Un siriano scappato dal regime è diventato un “soldato” dei governi che ricattano l’Ue con i flussi migratori. In Turchia ha tentato varie volte di attraversare il confine ed è sempre stato respinto. Ora vive in Russia
Tomsk, Russia, marzo 2024: nel ristorante yemenita della città Mansour, “il vittorioso”, lavora come aiuto cuoco e da qui contatta Domani per raccontare la fine della sua storia di migrante senza frontiere, arrivato in un paese in guerra dopo essere fuggito anni prima da un paese in guerra.
Tutto inizia quando lo incontriamo nel dicembre 2021 a Edirne, capitale dell’impero ottomano dal 1365 fino alla presa di Costantinopoli da parte di Mehmed II, detto Fatih, “il conquistatore”. Immense e sfarzose moschee, suq misteriosi, caravanserragli: a Mansour queste meraviglie dicono poco, meglio il calcio italiano da seguire in televisione.
Mansour è un siriano che vive a Edirne – città turca poco distante da Grecia e Bulgaria – dove esercita con perizia il seguente mestiere: recupera i bastonati, i feriti, i depredati che tornano dalla pedagogia del terrore che viene loro inflitta in generose dosi da Frontex, polizia greca, truppe paramilitari private, squadracce volontarie, lo spaventoso esercito che protegge l’Europa dall’invasione dei nemici che per comodità chiamiamo “migranti”.
Di costoro ne servono in fondo poche migliaia lungo l’intera rotta dei Balcani per assolvere bene al loro compito: mandare un messaggio chiaro verso quelli che in qualche lontano paese pensano di partire, l’esercito di straccioni pronto a invadere il tremebondo continente del benessere collettivo non passerà.
Il carico
Mansour e il suo collega Assuan verso le quattro del mattino riceveranno una telefonata e come tutti i giorni alle prime luci dell’alba andranno a recuperare gli sbandati di ritorno dal fiume Evros, limite invalicabile che separa la Turchia dalla Grecia, la dittatura dalla democrazia: troveranno uomini donne e bambini demoliti, li caricheranno su un furgoncino e li porteranno in una squallida cantina dove saranno nascosti il tempo necessario affinché si riprendano. Per i casi più gravi verrà un medico, gli altri dopo un paio di settimane saranno nuovamente “ready to combat”. Si dice così.
Quando si entra in quel tugurio, dopo mille giri che paiono costruiti apposta per impressionare, ecco una stanza di due metri per tre con annessa una turca fetida: a terra, seduti sui sui tappeti, un impasto di carne scuro, punteggiato dalle bianche orbite oculari spalancate, carte di caramelle arancioni, giocattoli gialli, qualche ciabatta verdastra.
Mansour e il collega escono dalla cantina e vanno al suq che è vecchio di mille anni e qui i due “volontari” comprano vestiti, cibo, scarpe, acqua: dalle loro tasche escono pacchi di banconote oppure strisciano la carta di credito. La frontiera turco greca bulgara è il luogo dove i corpi dei migranti vengono usati come armi dallo stato di Recep Tayyip Erdogan quando ci sono particolari “necessità”: servono soldi o si deve bloccare sul nascere la speculazione sulla lira turca, primavera 2020 e autunno 2021.
Come ondate di fanteria vengono mandati avanti piccoli plotoni di uomini, donne e bambini che sono facilmente respinti dalle fortificazioni europee. Siriani, iracheni, palestinesi, bengalesi, cubani, libici, da ogni dove: la legione straniera dei maledetti che si muovono verso nord lungo la rotta dei Balcani.
«La Grecia è il nostro scudo», ha detto una volta Ursula von der Leyen e, bisogna dirlo, funziona come un orologio. Mansour è un disertore siriano e a casa è atteso dalla corte marziale: fuggiasco, è arrivato a Edirne con la moglie nel 2019, anche lui è stato un migrante soldato arma abbattuto dalla frontiera: gli hanno aperto la testa in due con una bastonata.
Custodisce come una medaglia al valore la foto del suo cranio sanguinante nella memoria del telefono.
Dalla Turchia alla Russia
Non potendo andare avanti e non potendo tornare indietro, non avendo i soldi necessari per un truck game – 5000 dollari nel retro di un camion, viaggio fino a Berlino senza problemi – e anzi, con l’usuraio a casa che minaccia di “portare via prima la casa e poi la sorella più piccola se non restituirò i soldi prestati”, il “vittorioso” deve trovare una soluzione ai suoi guai: sembra di essere nelle pagine dell’eccezionale libro di Giulia Vola, Se fallisci sei morto, edizioni Acquario (2021).
Diventa il membro di una non ben specificata organizzazione internazionale – ovviamente non riconosciuta e ampiamente illegale, quanto meno in Turchia – che recupera gli sbandati di ritorno dall’Evros. Quelli morti ammazzati o di freddo, e gli affogati, vengono invece recuperati dalla polizia di frontiera turca che monta inesorabilmente una campagna mediatica casalinga sulla “disumanità dei greci e dell’Europa”. Serve manodopera e denaro per recuperare i bastonati, rimetterli insieme e poi, quando sarà possibile, mandarli nuovamente all’assalto dell’Europa.
Mansour così trova casa a Edirne e fa venire la moglie sposata anni prima: nasce una piccola bimba. Ma il suo corpo a un certo punto non serve più, l’organizzazione “segreta” viene smantellata e lui si trova a una passo dal volo di ritorno diretto verso la corte marziale.
Gli stati totalitari si compiacciono nel muovere le vite di questi esseri umani. Ma c’è un nuovo paese che ha bisogno di truppe di migranti da mandare all’assalto dell’Europa: la Russia, e Mansour, assai poco curiosamente, ci arriva dalla Turchia nel 2023.
La procedura è semplice, basta recarsi in una ambasciata russa e chiedere il visto. I tre partono da Istambul destinazione Mosca e subito vengono portati con un piccolo van , scortati, al confine tra Bielorussia e Polonia. La storia è nota, non passa nessuno. Le fortificazioni polacche sono insuperabili tanto quelle greche.
Sfiniti, tornano a Tomsk, città distante migliaia di chilometri a est di Mosca, nel nulla della pianura. Passano mesi ed nuovamente tempo per un nuovo assalto, questa volta attraverso il valico russo finlandese. Lì va ancora peggio, nuovo dietro front verso Tomsk.
«Quello con la Finlandia non è stato un tentativo serio...», racconta. Non si abbatte: «La volontà di Allah è questa». E poi a casa c’è sempre la corte marziale che lo aspetta, quindi meglio non sottilizzare sullo scarso comfort della vita russa: che, per altro, «non è per nulla toccata dalle sanzioni, c’è tutto e costa molto poco». Affitta un appartamento con la moglie a la figlia e trova un lavoretto da fare on line nei primi tempi: fa parte di un “grappolo” che inserisce dati di cui lui ignora tutto.
Quando ha abbastanza soldi da parte, come noi facciamo il viaggetto fuori porta lui così va all’assalto dell’Europa.
Giunge il terzo tentativo, nuovamente nei boschi che separano Bielorussia e Polonia. «Bro (fratello, ndr), stavolta credevo di morire sul serio. Ci hanno lasciato in mezzo alla foresta a meno trentacinque gradi. C’erano dei fuochi per scaldarsi e poi altri come noi, stavamo vicini. Alle spalle soldati che ci guardavano da distante».
Si fermano otto giorni: lui, la moglie e la figlia, sono accampati dentro tende bianche che loro rinforzano con tronchi di larice. «Non siamo mai riusciti nemmeno ad avvicinarci al confine, i polacchi sapevano tutto quello che facevamo grazie ai droni che volano costantemente».
Nuovo ritorno a Tomsk, nuovo lavoro nel ristorante yementita e quindi nuovo tentativo previsto per il prossimo aprile: «Sai come si entra in Moldova (nome russo della Moldavia), conosci qualcuno lì?». Altro paese da destabilizzare con l’invasione dei migranti via Russia. «Qui dicono che da lì è più facile entrare. Non possiamo tornare indietro, da qualche parte in avanti dovrò andare, no?».
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