Il deferimento di Israele alla Corte penale internazionale avanzato dal Sudafrica, a cui si sono affiancati Bangladesh, Bolivia, Comore e Gibuti, oltre a confermare un atteggiamento ostile nei confronti dello Stato ebraico già emerso in altre circostanze, tra cui il ritiro dell’ambasciatore nel 2018 a seguito di quella che riteneva una politica espansionistica in Cisgiordania ad opera di Tel Aviv, riflette anche dati culturali e storici.
Si riconosce, già nel linguaggio usato dalla ministra alla Presidenza Khumbudzo Nhaveni e dal Presidente Cyril Ramaphosa in questi mesi di guerra, una certa cultura terzomondista, che rappresenta Israele come braccio armato dell’imperialismo occidentale.
Un’appartenenza a quello che oggi si chiama Sud Globale anche testimoniata dalla reazione, assai più tiepida che nel caso della risposta israeliana all’attacco di Hamas, nei confronti dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, come noto vicina a questo fronte anti-occidentale.
Il ricorso alla Corte penale va però collocato nella storia del paese dove, nonostante il diffuso impegno a fianco della popolazione nera, anche in virtù di quanto subito durante il Terzo Reich, i cittadini ebrei venivano percepiti come parte della minoranza vessatrice.
Una percezione ulteriormente corroborata nel momento in cui i vertici dell’apartheid cominciarono a utilizzare il sionismo come quadro ideologico di riferimento per legittimare la propria politica separatista.
Sovrapposizione sviluppata su più piani. Anzitutto la narrazione da parte delle frange più estremiste degli afrikaner fra lo sforzo sionista dei «riappropriarsi» della propria terra e quello dei propri padri di insediarsi in Sud Africa.
In secondo luogo l’accostamento fra il modello sionista e l’idea, alimentata dalla crisi sudafricana del 1986, di uno Stato separatista degli afrikaner. Tesi avallata persino dall’allora Ministro dell’Economia della Germania occidentale, von Lambsdorff.
Non mancavano, poi, i riferimenti biblici, con una lettura in chiave separatista del racconto di Babele, sfruttato come monito contro ogni progetto di «lingua unica», in cui vengono assorbite tutte le specificità.
Di riflesso, la popolazione nera, che, va ribadito, non di rado trovò il supporto della maggioranza degli ebrei locali, pure fondatori di associazioni anti-apartheid, regime condannato formalmente da Israele già nel 1961, si identificò con la causa palestinese, esplicitamente appoggiata da Tutu e Mandela, che di Arafat fu amico personale.
La situazione si è ulteriormente acuita nel momento in cui fra i più di ottocentomila musulmani sudafricani si sono insinuate le visioni tradizionaliste oggi note a tutti. Un particolare radicamento ebbe, ad esempio, Hezbollah. c
Nel dopo apartheid, con la crescita di un sentimento nazionale, sugli ebrei si è riversata l’accusa di nemico interno, con un piede nel paese e l’altro in Israele. Partendo da qui si capiscono meglio le minacce legali dell’attuale governo nei confronti dei sudafricani ebrei andati a combattere a fianco di Tsahal.
Già mi sono espresso su queste stesse pagine della velleità di risolvere i conflitti in sede giudiziaria. Tanto per far capire in che ginepraio ci si infila, gli israeliani sono, dall’otto ottobre in avanti, impegnati nello stesso tentativo.
Di qui si spiega l’enorme massa di materiale e testimonianze riguardo gli eventi del sette ottobre, come i continui filmati che sarebbero «prove» di depositi d’armi sotto ospedali, scuole e campi profughi bombardati.
Aggiungo che considero ogni parallelo fra sionismo e apartheid un’aberrazione linguistica, giuridica e morale. A cominciare dal fatto che il sionismo include il riferimento a principi universali, in Israele salvaguardati anche da leggi fondamentali dello stato, mentre l’apartheid è un’organizzazione sociale su base etnica.
Allo stesso modo, abnorme mi pare sostituire la parola guerra con quella di genocidio. La cosa che, però, stupisce sono l’insipienza e l’indifferenza di questo governo a guida Netanyahu, il peggiore nella storia del paese e forse dell’intera galassia democratica attuale, già non messa bene di suo.
Pur di mantenere le proprie posizioni di potere sono disposti a tutto: a scontrarsi con alleati storici e a risvegliare l’odio antiebraico che certo non ha bisogno di ulteriori stimoli per risorgere.
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