- Putin credeva che l’occidente fosse debole e diviso, ma il suo attacco lo sta rafforzando. I paesi del nord Europa, per decenni alleati “esterni” del blocco euro-atlantico, ora si schierano con decisione con l’alleanza militare,
- Svezia e Finlandia stanno valutando di abbandonare la storica neutralità ed entrare nella Nato; la Danimarca voterà un referendum per aderire pienamente alla politica di difesa europea; la Norvegia avrà un ruolo di primo piano nell’Artico, regione sempre più strategica.
- Resta da capire se Mosca, già logorata in Ucraina e nell’economia, avrà la forza politica di attuare ritorsioni, che non si tradurranno in invasioni, ma piuttosto in minacce con missili balistici e operazioni asimmetriche di destabilizzazione interna.
L’Ucraina è un’espressione geografica, «Lenin ha creato l’Ucraina moderna strappando territori alla Russia», in fondo sono fratelli slavi da liberare dalla giunta nazista di Kiev e riunire nel Russkij mir, il mondo russo. Questi erano i concetti espressi da Vladimir Putin nel suo discorso del 22 febbraio, alla vigilia dell’invasione. Paradossalmente, la guerra ha invece consolidato un’identità nazionale sino ad ora ambigua, e ha forgiato lo spirito di resistenza degli ucraini, russofoni e non, e questo avrà conseguenze per decenni nei confronti dei russi. L’effetto ottenuto è dunque opposto a quello sperato dal Cremlino, ma il calcolo sbagliato non si limita solo all’Ucraina.
La guerra ha rivoluzionato anche l’orientamento dei paesi scandinavi e della loro opinione pubblica. Mentre Putin ammassava truppe al confine c’era chi suggeriva la “finlandizzazione” dell’Ucraina con il suo modello di neutralità, ma le cose sono drasticamente cambiate. Ognuno di questi paesi, a modo suo, ha mantenuto sino a oggi elementi di eccezionalità rispetto al blocco euro-atlantico. Da quando la Russia ha tentato di scardinare l’architettura di sicurezza nel vecchio continente, tuttavia, i governi di Helsinki, Stoccolma, Copenaghen e Oslo si stanno interrogando sui prossimi passi da compiere.
Finlandia
Benché la Finlandia non faccia parte della Scandinavia sul piano geografico e linguistico, condivide elementi comuni con i vicini nordici. Il noto antropologo Jared Diamond ha descritto nel suo saggio Crisi come la Finlandia ha saputo resistere all’invasione sovietica del 1939 e infliggere enormi perdite al nemico, prima di concedere la Carelia occidentale e assicurarsi l’indipendenza con il trattato del 1940. La Guerra d’inverno è alla base della storia politica finnica perché ha consolidato l’identità nazionale e garantito con l’accordo del 1948 l’autonomia rispetto alla sfera d’influenza sovietica. Grazie alla dottrina Paasikivi-Kekkonen, la Finlandia ha sviluppato una neutralità attiva e si è avvicinata al blocco occidentale con il suo sistema democratico-capitalista.
Proprio in virtù di tale postura, nel 1975 a Helsinki vengono firmati gli accordi della Conferenza sulla sicurezza e cooperazione in Europa. Tra i princìpi sanciti vi erano il rispetto della sovranità e integrità territoriale, il non ricorso all’uso della forza, il non intervento negli affari interni di altri stati, il rispetto dei diritti dell’uomo e degli obblighi internazionali. A quel tavolo sedevano trentacinque paesi, tra cui gli Stati Uniti e l’Unione sovietica. Nel 1995 quella conferenza fu ribattezzata organizzazione e dotata di una sede a Vienna, altro paese neutrale, per divenire l’Osce che oggi conosciamo.
Sempre nel 1995, Finlandia, Svezia e Austria, tre paesi non aderenti alla Nato, entrano nell’Unione europea partecipando da allora alla sua politica di sicurezza e difesa comune. Questi paesi non sono vincolati dall’articolo 5 della Nato sulla difesa collettiva, ma rispondono ad altri obblighi. L’articolo 42 del trattato sull’Unione europea, infatti, prevede una clausola di difesa reciproca. Qualora un paese Ue subisca un’aggressione, gli altri stati membri sono tenuti a prestargli assistenza militare. Tale clausola, perciò, restringe di molto il perimetro di neutralità della Finlandia, che di fatto aderisce all’alleanza occidentale. Il meccanismo è stato invocato per la prima volta dalla Francia in seguito agli attentati dell’Isis nel 2015, ma imporrebbe anche alla Finlandia di schierarsi contro la Russia, ad esempio, nel caso di un attacco di Mosca ai Paesi baltici.
I princìpi affermati negli accordi di Helsinki e l’ordine di sicurezza europeo hanno cominciato a sgretolarsi nel 2014 con l’azione unilaterale della Russia che ha occupato la Crimea, violando la sovranità e l’integrità territoriale ucraina. Dopo quell’operazione di guerra asimmetrica, appena il 20 per cento dei finlandesi si dichiarava favorevole a entrare nella Nato. Dall’invasione di febbraio, invece, la percentuale è schizzata prima al 53 e poi al 62 per cento, nel 2021 era solo il 34 per cento. Il governo di Helsinki ha preso atto di questo cambio di orientamento e sta preparando un documento sulla sicurezza nazionale da discutere in parlamento ad aprile.
L’ex premier finlandese Alexander Stubb è convinto che il paese potrebbe chiedere l’ingresso nella Nato già a maggio. I due principali partiti di governo, quello della premier socialdemocratica Sanna Marin e quello centrista, ritengono che una decisione vada presa entro la primavera. Alcuni deputati vogliono ottenere l’adesione prima del summit dell’Alleanza che si terrà a Madrid a giugno, ma la ratifica da parte degli stati membri potrebbe richiedere mesi. Il presidente Sauli Niinisto ha fatto capire che, una volta ottenuto lo status di paese candidato, la Finlandia sarebbe vulnerabile a eventuali attacchi russi, dato che Mosca ha minacciato conseguenze qualora altri paesi aderissero alla Nato. Tuttavia, il governo di Helsinki si è già schierato inviando armi e aiuti all’Ucraina.
Se a maggio si terrà un referendum, è probabile che la storica neutralità finlandese venga cancellata a favore di una piena integrazione euro-atlantica. Questa scelta porterebbe con sé conseguenze strategiche significative. La Russia si ritroverebbe a confinare per 1.300 chilometri in più con la Nato, esattamente il pretesto addotto per invadere l’Ucraina. Inoltre, la Finlandia applica la leva obbligatoria maschile, ma anche molte donne si offrono volontarie, così disponendo di una riserva di quasi un milione di uomini (su una popolazione di cinque milioni e mezzo). Per gli obiettori di coscienza è previsto un servizio civile obbligatorio, che addestra anche ad assistere l’esercito nella difesa a livello logistico e umanitario. Il contributo strategico della Finlandia sarebbe dunque di gran lunga superiore a quello di Montenegro e Macedonia del Nord, ultimi paesi ammessi di recente nell’organizzazione atlantica.
Un mese prima dell’inizio della guerra, il segretario norvegese della Nato Jens Stoltenberg aveva incontrato i ministri degli Esteri di Finlandia e Svezia per discutere forme di cooperazione, ma l’adesione dei due paesi non era in agenda. Il 7 aprile si è tenuta una nuova riunione a Bruxelles in cui i tre politici hanno discusso apertamente della possibilità di allargare l’Alleanza, eventualità che per il portavoce del Cremlino Peskov imporrebbe alla Russia di «ribilanciare la situazione». L’ex premier Stubb ha denunciato un attacco hacker russo ai siti dei ministeri della Difesa e degli Esteri finlandesi, in contemporanea al discorso che il presidente Zelensky ha tenuto al parlamento di Helsinki, nel quale ha chiesto aiuto militare citando l’invasione sovietica del 1939, anche nella ricostruzione post-bellica, soprattutto nel campo scolastico.
destino della svezia
Il destino della Svezia sembra legato a quello della Finlandia. I due paesi non-Nato sono ormai invitati permanenti alle riunioni del Consiglio nord-atlantico e hanno accesso privilegiato all’intelligence dei paesi membri. Per anni, la Svezia è stata vittima di infiltrazioni russe a opera di cacciabombardieri e sottomarini che testano le difese scandinave.
Il più recente degli incidenti si è verificato a guerra in corso, quando il 2 marzo due caccia Su27 e due bombardieri Su24 russi hanno sorvolato lo spazio aereo svedese vicino all’isola di Gotland e sono stati intercettati. La Svezia ha ospitato truppe finlandesi sull’isola per esercitazioni congiunte e ha stabilito di recente una guarnigione permanente. Gotland è infatti strategica per la sua posizione sulla rotta aerea e navale che congiunge San Pietroburgo con l’enclave di Kaliningrad, sede della flotta russa del Baltico. Dall’isola è possibile proiettare una forza anfibia sui Paesi baltici e controllare i traffici marittimi, oltre che fornire una difesa antimissilistica per la penisola scandinava.
Dal 2014, in concomitanza alla guerra in Donbass e all’aumento della pressione russa sull’occidente, è cominciata una caccia ai sottomarini di Mosca avvistati lungo la costa svedese. Nonostante la mobilitazione di navi ed elicotteri non è stato possibile trovare l’intruso. È interessante notare che in seguito il canale di propaganda Russia Today ha sostenuto si trattasse di un’invenzione di Stoccolma per giustificare un aumento della spesa militare e l’eventuale adesione alla Nato. Questa narrazione falsa fu rilanciata anche da alcuni media occidentali, vittime della disinformazione russa.
Secondo i sondaggi, se la Finlandia entrasse nella Nato il 59 per cento degli svedesi sarebbe disposto a seguirla, con solo il 17 per cento di contrari. Fino al 2021 la percentuale di svedesi a favore dell’ingresso nella Nato fluttuava sul 35 per cento, ma la brutale aggressione russa ha cambiato tutto.
Tra i sostenitori dei partiti politici di Stoccolma, quelli più favorevoli sono i liberali e i centristi, mentre gli elettori socialdemocratici restano più prudenti. Tuttavia, anche il governo a guida socialdemocratica svedese ha già fornito all’esercito ucraino oltre 5mila lanciarazzi anticarro At4 prodotti dalla Saab.
Secondo l’ex premier svedese Carl Bildt, c’è una chiara maggioranza nel parlamento di Stoccolma per votare un’adesione alla Nato, e il destino del paese scandinavo è legato a quello della Finlandia: nonostante la Svezia abbia il doppio della popolazione finlandese, il suo esercito ammonta a poco più di 20mila unità ed è composto principalmente da professionisti. Dal 2017 il governo svedese ha riattivato un sistema di leva di 4mila persone all’anno e la riserva della Guardia nazionale può fornire circa 20mila uomini. Se a livello numerico la forza è poco consistente, può contare comunque su mezzi ad alta tecnologia e corpi d’élite con esperienza di combattimento in teatri esteri. La Finlandia spende già il 2 per cento circa del proprio Pil per la difesa, quindi in linea con gli standard Nato, mentre la Svezia ha dichiarato di voler raggiungere quell’obiettivo dall’attuale 1,2 per cento.
Danimarca
Un altro paese scandinavo su cui la guerra in Ucraina avrà delle conseguenze è la Danimarca. Il governo ha annunciato che l’obiettivo del 2 per cento di budget alla difesa sarà raggiunto nel 2033, attestandosi al momento sull’1,4 per cento.
La Danimarca, tra tutti i paesi scandinavi, è l’unico che aderisce sia alla Nato che all’Unione europea, ma finora ha goduto di un’eccezione significativa, è infatti l’unico stato membro dell’Ue a esercitare la clausola opt-out sulla politica di sicurezza e difesa comune. Ciò significa che non partecipa alla costruzione dell’apparato di difesa europeo e alle discussioni di politica estera che implicano l’uso della componente militare. Tutto questo potrebbe però finire presto e portare alla completa integrazione della Danimarca nell’Ue.
Il governo di Copenaghen ha annunciato che il 1° giugno si terrà un referendum per abolire l’opt-out. I partiti di centrodestra danesi sono sempre stati a favore, mentre quelli progressisti hanno cambiato idea dopo l’invasione russa. Tutti i sondaggi danno vincente il sì all’abolizione della clausola di eccezione. La premier socialdemocratica Mette Frederiksen ha dimostrato molta determinazione e ha già inviato 2.700 armi anticarro leggere all’Ucraina.
Norvegia
Infine, c’è un paese scandinavo che all’opposto di Svezia e Finlandia non fa parte dell’Unione europea ma è un convinto membro fondatore della Nato dal 1949. La Norvegia esprime il segretario generale dell’Alleanza, l’ex premier socialdemocratico Jens Stoltenberg, il cui mandato è stato recentemente prorogato in via eccezionale dai leader proprio a causa della guerra in Ucraina. Quest’anno i paesi membri avrebbero infatti dovuto scegliere il suo successore e c’era chi in Italia sperava in una possibilità, nella rosa degli ex premier. Stoltenberg aveva già accettato di diventare il presidente della Banca centrale a Oslo, ma l’invasione ha cambiato i suoi piani.
Ogni due anni dal 2006 la Norvegia ospita un’importante esercitazione della Nato chiamata Cold response, che permette alle truppe occidentali di addestrarsi in un ambiente impervio, di montagna e artico. Nel 2020 e 2021 l’esercitazione era stata rimandata a causa del Covid, ma quest’anno si è tenuta con la partecipazione di circa 30mila uomini da ventisette paesi. Anche l’Italia ha preso parte con Nave Garibaldi, i fanti di marina della brigata San Marco e il 3° reggimento alpini.
Nel 2018 si è svolta anche Trident Juncture, un’esercitazione che simulava un attacco russo alla Norvegia e l’attivazione dell’articolo 5 con la risposta di 50mila uomini dei paesi membri.
In base a un accordo chiamato Documento di Vienna, i paesi membri dell’Osce sono tenuti a informare i partner delle esercitazioni programmate e a invitare osservatori. Così è stato per Cold response 2022, infatti a gennaio il capo di stato maggiore norvegese ha notificato al comandante della flotta russa del Mare del Nord che l’inizio delle manovre sarebbe avvenuto a marzo. Queste misure sono tese a garantire la trasparenza delle esercitazioni militari e a evitare che vengano usate per organizzare attacchi. Esattamente ciò che è avvenuto con la colossale esercitazione in Bielorussia, prodromica all’invasione dell’Ucraina.
Vari paesi occidentali, a febbraio, si erano lamentati in seno all’Osce per la mancanza di trasparenza sulle truppe ammassate al confine di Kiev e accusavano la Russia di voler attaccare il vicino. L’organizzazione di Vienna, nel 2022 a presidenza di turno polacca, invitò Minsk e Mosca a ottemperare agli obblighi internazionali, ma i due paesi respinsero le accuse e poco dopo iniziò effettivamente l’invasione.
La serie tv Occupied, prodotta a Oslo, racconta uno scenario distopico in cui la Norvegia decide di interrompere l’estrazione di petrolio per combattere il cambiamento climatico. Questa svolta nella politica energetica provoca un effetto domino sulla Russia, che decide di occupare il paese scandinavo e instaurare un regime fantoccio. Nella serie tv, però, non viene attivato l’articolo 5 perché la Norvegia è uscita dalla Nato, seguendo l’esempio di un’amministrazione isolazionista degli Stati Uniti. Uno scenario che sembra fantasioso, ma se ricordiamo l’inizio della presidenza Trump non è così irrealistico.
Dunque, nella realtà l’adesione norvegese all’Alleanza Atlantica è un’àncora di salvezza importante per il paese che non ha intenzione di entrare nell’Ue nel prossimo futuro. Inoltre, numerosi centri di ricerca evidenziano da anni l’importanza militare che sta assumendo l’Artico, sia per la Nato che per Mosca, e in questa partita la Norvegia – che nell’estremo nord confina per quasi duecento chilometri con la Russia – avrà un ruolo di primo piano.
Una brutale guerra convenzionale in Europa ha sconvolto tutti e colto di sorpresa persino i generali di Bruxelles. Lo shock per alcuni paesi, Polonia e Baltici in testa, è maggiore vista la vicinanza a Mosca e le minoranze russofone che ospitano. Ma anche in Scandinavia l’invasione ha rivoluzionato l’orientamento dell’opinione pubblica e sarà decisiva nell’armonizzare la difesa di Finlandia, Svezia e Danimarca nella comunità euro-atlantica. Resta da capire se Mosca, già logorata in Ucraina e nell’economia, avrà la forza politica di attuare ritorsioni, che non si tradurranno in invasioni, ma piuttosto in minacce con missili balistici e operazioni asimmetriche di destabilizzazione interna.
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