In una sola notte, dal tramonto all’alba, alle finestre, alle saracinesche dei negozi, ai pilastri sono comparse decine e decine di bandiere di Hamas. Non era successo nemmeno dopo la morte di Ismail Haniyeh ma, da quando Yahya Sinwar è stato nominato nuovo leader dell’organizzazione, le cose sono cambiate.

Tra la gente si respira un nuovo fervore, dicono, e inizia a circolare la voce che ci siano molti nuovi adepti tra le file di Hamas. Tutto questo non sta accadendo a Gaza. «Quando in poche ore la gente del campo profughi di Jenin ha deciso di esporre la bandiera di Hamas è stato chiaro che qualcosa fosse cambiato in Cisgiordania», racconta il giornalista Habib Nazzal.

«Per di più, quel che è successo a Jenin, sta avvenendo anche in altri campi della zona, come a Tulkaram. Sappiamo che proprio lì si stanno compattando le nuove leve di Hamas, non nella Striscia, dove, invece, pare che i combattenti e gli adepti siano ridotti al minimo».

La rabbia nella Striscia

Nonostante Israele continui a bombardare Gaza, compiendo ulteriori massacri della popolazione civile, la popolarità di Hamas è scesa ai livelli minimi storici, soprattutto nelle ultime settimane.

«Il colpo di grazia è stato l’omicidio di Haniyeh», spiega il cronista gazawi Hassan Isdodi. «Inoltre, la nomina di Sinwar non è stata accolta con giubilo nella Striscia, dicono che è stato proprio lui la mente dell’attacco del 7 ottobre e che con lui le speranze di trovare un accordo sono ridotte ulteriormente».

Giovedì è previsto il nuovo incontro al tavolo delle trattative con un «piano di Ferragosto» che potrebbe portare a un patto tra Israele e Hamas. Ma a Gaza nessuno ci crede. Il movimento islamista governa l’intero territorio di Gaza dal 2006 e mai come durante questi dieci mesi di guerra il consenso tra i cittadini è stato così basso.

«C’è chi li detesta ormai, chi voterebbe per chiunque altro, se ci fossero elezioni domani», spiega ancora Isdodi. Mentre parla con noi il boato di una bomba caduta a pochi chilometri trasmette via WhatsApp un profondo senso di paura e stordimento. «I’m alive, sono vivo».

Il problema dei coloni

Curiosamente, anche la conversazione con Nabil Saleh, a capo di un gruppo di opposizione non violenta agli espropri, comincia con la stessa frase. A 110 chilometri di distanza da Gaza i problemi per i palestinesi non sono le bombe ma le aggressioni dei coloni.

«Sto bene, anche se qualcuno è rimasto gravemente ferito ieri», racconta Nabil, che con altri uomini e donne è accorso per creare una «cinta di protezione».

«Un gruppo di israeliani ha fatto irruzione in una fattoria con i fucili spianati e ha costretto una famiglia a lasciare la casa. Hanno lanciato contro di noi fumogeni e bombe stordenti e poi sono arrivati con dei bulldozer per distruggere il pozzo e il ricovero degli animali».

È accaduto nel villaggio di Al-Mughayyr, a nord est di Ramallah ma capita ormai quasi ogni giorno, in tutto il territorio della West Bank. Ed è anche per questo motivo, dicono, che Hamas e la brigata dei martiri di al Aqsa, stanno reclutando moltissime persone in tutta la regione.

«La fedeltà di tanti è cambiata in questi mesi di guerra. Il consenso di Al Fatah, infatti, che prima aveva il controllo del territorio, è sceso dal 26 per cento di settembre al 14 per cento di luglio», spiega ancora Nabil Saleh. Molti giovani si sarebbero già arruolati tra le file dell’organizzazione islamista e Hamas starebbe già riorganizzando una struttura di comando locale per attivare dalla West Bank il nuovo fronte di guerra.

Armi e denaro

«Non abbiamo le prove, ma più fonti ci hanno riferito che stanno entrando nel territorio molte armi e denaro contante», spiega il giornalista giordano Habib Nazzal. «Di tutto questo Fatah fa finta di non sapere nulla, sanno di essere in difficoltà e di essere in torto».

Uno dei motivi per cui in tutta la Cisgiordania Hamas sta riscuotendo più successo è, fondamentalmente, la delusione nei confronti di Fatah, accusato di scendere a patti con Israele e di voltarsi dall’altra parte durante i raid dell’esercito israeliano nei campi profughi o nei villaggi in collina.

«E poi c’è la rabbia nei confronti del presidente Abbas», spiega ancora Nazzal. Abu Mazen si è arroccato nei palazzi del potere a Ramallah e non ha più concesso elezioni dal 2006. Secondo gli ultimi sondaggi, l’80 per cento dei palestinesi della West Bank pensa che l’Autorità palestinese sia corrotta e che vada sciolta.

È un mix micidiale, dunque, tra guerra, aggressioni e una politica confusa, che porta Hamas a raggiungere percentuali di gradimento che in Cisgiordania non c’erano mai state, se non ad Hebron, da sempre roccaforte della jihad islamica.

«Questa riformulazione del potere, tra Gaza e la West Bank potrebbe portare a una nuova configurazione del conflitto, ma non è detto», spiega Mudar Kassis, professore all’università di Birzeit e direttore dell’istituto Muwatin per la democrazia e i diritti umani.

«La popolarità di Hamas è sempre cresciuta dopo ogni aggressione israeliana, sin dalla sua fondazione. Quel che Israele sta compiendo a Gaza – spiega ancora il professore – è così grave e forte da far scaturire una reazione uguale e contraria, tanto da provocare sentimenti di apprezzamento per Hamas. Soprattutto nelle aree dove non ti cadono bombe addosso ma il conflitto è a bassa intensità. Giorno dopo giorno ti tolgono un altro po’ di libertà, di terra, di diritti e quando provi a protestare ti ammazzano come cani. Se a Gaza quel che sta accadendo è tragico, non lo è di meno quel che accade in Cisgiordania, dove la politica espansionistica di Israele sta portando a un numero record di nuove colonie in territorio palestinese».

Ma se a un certo punto nemmeno la strategia violenta di Hamas dovesse avere successo, secondo il professore, anche in Cisgiordania il suo gradimento potrebbe tornare ad abbassarsi. Tutto dipenderà dall’incontro di Ferragosto per trovare un accordo sul cessate il fuoco, ma in gioco ci sono anche gli equilibri dell’intera regione mediorientale. Ci sono più micce accese, ora ce n’è anche una nella West Bank.

© Riproduzione riservata