Il mondo è uno e disuguale. Due guerre a squassare il cuore dell’Europa e il Medio Oriente, epidemie, migrazioni, fenomeni estremi come da ultimo a Valencia, bisogni sociali senza replica, coesistono con profitti sguaiati, tecnologie a sfidare l’umano, intelligenze artificiali, scienza e scoperte d’impatto sull’antropologia conosciuta. Mai in precedenza la combinazione dei caratteri si era spinta a inglobare il tutto, fosse solo per una circolarità delle notizie, con gli ultimi della terra a conoscere i privilegi dei primi.

Una realtà inedita vede mancare ancoraggi operanti a lungo e oggi irrimediabilmente arrugginiti. L’Occidente arranca in una corsa che nell’arco di pochi lustri lo vedrà sorpassato per floridezza economica, bilance commerciali e influenza militare da tre o quattro nazioni immense quanto un continente del vecchio mondo.

Nella storia di prima l’egemonia, intesa come potenza, poteva mutare domicilio, ma un domicilio trovava. Veniva scandita in una curva: dapprima la scalata, poi lo stallo e il successivo declino sino al passaggio simbolico di consegne. Per rimanere all’epoca moderna, fu così dall’Olanda del ‘600 al primato britannico sugli oceani, e da lì all’impero americano dove siamo stati cullati e cresciuti.

Democrazia vs autoritarismi

Ora, la domanda è quale sarà, ammesso riesca a imporsi, l’egemonia in grado di regolare economie, scambi, diritti. E quale l’esito dello scontro tra democrazie e autoritarismi, libertà e dittature. Dunque, ha ancora un senso o qualche utilità interrogarsi sul concetto di egemonia in relazione al dopo? All’Europa e al mondo per come sortiranno dal tornante dei prossimi anni? In questo senso le elezioni americane agiranno da spartiacque poiché è assai probabile che una vittoria di Trump sancirebbe la più clamorosa regressione di quei principi liberali a presidio di uno Stato di diritto che i traumi del ‘900 avevano consacrato come intoccabili.

Viceversa, il successo della Harris avrebbe il merito di arginare l’onda reazionaria che si è alzata da tempo sulle due sponte atlantiche e che l’Europa continentale fatica a contenere.

Anni fa si descrisse Barak Obama come il primo candidato globale della storia. Ricordo la formula «il programma di Obama è Obama», ci si riferiva all’impatto della sua figura su sentimenti e prospettive del campo progressista.

Nel tempo l’entusiasmo iniziale ha lasciato spazio a più di qualche recriminazione tanto da rendere possibile l’affermazione imprevista di Trump nel novembre del 2016. Il tutto a conferma che anche la stagione segnata da leadership carismatiche è costretta a riconsiderare oggi il peso delle culture, oltre che dei programmi, a loro sostegno.

Il che non dovrebbe stupire, nel senso che a fronte di una realtà più intricata per le connessioni tra giustizia, libertà e uguaglianza diventa decisivo interpretare lo spirito del tempo alla luce di conflitti e potenzialità che vecchie categorie del pensare neppure contemplavano.

La scienza e i limiti umani

Dunque, di cosa dovremmo occuparci anche solo per immaginare una nuova possibile egemonia? Se milioni di individui hanno smesso di uscire di casa per andare a deporre la propria scheda nell’urna, può darsi considerino l’offerta inadeguata e distante dalle loro urgenze. Ma si può anche ipotizzare ritengano l’ambito delle decisioni – l’esercizio del potere – oramai straniato dagli stanchi riti della rappresentanza. Un nuovo campo di studi affronta alcune di queste tematiche con un interesse specifico: è l’Algoretica, l’indagine sui problemi etici connessi all’intelligenza artificiale e agli strumenti basati sugli algoritmi.

Parliamo di macchine calcolatrici già operanti e capaci di superare l’attività umana in molte applicazioni e settori. Un buon numero degli esperti sulla materia pensa che attorno alla metà di questo secolo la scienza sarà capace di superare quei limiti umani nella quasi totalità dei problemi affrontati. Ma come ragionare ancora di egemonia quando lo scenario prevede macchine più intelligenti dell’umano a dominare la realtà? Si deve forse ipotizzare una “egemonia sulla egemonia” prevedendo un decalogo di principi, definiti da mente umana, a cui macchine sempre più intelligenti dovrebbero attenersi?

Sull’intelligenza artificiale all’inizio di quest’anno Papa Francesco ha detto: «La ricerca scientifica e le innovazioni tecnologiche non sono disincarnate dalla realtà e neutrali, ma soggette alle influenze culturali. In quanto attività pienamente umane, le direzioni che prendono riflettono scelte condizionate dai valori personali, sociali e culturali». Bene, ma possiamo immaginare di impartire dei valori alle macchine? E seguendo l’interrogativo posto dal fisico Alessandro De Angelis, «quali sono i valori universali del genere umano?». Al fondo, siamo oltre il concetto di egemonia sociale, politica e culturale tesa ad affermare un modello di società. È assai diversa l’ambizione tesa a qualificare l’etica dell’intera specie umana così da condizionare i confini di macchine via via più sofisticate sul versante dell’intelligenza non umana.

L’egemonia di un pensiero artificiale

Con una punta di pessimismo, ci troveremo a passare dalla domanda su come dare vita a uno spirito egemone sul governo dei processi sociali all’interrogativo su come prevenire l’egemonia di un pensiero capace di costringere il genere umano in una condizione di minorità.

Codificare l’etica sul terreno dell’algoritmo: basterebbe questa sintesi a farci precipitare dentro un’epoca della storia priva di qualunque precedente. Nel corso dell’ultima legislatura, l’Unione Europea è stata la prima istituzione ad approvare una legge di regolamentazione dell’uso dell’intelligenza artificiale.

Lo scopo era tutelare i diritti dei cittadini proibendo l’utilizzo di alcune applicazioni. La si potrebbe definire una visione illuminata del problema, salvo un particolare: nello stesso momento l’Europa sta lasciando campo a Stati Uniti e Cina in ambiti fondamentali come la corsa del super calcolo, della Rete superveloce e dei chip.

EPA

Dove fare ricerca

In questo caso il tema riguarda l’ambito dove una possibile egemonia tenderà a svilupparsi. Riguarderà quell’ambito la sfera dei principi, la regolamentazione decisa dal nostro parlamento europeo, oppure l’impatto materiale degli strumenti sui quali dirottare enormi risorse finanziarie e della ricerca? Perché, se fosse la seconda via, dovremmo seriamente preoccuparci del ritardo già cumulato in ambiti strategici come il 5G e la cyber security. Gli Stati Uniti dominano il super calcolo e il Cloud: presidiano quasi tutta la memoria prodotta grazie ad Amazon, Microsoft, Google, Oracle, Ibm.

Il ritardo dell’Europa è notevole anche perché la tecnologia è in mano cinese come la maggior parte delle terre rare necessarie per realizzare i chip. Naturalmente dietro questi argomenti c’è una riflessione di fondo su quel capitalismo della sorveglianza capace di condizionare stili di vita, di consumo, comportamenti massificati.

Su questo terreno la nuova egemonia costruisce il suo impatto. Intere esistenze vengono letteralmente “tracciate” in ogni espressione, domanda, movimento.

Lo smartphone che teniamo in tasca e da cui ci separiamo, neppure sempre, soltanto nelle ore notturne, è un formidabile strumento di controllo sociale capace in quanto tale di orientare decisioni, scelte, acquisti e acquisizioni. Un potere enorme, mai sperimentato, capace di far passare in secondo piano l’intera lettura dell’egemonia per come era stata concepita nel vecchio secolo.

La domanda è apparentemente semplice: quel capitalismo della sorveglianza, oggi così pervasivo, è riformabile oppure no? Così come un secolo fa, menti illuminate si sono interrogate sul processo storico in grado di determinare l’egemonia di una classe, l’interrogativo di ora riguarda la possibilità di restituire alla democrazia un carattere egemonico nel senso di preservare l’integrità di libertà e diritti per la prima volta conculcabili non attraverso il conflitto politico, ma il controllo delle coscienze individuali. Recitava l’XI tesi su Feuerbach di Marx: «I filosofi hanno solo interpretato il mondo in modi diversi; si tratta però di mutarlo». Verrebbe da dire: ripartiamo da qui.

© Riproduzione riservata