Lo scorso weekend in Cile si sono tenute le elezioni per scegliere i 155 candidati che si occuperanno di redigere la nuova Costituzione. Il presidente Sebastián Piñera è stato sconfitto e non avrà il peso sperato nel dettare le regole per la stesura della carta
Dopo 41 anni, il Cile ha deciso di fare un cambiamento storico. Il 15 e 16 maggio, centinaia di migliaia di cittadini cileni si sono recati alle urne per eleggere i 155 rappresentanti della Costituente, incaricata di redigere la nuova Costituzione. L'attuale Magna Carta cilena risale al 1980 e, sebbene sia stata modificata più volte, non è altro che l'eredità della dittatura militare di Augusto Pinochet. Così, nell'ottobre 2020, i cileni hanno approvato a stragrande maggioranza (quasi l'80 per cento) di cambiarla. I lavori inizieranno ufficialmente a giugno.
Il colpo di scena dei primi scrutini è che il compito è stato affidato ai candidati indipendenti e dell’opposizione di sinistra. Con il 99,9 per cento dei seggi elettorali esaminati a livello nazionale, gli indipendentisti hanno ottenuto 48 dei 155 seggi nell'organo costituente, cosa che nessuno si aspettava (secondo i sondaggi potevano aspirare a ottenerne 16). Il presidente Sebastián Piñera ha subito, dunque, un pesante ridimensionamento che lo porterà a non avere il peso sperato nel dettare le regole per la stesura della nuova carta. Nonostante sia stato di pari passo con il Partito repubblicano di estrema destra, infatti, non ha raggiunto la terza convenzione, necessaria per poter negoziare le regole della nuova Costituzione. Ha conquistato solo 39 seggi, ne sarebbero serviti almeno 52.
Tuttavia, l’affluenza alle urne è stata inferiore al 50 per cento. A pesare, oltre alla pandemia da Covid-19, la crisi economica che rende difficile anche pagare i biglietti dei mezzi pubblici per recarsi in luoghi spesso lontani dal luogo in cui si vive. La minore affluenza, infatti, è stata registrata nei comuni più poveri del paese.
La nuova costituzione
La modifica della Costituzione è stata una delle principali richieste avanzate nel corso delle proteste scoppiate nell'ottobre 2019 in Cile. La Costituente sarà eletta secondo un meccanismo di parità di genere unico al mondo, che garantirà un minimo del 45 per cento di seggi alle donne. Mentre ai popoli indigeni sono stati riservati 17 posti.
L'assemblea avrà nove mesi per presentare un nuovo testo costituzionale, che potrà essere prorogato per ulteriori tre mesi. Quindi, a metà del 2022, i cileni affronteranno un nuovo plebiscito per approvare o respingere il nuovo testo proposto.
Le 155 persone che si occuperanno della redazione della nuova Costituzione sono state elette fra 1.773 candidate e candidati. L’obiettivo del referendum di ottobre 2020 e delle elezioni dello scorso weekend è quello di fermare le proteste che hanno paralizzato il paese per quasi due anni.
Una nuova carta costituzionale è senz’altro una vittoria per tutto il popolo cileno, ma in questi due anni il prezzo pagato è stato altissimo. Secondo l’Istituto nazionale dei diritti umani (Indh), da ottobre 2019 a marzo 2020, 1.234 persone sono state vittime di torture, 282 hanno subito violenze sessuali, 460 hanno riportato ferite agli occhi. L'origine del maggior numero di ferite riportate dai dimostranti per le strade delle principali città del Cile sono i proiettili antisommossa, per un totale di 2.133 feriti, mentre oltre 30 persone sono morte, a causa della repressione attuata dai carabineros cileni. Gli arrestati durante le proteste hanno superato quota 3mila, ai quali si somma il numero di persone considerate desaparecidos.
La conquista delle donne, dei popoli indigeni e dei migranti
Il Cile sarà il primo paese al mondo a creare una Costituzione che, ancora prima di essere scritta, mette al centro la parità di genere. Il 45 per cento di donne all’interno della costituente infatti apre la strada a un’agenda che potrà porre al centro i diritti delle donne e delle minoranze.
In questo modo, la nuova Costituzione cilena potrebbe toccare questioni storicamente rimaste in sospeso, come la parità di retribuzione, la distribuzione dell'onere delle cure o la parità di accesso delle donne al potere.
L’altro passo importante è quello di riservare 17 posti a esponenti delle popolazioni indigene cileni. Si tratta di dieci popoli originari riconosciuti dallo Stato, fra cui Mapuches, Aymara, Quechua e Diaguitas.
Il Cile e l'Uruguay sono tra i pochi paesi latinoamericani che non hanno ancora riconosciuto a livello costituzionale le popolazioni indigene. Dall'altra parte ci sono Bolivia ed Ecuador, due nazioni che non solo riconoscono questi popoli, ma hanno scelto di sancire il carattere plurinazionale dello Stato nelle loro Costituzioni, accettandone l'autonomia e i diritti.
Secondo le Nazioni unite, le popolazioni indigene costituiscono oltre l’8,5 per cento della popolazione sudamericana, la percentuale più alta di tutti i continenti del mondo. Inoltre, secondo un rapporto dell'Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo), pubblicato nel 2019, il 30 per cento degli indigeni vive in condizioni di estrema povertà.
Tra le richieste dei popoli nativi del Cile c'è quella di creare uno stato plurinazionale. Inoltre, sollevano la necessità di avere garanzie in termini territoriali e il riconoscimento della loro cultura e lingua. Un'altra conseguenza potrebbe essere un cambiamento della politica di immigrazione cilena.
Attualmente, il Cile è la nazione con il più alto flusso migratorio del continente, poiché è visto come un luogo economicamente stabile. Secondo i dati del Dipartimento per l'immigrazione e la migrazione del governo cileno, la popolazione straniera è aumentata del 19,4 per cento negli ultimi tre anni, raggiungendo un totale di quasi 1,5 milioni, che rappresenta il 7,5 per cento della popolazione totale. Obiettivo della nuova costituzione sarebbe quello di riconoscere loro diritti sociali e politici, come il diritto di voto, oltre ad assicurare la salvaguardia dei diritti umani e la non discriminazione, in conformità con il diritto internazionale.
Il peso del voto cileno nel resto dell’America Latina
Negli ultimi decenni, il modello cileno è stato ampiamente elogiato dagli altri paesi del cosiddetto Cono Sur. Si diceva che fosse un'oasi all'interno dell'America Latina, un miracolo economico.
Un’idea sostenuta anche dai dati macroeconomici, secondo cui il Cile non solo avrebbe mantenuto un Prodotto interno lordo (Pil) a un livello superiore rispetto agli altri stati sudamericani, ma sarebbe riuscito anche a ridurre la povertà e a distinguersi per stabilità sia economica che politica.
Di conseguenza, diversi paesi dell'America Latina, come Perù, Colombia, Messico ed Ecuador, hanno deciso di imitare alcune delle riforme neoliberiste attuate in Cile. Primo esempio fra tutti quello del sistema delle pensioni, basato sulla gestione di fondi pensionistici privati. Un modello di privatizzazione sociale, che ha inglobato bel presto istruzione e sanità, fino a creare una società sostanzialmente privata.
Proprio per questo, nell'ottobre 2019, i cileni sono scesi in piazza per protestare contro il governo di Piñera, e una storia politica che negli anni ha prodotto diseguaglianze sociali, economiche e abusi di potere.
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