Falliti i negoziati tra studios e attori, questi ultimi potrebbero affiancarsi agli autori nella lotta. Non succedeva dal 1960. Gli scrittori hanno fatto i picchetti già 70 giorni fa e le rivendicazioni di entrambe le categorie sono simili. Alle nove del mattino ora locale il voto del consiglio nazionale del sindacato degli attori
In Italia quelli che stiamo vivendo sono i giorni più caldi del 2023, ma se qui almeno la notte il sole offre una tregua, ieri notte a Hollywood il clima continuava a essere rovente. Dopo numerose trattative nel mese di giugno tra il sindacato degli attori Sag-aftra e l’Alleanza dei produttori cinematografici, il negoziato finale di mercoledì non ha portato ad alcun risultato.
All’una di notte, di ormai giovedì 13 luglio, Fran Drescher – Francesca per tutti i fan della fortunata sit-com “la Tata” – e adesso a capo della gilda degli attori, ha dichiarato falliti i negoziati e ha chiamato le proposte degli studios «offensive e irrispettose». Secondo Drescher i produttori «non sono stati disponibili a impegnarsi seriamente su alcune delle loro richieste e su altre li hanno completamente ostacolati».
La delegazione negoziale di Sag-aftra ha votato nella notte e ha approvato uno sciopero generale, ma una nuova votazione, questa volta estesa a tutto il consiglio nazionale del sindacato, è stata prevista per le nove del mattino ora locale.
La gilda rappresenta 160mila tra attori televisivi e cinematografici e già questo basterebbe a far tremare la Mecca del cinema, ma non bisogna dimenticare che il sindacato degli autori di cinema e tv è in sciopero da 70 giorni. Uno sciopero congiunto significherebbe la chiusura di Hollywood.
Autori e attori uniti nella protesta
Le rivendicazioni degli scrittori rispecchiano quasi totalmente quelle degli attori. È il segno che il mondo del cinema sta affrontando un momento trasformativo, che come tutti i momenti trasformativi porta a crisi e incertezze.
Gli scioperanti chiedono aumenti salariali, ma soprattutto protezioni. Garanzie che l’intelligenza artificiale non possa sostituirli nel loro lavoro. Gli attori si preoccupano che l’intelligenza artificiale, in grado di riprodurre le loro sembianze, possa renderli superflui e lo stesso temono gli scrittori ora che l’ai scrive testi di senso compiuto.
Il mercato malato di long Covid
Se nelle nostre menti (che si tratti di un qualche meccanismo di rimozione?) il Covid-19 è un ricordo ormai lontano, le misure di protezione adottate hanno lasciato strascichi che nel bene o nel male condizionano le vite e il lavoro di tutti.
Durante la pandemia i casting non erano più in presenza ma «the show must go on» e quindi si è ricorsi a audizioni autoregistrate. Finita la pandemia però i casting non sono ripresi totalmente in presenza come ci si aspettava e il fenomeno dell’audizione fai da te è rimasto. La gilda chiede ora nuove norme per regolarlo.
Lo Streaming fa terra bruciata
Infine, tocca parlare dello streaming. Attori e sceneggiatori chiedono una paga residuale, una sorta di royalty per i loro film che girano sulle piattaforme, per cui adesso non godono di alcuna percentuale.
Il problema nel rapporto case di produzione cinematografiche o televisive e streaming sembra strutturale e sicuramente di difficile soluzione. Tra i tanti benefici che lo streaming può avere, di sicuro non si può annoverare l’aumento di profitti per le case di produzione. Gli studios hanno visto i loro titoli crollare e i profitti diminuire notevolmente mentre quelli delle piattaforme streaming crescevano e crescevano.
Queste piattaforme poi non si dedicano più alla semplice distribuzione ma sono anche loro entrate nel mercato della produzione riuscendo a ottenere anche la collaborazione di grandi del cinema come il regista Martin Scorsese che nel 2019 ha girato The Irishman per Netflix accompagnato da Robert De Niro, Joe Pesci e Al Pacino, solo per dirne alcuni. Per tenere contenti gli investitori quindi studios e televisioni sono ricorse a licenziamenti e hanno anche frenato l’ordinazione di nuove serie tv.
Il produttore veterano della Fox, Barry Diller, ha detto in proposito: «C’è stato un cambiamento totale nell’economia di fondo nell’industria dell’intrattenimento». Secondo Diller prima il sistema si reggeva sull’«egemonia di cinque grandi studios» ma con l’arrivo delle piattaforme, in particolare Amazon, Netflix, Apple e Disney, «l’industria è stata completamente stravolta».
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