Mentre si aggiorna di ora in ora il pallottoliere dei morti civili in Libano, uccisi da intensi raid aerei israeliani, ci si interroga su un tema che periodicamente divide l’opinione pubblica: il coinvolgimento diretto di civili nella guerra in corso. E questo a partire da un argomento secondo cui, al netto delle responsabilità israeliane, organizzazioni armate come Hamas o Hezbollah usano i civili come scudi umani, operando in zone densamente abitate dalle popolazioni locali.

Il modello Hezbollah-Hamas

Chi in queste ore, fuori e dentro il Libano, accusa Hezbollah di essere corresponsabile, almeno quanto Israele, della mattanza in corso nel paese, sembra accontentarsi di una rappresentazione riduttiva, non contestualizzata: che mette enfasi sulla semi clandestinità di formazioni come Hezbollah o Hamas; e che finisce per stabilire una sorta di gerarchia morale tra forze militari regolari e statuali, come l’esercito israeliano, e quelle irregolari e non statuali, come il movimento libanese. Come se le prime fossero per natura più legittime. Come se fosse in atto uno scontro primordiale tra la civiltà moderna (lo Stato) e la barbarie (le milizie).

Se Israele si configura come uno Stato-nazione, ispirato al modello europeo ottocentesco e fondato sulla supremazia di una comunità sulle altre, Hezbollah e Hamas si sono sviluppate in contesti radicalmente diversi. Con le dovute differenze tra i due movimenti, si tratta di organizzazioni nate e cresciute in ambienti di resistenza armata contro strutture di potere postcoloniali. Né Hezbollah né Hamas hanno “inventato” la resistenza armata contro Israele, visto che il fenomeno è stato per decenni dominato da formazioni nazionaliste, non necessariamente dominate dall’islamismo politico affermatosi invece nell’ultimo mezzo secolo.

Le ragioni storiche

In ogni caso, sebbene nel caso di Hamas lo Stato palestinese non abbia mai visto la luce, nel caso di Hezbollah la parabola storica dello Stato libanese è illuminante. La repubblica uscita dal ventennio mandatario francese (1920-1943) è stata sin dalla sua primissima fondazione un’entità dominata da élite locali fortemente legate alle potenze coloniali dell’epoca. Il rapporto clientelare tra i vertici dello Stato libanese e i paesi occidentali ha determinato una scelta strategica dalle conseguenze ancora molto attuali: la politica estera e di difesa del Libano deve essere decisa da una forma di arbitrato, locale o straniero, capace comunque di garantire la protezione degli interessi occidentali e, dunque, di Israele.

Nei suoi primi ottant’anni di storia, fino ai primi anni Duemila, il Libano ha visto gestire la sua politica estera e di difesa per conto degli Stati Uniti e dei suoi alleati da una serie di attori libanesi. Dal 1990 fino al 2004 il ruolo di arbitro è passato alla Siria degli Assad, il “miglior nemico di Israele”.

Una continuità segnata da alcune interruzioni e “crisi”, anche prolungate, durante le quali altre forze (come i gruppi locali o formazioni armate palestinesi, in parte sostenute dall’Egitto nasseriano o dall’Urss) hanno cercato di contestare lo statu quo: alla mini guerra civile del 1958 è poi seguita la guerra civile tra il 1975 e il 1990.

In quegli anni, segnati tra l’altro dall’intervento a tenaglia in Libano delle truppe siriane e di quelle israeliane, nasce e si sviluppa Hezbollah, col sostegno decisivo dell’allora neonato Iran khomeinista e con l’obiettivo dichiarato di contrastare, con una “resistenza islamica” armata, l’occupazione israeliana. A partire dal ritiro militare israeliano (2000) si avvia una dinamica che porta, di fatto, Hezbollah a emergere come forza politica, istituzionale (con ministri, deputati, sindaci) e militare dominante nel paese, sfruttando, tra l’altro, l’inasprimento della polarizzazione religiosa seguita all’invasione anglo-americana dell’Iraq.

In questo contesto si è trovato il Libano l’8 ottobre scorso: quando Hezbollah ha deciso, in accordo con l’Iran, di aprire il fronte di guerra con Israele. Lo Stato libanese, che sin dalla sua nascita ha lasciato che altri attori decidessero della sua politica estera e di difesa, non ha un esercito regolare propriamente detto dispiegato lungo la trincea sud con Israele. Non ha nemmeno una marina militare che si rispetti. Né, tantomeno, possiede un’aviazione militare.

E questo non per volontà di Hezbollah o dell’Iran, bensì per quella decisione strategica presa, prima, dai francesi durante il mandato (1920-43) e, poi, rinnovata nel Secondo dopoguerra dagli Stati Uniti, in accordo con Gran Bretagna e Israele. Lo spazio politico-militare occupato dal Partito di Dio negli ultimi vent’anni è stato appositamente lasciato tale, sin dagli anni Cinquanta, per evitare che a nord di Israele si installasse un’entità statuale capace di incarnare, e formalizzare, una visione di resistenza al progetto coloniale sionista.

La “società” Hezbollah

Inoltre, Hezbollah – così come Hamas a Gaza – non è una struttura politico-militare “sovrapposta” alla società del sud del Libano, della Bekaa, della periferia sud di Beirut. Ma è invece parte integrante del tessuto umano di queste aree: come hanno persino dimostrato gli attacchi ai cercapersone di Hezbollah, i suoi membri sono la società. Questa condizione ibrida, tra clandestinità e presenza istituzionale, ha fornito e fornisce a Hezbollah lo spazio operativo che si manifesta nell’uso di tunnel, uffici, depositi e rampe di lancio in aree anche abitate dai civili.

Si tratta non di scelte dettate da una precisa strategia, bensì del risultato di mancanza di alternative reali: il contesto storico in cui Hezbollah è nato e cresciuto non gli ha infatti offerto le stesse opzioni che uno Stato può avere per sviluppare la sua strategia di difesa nazionale. Come, per esempio, disporre di appropriate risorse finanziarie e di un quadro normativo nazionale per costruire caserme e rifugi adeguati, rispettivamente, per militari e civili. Sebbene l’Iran sostenga finanziariamente Hezbollah, la struttura armata del partito non può in Libano operare alla luce del sole. Di fronte a una superiorità militare schiacciante del nemico, il ricorso a tattiche asimmetriche appare l’unica via percorribile per contrastare un avversario immensamente più potente.

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