- Il capo di Stato turco vuole usare il conflitto per uscire dall’isolamento a cui era stato condannato a causa della sua politica estera espansionistica
- Erdogan sta approfittando del suo ruolo diplomatico per chiedere la fine delle sanzioni imposte dagli Usa sul settore militare e per rilanciare la richiesta di adesione all’Ue
- Resta però da risolvere la questione degli S-400 di produzione russa: Washington avrebbe proposto alla Turchia di cederli a Kiev, ma Ankara non sembra disposta ad accontatare gli americani
La guerra in Ucraina si è rivelata un’ottima occasione di riscatto per la Turchia di Recep Tayyip Erdogan. Il presidente turco sta sfruttando l’appartenenza alla Nato e le relazioni instaurate negli ultimi anni con la Russia per uscire dall’isolamento a cui era stato condannato a causa della sua politica estera a e riscattarsi così agli occhi dell’occidente.
Fin dai primi giorni del conflitto, Erdogan si è ritagliato il ruolo di mediatore, riuscendo anche ad ospitare i ministri degli Esteri russo e ucraino, Sergei Lavrov e Dmytro Kuleba, ad Antalya. L’incontro del 10 marzo si è concluso con un nulla di fatto, ma è servito a confermare l’importanza della Turchia sul piano diplomatico e a riabilitare la figura di Erdogan sul piano internazionale.
Nuovi rapporti
La politica estera portata avanti dal leader turco negli ultimi anni aveva compromesso i rapporti tra Ankara e l’iccidente, ma la questione al momento sembra sia stata messa in standby tanto dai leader europei quanto dal presidente americano.
Persino il capo di Stato francese, Emmanuel Macron, e il premier greco Kyriakos Mītsotakīs hanno riaperto al dialogo con Erdogan, mettendo in secondo piano i problemi legati al futuro di Cipro e al controllo di alcune isole greche di cui la Turchia reclama la sovranità. Due questioni che hanno fatto salire la tensione nel Mediterraneo negli ultimi anni e che hanno influito negativamente sulle relazioni tra Ankara e gli stati europei.
Il caso Kavala
Ma l’espansionismo turco nel mare nostrum non è l’unico problema che Bruxelles sembra disposto a dimenticare. L’Unione ha criticato in più occasioni il governo di Erdogan per il mancato rispetto dei diritti umani, specificando come la Turchia si fosse sempre più allontanata dai valori e dagli standard comunitari.
Recentemente, a inasprire i rapporti tra Unione e Turchia era stata la vicenda giudiziaria di Osman Kavala, attivista per i diritti umani da quattro anni in carcere in attesa di sentenza.
A dicembre 2019, la Corte europea dei diritti dell'uomo (Cedu) ne aveva chiesto la scarcerazione e a febbraio il Consiglio d'Europa ha aperto una procedura di infrazione contro la Turchia per non avere osservato la decisione della Cedu.
La vicenda giudiziaria di Kavala aveva quasi causato una crisi diplomatica con dieci paesi esteri, ma questa volta la decisione dei giudici turchi, arrivata pochi giorni fa, di lasciare in carcere l’attivista almeno fino alla prossima udienza ha ricevuto scarsa attenzione in Europa.
Entrare nell’Ue
La migliore predisposizione europea nei confronti della Turchia ha anche spinto Erdogan a chiedere ancora una volta all’Ue di rilanciare le procedure per l’ingresso del paese anatolico nell’Unione, dopo oltre vent’anni di stallo.
Il presidente ha invitato gli stati membri a mostrare la «stessa sensibilità» applicata nei confronti di Kiev, accusando alcuni leader di «non essere sinceri» nelle loro relazioni con Ankara.
Le sanzioni Usa
Ma le richieste di Erdogan non si limitano alla sola Europa. Il presidente turco vuole anche la fine delle sanzioni imposte nel 2020 dagli Stati Uniti in risposta all’acquisto da parte di Ankara del sistema anti-missilistico russo S400. Le misure restrittive hanno avuto un forte impatto sull’industria della difesa turca, dipendente dall’export americano soprattutto per quanto riguarda il comparto motori.
La Turchia è stata costretta a rimandare alcune consegne e non ha potuto rinnovare come previsto la sua flotta aerea. Ankara attende da tempo il via libera americano alla vendita di 40 caccia F-16 e di 80 kit di modernizzazione, ma adesso Erdogan pretende di più dagli Usa.
Ciò che il presidente chiede è il reinserimento della Turchia nel programma F35 e la consegna del sistema anti-missilistico Patriot “senza precondizioni”. Cioè senza doversi disfare degli S-400 come più volte richiesto dagli Stati Uniti.
In un articolo sul Wall Street Journal, il capo delle comunicazioni della presidenza Fahrettin Altun ha anche ribadito che è tempo che l’occidente tratti diversamente la Turchia e che si impegni nel ricucire le relazioni con Ankara. Per il governo turco, d’altronde, l’acquisto degli S-400 è stato inevitabile a causa del diniego degli Usa alla vendita del sistema Patriot, per cui l’onere di risolvere la controversia spetterebbe a Washington e non ad Ankara.
Gli S-400
Ma la tempistica delle parole di Altun non è un elemento da sottovalutare. Pochi giorni prima del suo appello, gli Stati Uniti hanno informalmente suggerito alla Turchia di cedere gli S400 all’Ucraina per aiutare il paese a difendere il suo spazio aereo.
Grazie al sistema missilistico di produzione russa, Kiev avrebbe a disposizione un’arma per contrastare l’aviazione di Mosca pur in assenza di una no-fly zone.
Le richieste del presidente ucraino Volodymyr Zelensky per l’istituzione da parte della Nato di una zona d'interdizione al volo sono cadute sempre nel vuoto ed è altamente improbabile che i paesi dell’alleanza cambino idea in merito. Da qui la decisione degli Usa di chiedere agli alleati Nato dotati di sistemi missilistici russi di cedere i loro S-300 o 400 all’Ucraina.
La Turchia però non sembra disposta ad accontentare gli Stati Uniti. Ankara è riuscita a mantenere fino ad oggi un delicato equilibrio tra la Russia e gli alleati Nato, astenendosi dall’imporre sanzioni contro Mosca e chiudendo l’accesso agli stretti solo dopo numerose richieste da parte dell’Ucraina.
Cedere gli S-400 a Kiev vorrebbe dire mettere a repentaglio i rapporti diplomatici con la Russia e rischiare di perdere quel vantaggio che le consente di presentarsi a livello internazionale come interlocutore fondamentale per la risoluzione del conflitto. Già il successo dei droni Bayraktar TB2, dimostratisi un utile strumento per la resistenza ucraina, aveva messo in allarme la Turchia.
Ankara temeva che l’impiego dei suoi velivoli contro le truppe russe potesse compromettere i rapporti con Mosca, che ha più volte minacciato i paesi che sostengono militarmente l’Ucraina.
Una soluzione potrebbe essere quella di vendere gli S-400 agli Usa o ad un altro stato europeo, che potrebbe a sua volta inviare il sistema anti-missilistico a Kiev sollevando così la Turchia da ogni responsabilità.
Anche in questo caso, però, il rischio di una rottura diplomatica con la Russia resta alto e si ripresenterebbero gli stessi problemi che hanno fatto tramontare l’idea di inviare in Ucraina i jet polacchi di fabbricazione sovietica.
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