso il traffico attraverso gli stretti di Bosforo e Dardanelli alle navi da guerra.

La palla ora è passata all’Onu che sta conducendo negoziati per cercare di rilasciare decine di milioni di tonnellate di grano ucraino (Kiev ha parlato di 25 milioni di grano bloccati nei silos dei porti dal conflitto a cui si aggiungeranno altri 35 milioni del nuovo raccolto per un totale di 60 milioni di grano da esportare) e prevenire una crisi alimentare globale. Anche il ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, ha sentito il suo omologo Dmytro Kuleba, a cui ha ribadito il pieno sostegno dell’Italia all’Ucraina.

Siamo pronti a sostenere «ogni sforzo per sbloccare l’export di grano dall’Ucraina, lavoriamo a una soluzione», ha scritto su Twitter Di Maio, seguendo la linea del premier Mario Draghi che nella sua ultima telefonata al presidente Vladimir Putin aveva sollevato il tema dello sblocco dei commerci di grano, ma senza ottenere risposte positive dal Cremlino che aveva accusato Kiev di aver collocato mine nei porti ucraini. Kiev aveva ribattuto che le difese si erano rese necessarie per impedire l’invasione dal mare di Odessa, l’ultimo grande porto rimasto in mano all’Ucraina che ha perso, dopo la caduta di Mariupol, l’accesso al Mar d’Azov, ora tutto in mani russe.

Vittime

La Russia sta bloccando i porti ucraini sul mar Nero e impedisce l’esportazione dei cereali, che l’anno scorso hanno sfamato 400 milioni di persone. Finora l’Onu era rimasta ai margini di questi sforzi, lasciando l’iniziativa in mano a Francia e Germania i cui leader avevano cercato, senza successo, di ottenere un’apertura da parte del Cremlino.

Anche il presidente senegalese Macky Sall, presidente dell’Unione africana, si è recato in Russia a Sochi ieri per esortare di persona Vladimir Putin a «essere consapevole» che i paesi africani sono «vittime» del conflitto. Il presidente russo darà «una spiegazione completa della sua visione riguardo ai cereali» bloccati nei porti ucraini, ha reso noto il Cremlino.

Le due superpotenze agricole

Il conflitto che ha coinvolto Russia e Ucraina, due superpotenze agricole che rappresentano il 30 per cento dell’export mondiale di grano, ha provocato un'impennata dei prezzi alimentari, che già hanno superato i livelli che hanno innescato le rivolte della “primavere arabe” del 2011.

L'Onu, come il ceo di JPMorgan, Jamie Dimon che prevede un «uragano economico», teme un “uragano delle carestie”, in particolare nei paesi africani. L’Ucraina era il quarto esportatore mondiale di mais, terzo esportatore di grano. La Russia è uno dei principali esportatori di fertilizzanti, ma Mosca li sta bloccando in risposta alle sanzioni internazionali. La Russia però ha paesi alleati in Africa e questo forse potrebbe ammorbidirne le posizioni.

Va notato che anche i produttori nordamericani, come ha sottolineato il Financial Times, non cantano vittoria. L'aumento dei costi comprime i rendimenti degli agricoltori nella «cintura del grano nordamericana»: l’aumento dei prezzi dei fertilizzanti, gasolio, erbicidi e dell’energia compensano appena le entrate derivanti dall'aumento dei prezzi dei generi alimentari.

Soluzioni alternative

Tutti auspicano una svolta, ma tutti sono convinti che i negoziati sono molto complessi. Mosca afferma che il blocco non è colpa sua, né il risultato della presenza della sua flotta da guerra al largo dell'Ucraina, ma della presenza di mine dei porti ucraini da parte di Kiev. Kiev però non si fida nonostante gli sforzi del presidente turco Erdogan che si è offerto di fare da garante. Anche la Cina di Xi Jinping, alfiere della globalizzazione dei commerci, ha chiesto di aprire una canale verde per l’export di grano di Ucraina e Russia ma senza successo.

Secondo l'Onu, 1,4 miliardi di persone nel mondo potrebbero essere colpite dalla carenza di grano e altri cereali. La chiave di tutto è l’apertura dei porti del Mar Nero per scongiurare la carestia e la destabilizzazione. Lo sviluppo di soluzioni alternative su rotaia potrebbero essere utili, ma non potrebbero mai raggiungere i volumi e i prezzi del trasporto marittimo.

Il 24 maggio scorso il primo treno merci con un carico di grano dall'Ucraina è arrivato in Lituania attraverso la Polonia, dove ha raggiunto il porto di Klaipeda dove è stato caricato su navi mercantili. Si è trattato di “prove” che hanno lo scopo di valutare l'efficacia di rotte alternative nell'impossibilità di utilizzare i porti ucraini. La ferrovia è però solo una possibilità, ma non una soluzione definitiva per il fatto che l’Ucraina utilizza degli scartamenti ferroviari differenti da molti paesi Europei. Il puzzle del grano è nelle mani del Cremlino.

© Riproduzione riservata