Sono ormai passati diversi giorni dalla discesa in campo di Kamala Harris e i repubblicani stentano a trovare una linea coerente e convincente per attaccarla.

In prima battuta c’è stato l’attacco per non aver saputo gestire il dossier sul confine con il Messico, poi qualche vago riferimento ai suoi anni da procuratrice cittadina a San Francisco. Tutti argomenti concettuali e di scarsa presa rispetto a quelli sulla senilità di Joe Biden.

Alcuni alleati di Donald Trump, in realtà, hanno cercato di fare qualcosa di più. Hanno affermato che avrebbe partecipato a una «cospirazione» per coprire lo stato psicofisico del presidente. L’ex collaboratore del tycoon, Sebastian Gorka, si è lanciato dicendo che era una «candidata DEI», con riferimento ai programmi di inclusione delle minoranze del governo federale. Un epiteto che però, secondo il Wall Street Journal, potrebbe essere un boomerang nei confronti dell’elettorato non bianco.

Un’altra insinuazione riguarda il suo non avere figli biologici. J.D. Vance, proprio per questo motivo, qualche anno fa l’aveva definita una «gattara infelice». Ma quelle parole, riprese oggi, sono diventate un’occasione, per molte donne, di attaccare proprio l’uomo scelto da Trump come candidato vicepresidente.

A questo si aggiungono altre dichiarazioni totalmente pretestuose, come quella che riguarda «la sua risata eccessiva», da «pazza» come ha detto il tycoon. O ancora il suo sostegno all’abolizione dell’uso delle cannucce di plastica in California così come la sua idea sulla necessità di ridurre il consumo di carta. Insomma, totale confusione e nulla di duraturo nei suoi confronti. Soltanto insinuazioni vaghe e dal suono pedante e moralizzatore, quando non cose totalmente lunari.

Repubblicani spiazzati

Secondo alcuni strateghi repubblicani, Trump e il resto del partito sono stati spiazzati da questo rimpiazzo, credendo che alla fine Biden sarebbe rimasto alla testa del ticket dem e si aspettavano una passeggiata trionfale.

E invece c’è stata la marcia competitiva che non si aspettavano. Il presidente del Comitato nazionale repubblicano, Michael Whatley, minimizza questa confusione, dicendo che il messaggio promosso dai repubblicani sui disastri delle politiche di Biden e di chi «difende i suoi risultati» non viene comunque alterato. Ci sono sempre i fallimenti, conclude.

Però accusare Biden a tamburo battente di essere rimbambito certo era un messaggio più semplice da veicolare e più popolare presso l’elettorato generale.

Endorsement di peso

Intanto la campagna di Kamala Harris registra anche un endorsement molto importante, quello di Barack Obama e di sua moglie Michelle, che hanno condiviso sulle loro pagine social un video dove la candidata viene chiamata dalla coppia di ex inquilini della Casa Bianca dicendo che la sosterranno e che «faranno di tutto affinché venga eletta».

Harris, ripresa mentre sembra lasciare il palco di un evento pubblico, riceve la telefonata con Michelle che si dice «orgogliosa della sua ragazza». La candidata dem ringrazia e dice che «non vede l’ora» di stare sul palco insieme a loro. Questo sostegno è particolarmente importante perché l’ex coppia presidenziale gode di grande popolarità presso l’elettorato democratico ed è nota per la grande capacità di raccolta fondi, che quindi andrebbero a rafforzare le già notevoli capacità di Harris, che ha racimolato oltre 100 milioni dollari in poco più di 48 ore tramite il Super Pac Act Blue.

Le ombre della candidata

L’endorsement non cancella le debolezze di una candidatura che proviene da uno degli stati più progressisti d’America. il senatore Tom Cotton l’ha definita una «liberal di San Francisco» e, per quanto non sia un attacco ingiurioso, può essere particolarmente efficace per chi vede la California come un posto dove la pesante burocrazia statale non ha risolto né la carenza di abitazioni né tantomeno la povertà. E dove i livelli di crimine in molte città, tra cui la stessa Oakland dove Harris è nata, sono sopra il livello di guardia.

C’è una cosa dunque che accomuna entrambe le campagne elettorali: il fatto che siano consapevoli che il voto di novembre è tornato competitivo e servirà uno sforzo di mobilitazione massiccio.

Al momento né Trump né Harris hanno fornito argomenti convincenti sul perché i centristi debbano preferirli rispetto all’avversario, ma presto lo si dovrà fare. A cambiare le carte in tavola potrebbe essere proprio la nomina del vicepresidente del ticket dem, che potrebbe rafforzare al centro la candidatura dell’attuale numero 2 della Casa Bianca.

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