I finanziamenti a Ucraina e Israele sono bloccati al confine col Messico. Una linea di demarcazione che nessuno riesce a controllare bene
Infine si è capito che cosa ha impedito a democratici e repubblicani di approvare velocemente un finanziamento da 106 miliardi di dollari di aiuti militari da destinare all’Ucraina, a Israele e a Taiwan.
La Casa Bianca e i legislatori non si erano resi conto che nella legge richiesta da Joe Biden in diretta tv lo scorso 20 ottobre c’era una voce apparentemente secondaria: il rafforzamento della sicurezza al “confine”.
Si tratta della linea di demarcazione che separa gli Stati Uniti d’America dal Messico e che nessuno riesce a controllare bene. Ci sono molte suggestioni letterarie e cinematografiche su questo “non luogo”, dai libri dello scrittore Cormac McCarthy fino a serie tv di grande successo come Breaking Bad, ma questo ci porterebbe lontano dalla situazione attuale che è centrata su un negoziato contro il tempo che si sta tenendo al Senato in questi giorni.
Partiamo dallo scenario di base: i flussi migratori appaiono anche agli osservatori più benevoli come fuori controllo sin da quando lo scorso 11 maggio il presidente, dichiarando finita l’emergenza legata al Covid-19, aveva anche rimosso l’autorizzazione all’uso del cosiddetto Titolo 42, un’oscura norma risalente al 1944 che consentiva l’espulsione veloce di migranti durante un’epidemia. Sembrava che un simile provvedimento, attivato dall’amministrazione Trump nel marzo 2020, non sarebbe sopravvissuto durante la nuova amministrazione dem.
E invece è stato utilizzato fino a pochi mesi fa come escamotage per mettere sotto controllo il fenomeno migratorio. Le politiche promosse dal segretario per la Sicurezza nazionale Alejandro Mayorkas però non hanno sortito l’effetto sperato.
Secondo le stime dell’agenzia delle dogane statunitense, nei mesi scorsi gli accessi illegali hanno toccato quota diecimila persone al giorno, per un totale di circa 233mila ingressi illeciti nel mese di settembre. Una situazione che ha portato il governatore del Texas Greg Abbott ad affrontare la situazione a modo suo: mandando pullman carichi di migranti nelle città cosiddette “liberal” come sono New York, Boston e Chicago.
Un giochetto politico che ha messo in seria difficoltà l’amministrazione della Grande Mela e il suo sindaco Eric Adams, che si è trovato costretto ad annunciare severi tagli ai servizi pubblici in virtù dei soldi spesi per alloggiare migliaia di persone. Anche per questo la situazione non poteva continuare oltre così, ma fino a qualche giorno fa l’azzardo era che i 14 miliardi previsti dal maxipacchetto di aiuti fossero più che sufficienti a placare l’ira repubblicana.
Però questo denaro sarebbe servito solo ad assumere nuovo personale e a non portare a un sostanziale cambio di policy, al quale però si sarebbe dovuto rinunciare in nome dell’interesse nazionale nel sostenere due alleati come Ucraina e Israele.
E invece anche il leader repubblicano al Senato Mitch McConnell, il repubblicano più sensibile agli argomenti della Casa Bianca sul ruolo globale dell’America quale garante dell’ordine internazionale, ha preferito allinearsi al nuovo speaker della Camera: niente accordo senza un cambio di passo al confine, a costo di far finire il flusso di armi da mandare a Kiev.
La trattativa
Il presidente Biden ha mostrato un’ampia disponibilità a trattare sul tema, anche imponendo arbitrariamente dei limiti alle richieste quotidiane di asilo politico, una sorta di riproduzione permanente del Titolo 42. I repubblicani vorrebbero imporre un limite di massimo tremila richieste al giorno, contro le cinquemila dei democratici. Un limite che però può essere smussato.
Il problema è che in questa fase il capo negoziatore dei democratici al Senato Chris Murphy sta trattando più per conto della Casa Bianca che del suo gruppo. I progressisti, già ampiamente infastiditi dalla scarsa attenzione che è stata posta alle loro rimostranze sul tema negli ultimi anni, potrebbero quindi non votare la versione finale della legge, così come qualche conservatore potrebbe accusare la controparte repubblicana di Murphy, il senatore James Lankford dell’Oklahoma, di aver ceduto su tutta la linea e dissentire dalla linea decisa dai leader.
Come segno di buona volontà, infatti, è scomparso tra le richieste repubblicane il rinnovo della controversa sezione 702 di un provvedimento risalente al 2008, ultimo anno di presidenza Bush, che consentiva alle agenzie federali di intelligence di mettere sotto controllo i device digitali dei cittadini stranieri.
Se fino a qualche giorno fa la situazione sembrava inconciliabile, c’è qualche flebile segnale di un accordo che potrebbe arrivare nei giorni prima di Natale. Anche se permane il problema principale: data la lentezza del processo legislativo al Senato, è alquanto improbabile che lo speaker richiami i deputati per approvare una legge durante le vacanze natalizie.
I termini di un possibile accordo rimangono top secret, ma c’è una preoccupazione concreta che agita la leadership dem: se Biden cederà ai repubblicani riducendo la cosiddetta «condizionale umanitaria» che ha consentito agli Stati Uniti di accogliere rapidamente gli afghani e gli ucraini in fuga dai rispettivi conflitti, difficilmente la sinistra interna perdonerà il presidente.
E forse è anche quello uno degli scopi segreti dei repubblicani: dare il colpo di grazia all’unità dei dem, già indeboliti da un calo inarrestabile di popolarità per il presidente Biden.
Barriera tecnologica
Negli ultimi mesi poi la Casa Bianca, pur non avendo fatto nulla di paragonabile alla costruzione trumpiana del muro, peraltro mai terminata, ha iniziato un piano di controllo del confine con il Messico che coinvolge strumenti altamente tecnologici.
L’espressione utilizzata dal magazine online Axios è quella di «muro virtuale». Secondo i dati diffusi dall’Electronic Frontier Foundation (Eff), un’associazione no profit che monitora il rispetto dei diritti civili nel mondo digitale, nell’ultimo anno sono state installate poco più di trecento torri di sorveglianza, che usano radar a 360 gradi, sono alimentate a energia solare e forniscono le loro immagini alla polizia di frontiera in modo da fare intervenire gli agenti in modo tempestivo.
Queste nuove strutture sono state mappate e si possono individuare facilmente anche su Google Maps. I dubbi dell’Eff sono sull’uso di queste nuove tecnologie, che in alcuni casi usano anche l’intelligenza artificiale: quali garanzie ci sono che queste non vengano usate solo per fermare i clandestini ed eventuali narcotrafficanti e non magari come strumento improprio di spionaggio nei confronti del Messico? Il presidente Andres Manuel Lopez Obrador, dal canto suo, pur non commentando queste nuove installazioni, lo scorso anno aveva firmato un accordo con gli Stati Uniti per dei nuovi investimenti congiunti in tecnologia da impiegare nelle zone di frontiera.
Per Biden, quindi, il confine è rimasto una ferita aperta, e ben poco ha potuto fare la sua vice Kamala Harris quando nel 2021 ha dovuto prendersi carico di questo dossier quasi impossibile. L’attuale inquilino della Casa Bianca è in buona compagnia: il muro proposto da Donald Trump non è mai stato neppure remotamente completato (e il Messico non ha pagato nemmeno un centesimo per la barriera), mentre anche un programma da un miliardo di dollari lanciato da Bush nel 2006 per realizzare una “barriera hi-tech” non è stato realizzato a causa della sua cancellazione da parte dell’amministrazione Obama.
Anche quest’ultimo non fu immune da critiche: il soprannome che ricevette all’epoca – “Deporter in Chief” – mostra come nessuno sia riuscito a realizzare una politica migratoria che sappia conciliare un controllo efficace dei flussi insieme al rispetto dei diritti dell’uomo.
E difficilmente l’accordo che verrà discusso in questi giorni potrà incidere in modo significativo su un fenomeno come quello dell’immigrazione irregolare, che è destinato ad aumentare nei prossimi anni anche a causa del cambiamento climatico.
© Riproduzione riservata