- La cerimonia con la quale oggi a Hong Kong si celebrano i 25 anni dallo “handover”, il passaggio alla Repubblica popolare cinese della metropoli che per 150 anni (1841-1997) era stata una colonia del Regno unito, è il simbolo di un altro spartiacque.
- L’avvento di un governo locale sotto il completo controllo di Pechino, che promette di riaffermare la stabilità laddove il conflitto aveva portato una sfida diretta all’autorità del partito comunista.
- Non è un caso che ieri Xi – accolto assieme alla moglie Peng Liyuan da una folla di bambini in festa, bandiere e striscioni – abbia scelto Hong Kong per il primo viaggio al di fuori della Cina continentale da due anni e mezzo, da quando il paese più popoloso del mondo si è chiuso per proteggersi dalla pandemia.
La cerimonia con la quale oggi a Hong Kong si celebrano i 25 anni dallo “handover”, il passaggio alla Repubblica popolare cinese della metropoli che per 150 anni (1841-1997) era stata una colonia del Regno unito, è il simbolo di un altro spartiacque: l’avvento di un governo locale sotto il completo controllo di Pechino, che promette di riaffermare la stabilità laddove il conflitto aveva portato una sfida diretta all’autorità del partito comunista. Dopo un incessante insubordinazione giovanile pro democrazia, che abbiamo imparato a conoscere dal movimento degli ombrelli del 2014, a indicare la strada della “normalizzazione” per quella che, ufficialmente, gode tuttora delle autonomie garantite dalla costituzione della “Regione amministrativa speciale di Hong Kong” (Hksar) era stato il IV plenum del XIX Comitato centrale del partito (28-31 ottobre 2019), che aveva decretato che i futuri rappresentanti del Porto profumato avrebbero dovuto essere dei “patrioti”. Così è stato: la legge sulla sicurezza nazionale di Hong Kong e la riforma elettorale (approvate su impulso di Pechino rispettivamente nel 2020 e nel 2021), assieme alla repressione giudiziaria dell’ultimo movimento esploso nell’estate 2019 e al ritiro sull’Aventino del campo pro democrazia, hanno cancellato ogni traccia di opposizione.
Non è un caso che ieri Xi – accolto assieme alla moglie Peng Liyuan da una folla di bambini in festa, bandiere e striscioni – abbia scelto Hong Kong per il primo viaggio al di fuori della Cina continentale da due anni e mezzo, da quando il paese più popoloso del mondo si è chiuso per proteggersi dalla pandemia.
Con il suo discorso di oggi il presidente cinese non soltanto consacrerà l’insediamento del nuovo capo del governo locale, l’ex poliziotto John Lee Ka-chiu, ma festeggerà la vittoria della sua linea che, in nome del rafforzamento della leadership del partito e dell’efficienza amministrativa, come uno schiacciasassi spiana autonomie e diversità culturali.
Opposizione azzerata
L’arrivo di Xi – per potersi avvicinare al quale migliaia di funzionari e magnati si sono sottoposti per una settimana a una rigidissima profilassi anti Covid – è stato preceduto da un editoriale del Quotidiano del popolo che ha esaltato con accenti lirici l’operato del segretario generale che è diventato più potente di Mao e che si appresta a conquistare un inedito terzo mandato al XX congresso: «Ha guidato la nave superando la tempesta e volgendo il pericolo in sicurezza».
Secondo il giornale del Comitato centrale «Hong Kong ha posto fine al caos e ristabilito l’ordine, e ora si trova in un periodo decisivo: dalla stabilità alla prosperità». Lo stesso leader cinese, in una dichiarazione rilasciata dopo lo sbarco, in treno, dalla confinante Shenzhen, ha detto: «Il mio cuore e quello del governo centrale sono sempre con i compatrioti di Hong Kong», e ha sostenuto che gli eventi degli ultimi anni hanno dimostrato la grande vitalità di “un paese, due sistemi”.
Eppure sono in molti a chiedersi se il principio sul quale Deng Xiaoping si accordò con i britannici («Il sistema e le politiche socialiste non devono essere praticati nella Hksar e il precedente sistema capitalista e stile di vita rimarranno invariati» fino al 2047) significhi ancora qualcosa al di là della retorica ufficiale.
Certo, il Porto profumato non è formalmente governato dal partito comunista, ma la libertà d’espressione è stata compressa dalla legge sulla sicurezza nazionale che punisce reati di “secessione, eversione, terrorismo e collusione con forze straniere” definiti in maniera piuttosto generica (58 le associazioni della società civile sciolte finora in base alle nuove norme), mentre la possibilità che l’opposizione conquisti il governo è stata cancellata dalla riforma elettorale.
Secondo Lo Kin-hei, la situazione non migliorerà presto, perché la sfiducia tra Pechino e l’opposizione politica e la società civile di Hong Kong si è aggravata. «I disordini sociali del 2019 hanno messo a nudo tutte le tensioni, le differenze e i disaccordi che esistono dal 1997», ha dichiarato a South China Morning Post il trentottenne presidente del Partito democratico.
I problemi non sono solo politici ma anche sociali. I giovani hongkonghesi temono che la città stia già perdendo il primato che ha avuto per decenni, come centro della finanza e di servizi avanzati, e hanno difficoltà a mettere su famiglia in una metropoli dove – per mancanza di spazio e a causa della speculazione – i prezzi degli appartamenti hanno raggiunto 184mila dollari hongkonghesi (22.500 euro) al metro quadro.
L’area della Grande baia
Pechino ha scommesso su un governo in grado di mantenere la concordia e sullo sviluppo della Guangdong-Hong Kong-Macau Greater Bay Area (Gba), il cluster di undici metropoli che comprenderà Hong Kong, Macao e nove città della provincia del Guangdong, che attualmente hanno una popolazione e un Pil complessivi di 86 milioni di abitanti e 1.670 miliardi di dollari, come l’area della grande Tokyo, ma con 46 milioni di residenti in più.
Dal 1996 il commercio tra la Cina continentale e Hong Kong è quintuplicato. Nel 2021, il 60 per cento dell’export della Hksar è finito nella Cina continentale, contro il 34 per cento del 1996. Anche i mercati dei capitali della Repubblica popolare e del Porto profumato sono sempre più connessi.
Secondo i piani del partito, alla città spetta il compito di puntare sul valore aggiunto dei suoi servizi legali, bancari e finanziari, e di esportare conoscenze nelle altre metropoli della Gba. Dall’anno scorso il governo locale offre 1.280 dollari al mese per ogni laureato che una azienda spedisca a lavorare in una delle altre dieci città del cluster, mentre le università del Porto profumato (anch’esse considerate all’avanguardia rispetto a quelle della Cina continentale), stanno aprendo succursali nell’area della Grande baia.
Hong Kong attira meno talenti internazionali e più dalla Cina continentale, negli ultimi anni vi si parla sempre meno inglese e sempre più mandarino. Potrà puntare sui quattro pilastri della sua economia: i servizi finanziari, il turismo, il commercio e la logistica, e i servizi professionali, che attualmente contribuiscono al 55 per cento del suo prodotto interno lordo.
Ma dovrà competere con le altre città del cluster, alcune delle quali – come Guangzhou e Shenzhen – sono già delle potenze economiche. Hong Kong sembra aver già voltato nuovamente pagina, con 25 anni di anticipo sullo scadere di “un paese due sistemi”.
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